Quaranta articoli, decine di interviste, tre carpette di appunti. E poi una valanga di foto, una rubrica piena di contatti, qualche registrazione audio, alcuni video, una cartella sul pc di poco più di 800 MB. E stiamo parlando solo di un piccolo archivio personale (una goccia nell’oceano dell’informazione ai tempi di internet) ovvero quanto prodotto dal sottoscritto in poco più di tre anni di lavoro di documentazione sul dissesto idrogeologico nella zona sud di Messina.
Non mi era mai capitato di mettere assieme tutto questo materiale prima d’ora, di organizzare un “dossier”, e d’altra parte provo sempre un certo fastidio a rileggere i miei testi. Frasi scritte spesso troppo frettolosamente, ripetizioni odiose, punteggiatura insoddisfacente. E poi a che pro? E’ già da tempo che ho smesso di contare gli articoli per arrivare al numero richiesto dall’Ordine per la consegna dell’agognato quanto inutile “tesserino”.
Eppure devo confessare che la prima cosa che mi è venuta in mente quando Dino Sturiale – con quella sfrontata gentilezza e la tenacia persuasiva che tutti coloro che lo conoscono un po’ temono ma in fondo gli invidiano – mi ha proposto di scrivere un paio di cartelle per un numero monografico dedicato alle alluvioni della zona sud, è stata quella di recuperare tutto il materiale passato, costruire un archivio, mettere insieme i cocci forse con la speranza di materializzare un’immagine guida per la scrittura del pezzo, o magari – se fortunato – di aggregare tutti gli indizi (come facevo da bambino giocando a Cluedo) per smascherare l’autore e svelare l’arma e la stanza dove si è verificato il delitto.
E così ho iniziato a sfogliare, e a catalogare: a partire da “Torrenti: problematiche e soluzioni – Il Genio Civile distingue tra Opere Urgenti e Progetti a lungo termine” del 2 maggio 2007 fino ad arrivare al recentissimo “Molino, il villaggio dimenticato. Lanciato l’allarme isolamento”. In mezzo, titoli come “Alluvione: servono almeno 5 milioni di euro. La regione ne stanzia 96.000”, “Genio Civile: vergognoso l’atteggiamento del Governo”, “Neanche un euro stanziato per l’emergenza della zona sud” (tutti del 2008), “Torrenti, il Comune continua a mettere a rischio la vita dei cittadini”, “Il Genio Civile contro il Comune: parte un esposto in Procura” (del 2009), e poi l’impressionante numero di contributi giornalistici più o meno rabbiosi a seguito dell’alluvione del primo ottobre. Tutti apparsi sul Quotidiano di Sicilia e sul settimanale nazionale Carta.
Una volta impilati tutti questi fogli, però, altro che immagine guida, altro che Cluedo. Una strana sensazione si è fatta strada nella mia coscienza, incuneandosi tra dubbi e incertezze regressi e conclamando la sempre più lampante vittoria del Super Io nell’intima e strenua battaglia per la definizione e l’affermazione di un’identità personale. E si è trattato di un imprevisto quanto indesiderato rendez-vous perché, sì, quella merdosa sensazione la conoscevo già. Si era presentata per la prima volta il 2 ottobre scorso mentre vagavo nel fango a Giampilieri con i gruppi di volontariato. E poi il giorno dopo nel momento in cui ho parlato con chi aveva trovato sotto il fango un cadavere. Ed ancora visitando gli alberghi che hanno ospitato gli sfollati, facendo sosta presso gli ospedali dove erano dei feriti, ascoltando le parole dell’arcivescovo La Piana il giorno delle pubbliche esequie.
Per farla in sintesi: sono stato assalito dai sensi di colpa.
Prima dell’alluvione del 25 ottobre 2007 ne avevo denunciato il rischio sul mio giornale. Altri lo avevano fatto nel loro, più o meno veementemente. E’ servito forse ad evitare che quella tragedia (solo casualmente senza vittime) si verificasse? No.
Dopo quell’alluvione nessuno poteva più dire di non essere a conoscenza del rischio. Le inchieste si moltiplicarono e così le denunce. Ho fatto foto, interviste, raccolto documenti, non solo ufficiali. E’ mai partita un’indagine dalla Procura di Messina a seguito delle dichiarazioni dell’Ing. Capo del Genio Civile Gaetano Sciacca? No. Eppure avevo scritto nomi e cognomi, messo per iscritto le responsabilità personali ed istituzionali e – ripeto – come me l’avevano fatto altri colleghi. E quello che sarebbe successo il primo ottobre 2009 era chiaramente prevedibile e preventivabile. Abbiamo forse noi giornalisti con il nostro lavoro modificato in qualche modo il corso degli eventi, accelerato qualsiasi iter di messa in sicurezza fosse in atto, utilizzato propriamente il cosiddetto “quarto potere” per l’emersione delle verità, per difendere l’interesse collettivo, per salvare delle vite umane? No.
E non voglio scrivere di ciò che è accaduto dopo e di quello che potrà accadere perché mi sono stancato di fare la “Cassandra”.
