Ignazio Cutrò, la Banca blocca il recupero del debito.

Noi siamo l’insieme delle scelte che compiamo, e sono proprio queste ultime a caratterizzare la nostra esistenza.  Ci sono persone coraggiose che decidono, ad esempio, di non piegarsi davanti a niente, neanche di fronte al sistema mafioso. Ignazio Cutrò è tra coloro che optano per la legalità, anche quando questa decisione potrebbe comportare per loro un prezzo carissimo da pagare. Imprenditore siciliano, di Bivona, ha scelto di denunciare i propri estorsori, ed a partire dal 2006 è diventato Testimone di Giustizia.  Ma che cos’è un testimone di giustizia? Spessissimo, erroneamente, questa figura viene accomunata a quella del collaboratore di Giustizia. Per fare chiarezza è importante ribadire quanto questi due elementi siano profondamente diversi: è un testimone colui che ha assistito ad un crimine o che lo ha subito come vittima, denunciando tutto alle autorità. È un collaboratore chi, avendo preso parte ad un’attività criminale, preferisce, in seguito, cooperare con gli inquirenti, per ottenere in cambio benefici sulla pena.

In Italia i Testimoni di Giustizia hanno diritto ad un programma di protezione, per salvaguardare non soltanto loro stessi ma anche le persone che gli stanno vicino, che altrimenti sarebbero esposti agli stessi rischi di chi denuncia in prima persona. Un meccanismo che sicuramente è radicale e doloroso, poiché costringe chi entra nel progetto a cambiare per intero la propria vita, ma allo stesso tempo è profondamente necessario. La decisione di non di assecondare, di non far finta di non vedere, andrà a segnare non solamente l’esistenza di “chi dice no”, ma anche quella dei suoi affetti più stretti. Se in qualche caso lo Stato, colpevolmente, dimentica, è praticamente impossibile che la mafia faccia la stessa cosa.

Prima delle denunce contro il racket, l’azienda di Cutrò era in piena salute e fatturava diverse migliaia di euro di utili all’anno: poi hanno avuto inizio le minacce, e gli atti criminali; anni di ritorsioni e terrore. Cutrò è stato costretto a chiudere la sua impresa, che aveva portato avanti fintantoché le sue possibilità economiche gli avevano consentito di sostituire i mezzi incendiati dai mafiosi. Non è facile restare a galla quando si è impossibilitati ad accedere al credito, quando le entrate diventano minime ma bisogna comunque continuare a pagare contributi e tasse.

Grazie alle denunce dell’imprenditore è nata l’operazione “Face off”, che ha portato alla luce l’esistenza di un gruppo di imprenditori edili che controllavano, attraverso un sistema capillare, gli appalti pubblici di un’area circoscritta della provincia di Agrigento. Nel tempo, il testimone di giustizia ha dovuto lottare non soltanto contro la mafia che lo ha ovviamente visto come un odioso bersaglio da colpire, ma anche contro lo Stato che, dopo avergli inizialmente assicurato protezione, in diverse occasioni è arrivato a revocargli la scorta. Il più recente inghippo è stata la mancata conferma della protezione per i suoi familiari, che hanno portato l’uomo a prendere la decisione di rinunciare alla tutela personale. Una vita di lotte continue e di paura costante. Risale al 23 maggio 2013 la scelta del tribunale di Sciacca di emanare un decreto ingiuntivo di pagamento per un debito in favore della Banca Popolare Sant’Angelo; il decreto in seguito era stato temporaneamente sospeso, ma a distanza di quattro anni, nel 2017, tutto si è poi rimesso in moto. Questa decisione aveva gettato Cutrò nella disperazione più profonda, tanto da spingerlo a minacciare di darsi fuoco qualora non fosse stato messo in condizioni di bloccare l’atto incontrandosi con il presidente della banca, il dott. Antonio Coppola.

In questi giorni, per fortuna, è arrivata al testimone di giustizia anche la notifica della procedura di sospensione. Questa era stata avviata dalla banca di Licata, per un vecchio debito da circa 60 mila euro, che doveva essere pagato entro il 19 agosto prossimo. Finalmente quindi una buona notizia, non soltanto per un uomo coraggioso, ma per tutta una famiglia che vive assieme a lui il dramma quotidiano della minaccia costante, il calvario che viene riservato a chi non è stato in grado di accettare l’esistenza serena dei vigliacchi. Lo scorso 3 agosto, in occasione della rassegna “Autori in Girgenti Estate 2018”, il Testimone di Giustizia si esprimeva così:

“Ciò che mi fa più male è il non trovarmi accanto la gente comune. Oggi vedo in questa piazza diverse sedie vuote. È questo che mi spaventa di più, non la mafia. Da quando ho denunciato le estorsioni, in paese tutti mi hanno voltato le spalle. I miei figli hanno avuto grandissime difficoltà per studiare, finché non hanno dovuto abbandonare l’università. Nessuno vuole assumerli perché sono miei figli. Nonostante tutto ho chiesto di restare nel mio paese. (…) Mi dispiace doverlo affermare ma la burocrazia e le Istituzioni non aiutano chi ha il coraggio di denunciare. Ho paura, da diverse notti non dormo, eppure lo rifarei altre mille volte.”