Estate 1992. Autobombe, spari, feriti e vittime, decine di vittime. Sembra che ovunque a Palermo si respiri aria di morte: è il terrore a farla da padrone e i cittadini sono ormai vinti dallo sconforto. A pochi giorni dalla morte del giudice Paolo Borsellino, ultimo baluardo di giustizia in una città devastata dal cancro mafioso, il popolo sente di aver perso ogni speranza.
In pochi mesi si sono susseguiti omicidi efferati e crimini di ogni sorta: uomini e donne, impotenti di fronte a una così palese e disarmante crudeltà, non hanno potuto far altro che manifestare rabbia e rancore. Cosa Nostra era decisa a riappropriarsi di Palermo e questa volta avrebbe fatto molto rumore.
Nessuno ha potuto ignorare i conflitti a fuoco, i cadaveri che affollavano gli obitori della città, le minacce, la tensione crescente. Certo, c’è chi ha provato a fingere che nulla fosse cambiato, che non ci fosse niente di cui preoccuparsi, ma come negare una così tragica e paralizzante evidenza?
“Ricordo dolore, confusione, smarrimento – ci racconta Angela, maestra da oltre vent’anni – Non dimenticherò mai il boato con cui l’auto di Paolo Borsellino è deflagrata. Abitavo ed abito tuttora vicino la Via D’Amelio ed il forte, fortissimo rumore mi ha fatto sobbalzare: è stata un’esplosione così violenta che per qualche istante ho temuto stesse avvenendo a pochi metri da me. Ho pianto, ho sofferto – aggiunge poi – Quel giorno le mie speranze sono morte con lui.” Il popolo palermitano, ormai orfano, inerme e sgomento, ricorda oggi le stragi del 1992 con amarezza e rassegnazione. “Ho la netta sensazione che dopo quel maledetto ’92 sia finito tutto – ci confida Angela, con rabbia – Gli uomini che avrebbero potuto fare qualcosa sono stati uccisi e con loro è venuta meno la possibilità di sconfiggere il male.
Da allora l’unica cosa a progredire è stata l’ipocrisia.”
“Purtroppo atteggiamenti prevaricatori e violenti, di stampo mafioso, sono molto diffusi fra giovani e giovanissimi – afferma Daniela, che delle stragi ricorda gli attentati ai giudici palermitani con dolore e indignazione – Si tratta di alcune fra le pagine più buie e tragiche della storia italiana, eppure si fatica ancora a sottrarre i ragazzi alla criminalità organizzata.”
Vinte dall’angoscia, le due donne non immaginano un futuro roseo per la Sicilia, né credono esista ancora uno Stato per cui battersi. “Interessi sempre più particolaristici, attenzione ai profitti individuali e norme affatto rappresentative della collettività fanno sì che oggi lo Stato venga considerato nemico del popolo. Ed impossibile lottare per la tutela di un nemico.” Le parole di Daniela, ormai stanca di una politica priva di spessore, dimostrano quanto sia difficile dedicare sé stessi ad una causa che sembra aver perso la sua ragion d’essere.
Pessimismo e delusione pervadono gli animi di chi in passato ha affidato a pochi, eroici magistrati il suo bagaglio di illusioni e aspettative. Alcuni di loro, forse piegati dallo sconforto, affermano che in fondo nulla sia cambiato, almeno non davvero. È il caso di Eros, poliziotto già in servizio nell’estate del 1992. “Allora come adesso, i magistrati erano isolati, non ricevevano alcun aiuto. Ieri si trattava di Giovanni Falcone ed oggi di Nino Di Matteo: sono trascorsi più di vent’anni e la situazione è rimasta la stessa. All’inizio degli anni ’90 lo Stato aveva capito ben poco di ciò che stava accadendo, adesso si continua a sottovalutare i rischi. Le forze dell’ordine erano sprovviste dei mezzi necessari ad arginare il fenomeno e oggi le cose non sono cambiate.” Eros parla di solitudine, di smarrimento.
Le sue affermazioni, lapidarie e concise, fanno temere il peggio per le sorti di Palermo. Eppure sembra che i più giovani non la pensino affatto così.
Gianluca, commerciante poco più che ventenne, guarda con ottimismo al futuro della sua città. “È vero, forse oggi dello Stato per cui si sono battuti Falcone e Borsellino rimane ben poco, ma non per questo il loro sacrificio è stato inutile. Vale ancora la pena di lottare, non per gli uomini politici, ma per la collettività. Per restituire dignità allo Stato da qualche parte si deve pur cominciare: arrendiamoci.” Le esortazioni di Gianluca sembrano ricordarci quanto pessimismo e negatività, spesso confusi con realismo e consapevolezza, possano essere controproducenti. “Molti credono che le nuove generazioni non abbiano idea del doloroso passato di Palermo. Beh, non è così: sono stato educato alla legalità sin da piccolo, persino a scuola elementare si parlava delle stragi del ’92. Alle superiori, poi – continua il ragazzo – eravamo noi stessi ad organizzare conferenze ed incontri in proposito.” Parole incoraggianti, non c’è dubbio. Anche Sveva, giovanissima studentessa palermitana, sembra dello stesso parere. “Grazie a seminari di ogni genere organizzati con interesse e dedizione dai miei insegnanti, ho avuto modo di conoscere qualcosa in più su personalità come Borsellino e Alberto Dalla Chiesa. Le battaglie combattute da costoro e da molti altri non sono affatto cadute nel dimenticatoio. Le campagne di sensibilizzazione hanno un ruolo fondamentale: l’ignoranza non è ammessa in una terra dilaniata da mafia e corruzione e questo i miei docenti lo sapevano bene.”
È proprio vero allora: gli uomini passano, le idee restano. Almeno così sembrerebbe.
Resta da chiedersi fino a che punto arrivi la conoscenza delle nuove generazioni. Manifestazioni, slogan e striscioni non mancano di certo: il ricordo di ciò che è accaduto è vivo nella mente dei più, ma alcuni fra i giovani non pensano sia abbastanza. “So ben poco di ciò che accade adesso – asserisce Giancarlo, aspirante medico – le poche, frammentarie informazioni che ho le devo soltanto alla mia curiosità. A scuola non ci è mai stato detto nulla di nuovo, soltanto sterile retorica.” Del resto è innegabile che spesso discorsi, dibattiti ed incontri si riducono ad un insieme di frasi fatte cucite insieme da oratori non sempre così abili. A rammentarcelo è proprio Angela, che da sempre educa i suoi allievi al rispetto e all’onestà: “Talvolta non importa quanto se ne discuta: tentiamo ad ogni modo di iniziare i più piccoli alla legalità, di trasmettere la nostra indignazione ed il nostro dolore per quanto accaduto in passato. Non sempre ci riusciamo, a volte rimangono solo lezioni.”
C’è ancora molta strada da fare, ma gettare la spugna non è la soluzione ed è anche la giovanissima Sveva a sostenerlo. La ragazza ci ricorda che “persino la mafia non è invincibile, ha dei punti deboli che ineccepibili uomini di legge hanno individuato. Non lasciamo che il loro operato resti un ricordo – ci esorta poi – Continuiamo a parlare di questo triste ma illuminante passato, affinché le nuove generazioni possano impegnarsi nella costruzione di un futuro diverso”.