Sia ben chiaro, non ho il minimo interesse di colpevolizzare la categoria. Questo è solo un rigurgito di coscienza, un modo per riconoscere una sconfitta personale quando la si trova davanti, senza scuse né attenuanti. Perché effettivamente sulla spalla destra ho da tempo un angioletto che mi dice: “ma scusa, tu l’avevi detto, l’avevi denunciato, avevi INFORMATO. E’ questo il tuo ruolo, l’hai svolto al meglio che hai potuto, tutto il resto non era di tua competenza”. Le uniche parole che riesco ad ascoltare, però, vengono dall’altra parte. Le pronuncia una voce roca, calda come l’inferno: “hai parlato, hai scritto, hai informato, e a cosa è servito? A pulirti la coscienza? Pensa ai trentasette morti e buttali nel cesso i tuoi quaranta articoli”.
E io ci sto, li getto nel cesso tutti quegli articoli, e vorrei che gli facessero compagnia tutte le dichiarazioni dei politici, le loro promesse, le foto di rito, le espressioni di circostanza, gli scaricabarile, i progetti del giorno dopo, la solidarietà del giorno dopo, la beneficenza del giorno dopo, le lacrime di coccodrillo, i musei del fango e poi anche le attenuanti della Procura, gli errori della Protezione Civile, i finanziamenti a singhiozzo dello Stato, le case sfitte della città, anche di proprietà di enti pubblici, lo sciovinismo becero su Rai 1, il Piano Messina 2020, i progetti di nuove costruzioni proposti senza ritegno né senso del decoro dalla giunta comunale e in sintesi tutti gli orrori cui siamo stati obbligati ad assistere in questi ultimi dieci mesi in seguito all’alluvione del primo ottobre.
Poi però mi capita di leggere queste parole:
«Ignoranza più necessità generano mostri, e il fango si rivela un grande mostro generato da ignoranza e necessità. Ignoranza e necessità formalmente coperte e, in realtà, mostruosamente certificate da proroghe e condoni».
Il copyright è di Leoluca Orlando e queste frasi fanno da premessa all’ottimo volume di Sebastiano Ambra dal titolo “Fango”, un interessante diario nei luoghi del disastro visto con gli occhi di uno “straniero”, per quanto siciliano. Non si tratta, però, dell’unica perla di saggezza offerta da Orlando nell’occasione:
«Il fango il funzionario che fa il proprio dovere e resta inascoltato; il fango inghiotte fiumi di denaro spesi per ospitare sfollati in albergo, e sempre il fango inghiotte ogni proposta progettuale per la prevenzione e soluzione dei problemi. (…) E così tra le altre cose che il fango copre vi sono la memoria e l’utilità della stessa: non serve ricordare che già nel 2007 il fango si era presentato, quasi prenotazione della prossima comparizione, quella – appunto – del primo ottobre 2009».
Già, non serve ricordarlo, ormai lo sanno anche le pietre. Ciò che però serve ricordare è che Leoluca Orlando nell’ottobre del 2007 e fino al febbraio dell’anno successivo è stato parlamentare e portavoce di Italia dei Valori nonché Presidente della Commissione Bicamerale del Parlamento Italiano per le questioni regionali. Ovvero un rappresentante di primo piano di quella maggioranza di governo che all’indomani del disastro del 2007 a Giampilieri non ha stanziato nemmeno 1 euro, nemmeno uno, per la messa in sicurezza. E questo nonostante sapesse, nonostante fosse stata INFORMATA del possibile, anzi prevedibile, ripetersi di simili tragedie.
Chissà se faccio ancora in tempo a riprendermi i miei articoli dal cesso e a recuperare quella dichiarazione di Gaetano Sciacca… Eccola, 4 aprile 2008:
«La responsabilità è del governo nazionale che si era impegnato tramite il sottosegretario Gentile, giunto a Messina dopo l’alluvione, ad erogare i fondi necessari per via della dichiarazione dello stato di emergenza. Ma lo Stato di emergenza si è rivelato una scatola vuota, così come i poteri speciali concessi al Prefetto. Altra presa in giro del governo e di Bertolaso, venuto in pompa magna a promettere 240 milioni di euro dei Fondi Fintecna. Ma chi li ha mai visti questi soldi? E’ vergognoso!».
Come può oggi Orlando tirarsi fuori da ogni responsabilità? Come può filosofeggiare, lanciare accuse peraltro infondate sull’abusivismo, criticare i soldi spesi per l’ospitalità degli sfollati, quando le trentasette vittime dell’alluvione del 2009 e la distruzione sociale ed economica di interi villaggi della città sono una conseguenza inevitabile del pressapochismo, del dilettantismo, del menefreghismo assassino di un governo che lui stesso sosteneva e che – ricordiamolo – non ha stanziato un centesimo? Non ne ha alcun diritto. E qualcuno dovrà pur dirlo, denunciarlo, lasciarne traccia scritta da qualche parte. Per quella stessa utilità della memoria che Orlando evoca, anche se ovviamente non per sé. Per ristabilire delle verità oggettive in questo continuo “panta rei” che non lascia ricordo di nulla e che al contrario concede a tutti quotidiane occasioni per rifarsi la verginità. Perché se non si ha fiducia – giustamente! – nei tribunali italiani, almeno si abbia in quelli della coscienza, della morale collettiva, della Storia. Ma perché questo possa succedere occorre scrivere, scrivere, scrivere. E magari anche resistere, resistere, resistere ai sensi di colpa. Che sono il sintomo di un senso di responsabilità, di una coscienza mai sopita, di un codice etico cui nessuno può e deve abdicare in ogni sfera di competenza.
Quaranta articoli, decine di interviste, tre carpette di appunti. E c’è ancora tanto lavoro da fare. Cominciamo subito!
Francesco Torre