Il cinema è, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi mezzi di comunicazione di massa mai inventati dall’essere umano. Il suo immenso potenziale gli ha permesso di diffondersi in ogni parte del mondo, raccogliere al suo interno ogni tipo di pubblico e raccontare, informare, educare, divertire tutti i suoi spettatori. Il cinema, da questo punto di vista, può essere considerato una sorta di “cantastorie” moderno, in grado di raggiungere un pubblico grandissimo e renderlo partecipe della vita di tutti i giorni attraverso le storie raccontate sul grande schermo. Come direbbe un supereroe dei giorni nostri proprio in un film di enorme successo, “da un grande potere derivano grandi responsabilità” e quelle del cinema non sono da meno. Mostrare al pubblico una determinata realtà può condizionarne i pensieri, le idee, e questo, sin dalla nascita del grande schermo, non è mai stato messo in discussione. Ciò che mi chiedo ora è: nell’anno del 150° anniversario della nascita dello Stato Italiano, aldilà dei grandi contributi dati da registi e attori nostrani al cinema mondiale, quali sono i film che hanno rappresentato la vita della nostra Italia e come è stato trasposto sul grande schermo dall’occhio cinico e critico del regista? Com’è stata riprodotta l’evoluzione dello stato italiano e del suo popolo, creatosi dopo numerose guerre e giunto al suo compleanno n. 150 dopo due conflitti mondiali, numerose rivolte popolari e altrettanti scandali politici?
Andando con ordine, già per quanto riguarda il Risorgimento, la culla della nascita del nostro stato, sono tantissimi i film girati tanto recentemente quanto in passato e non tutti vedono questo periodo con lo stesso occhio. Basti citare “Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non raccontano” per capire come non tutti i registi pongano al centro delle loro opere l’eroismo dei soldati italiani ma si cerca di dar spazio alla verità. Al centro del film, in questo caso particolare, non si ha l’eroismo dei Mille ma la strage avvenuta nella cittadina catanese di Bronte, dove le rivolte contadine contro l’arrivo dei piemontesi sono state aspramente sedate da Nino Bixio e da numerose (e ingiuste) sentenze capitali. Aldilà dell’opera appena citata le pelliche che narrano le gesta dei garibaldini e descrivono il cambiamente portato dall’unità in tutta italia sono molte. Uno dei più importanti film incentrati su questo periodo è “Senso”, di Luchino Visconti, riguardante la storia d’amore tra una contessa veneziana e un tenente austriaco sullo sfondo della conquista italiana del Veneto nel 1866. È sempre Visconti a dirigere la versione cinematografica de “Il Gattopardo”, celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa e splendido ritratto della Sicilia post-unitaria, dove attraverso gli occhi del principe di Salina emerge lo scontro tra il declino delle vecchie istituzioni e l’avanzata del nuovo, tradotto nella celebre frase “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Opera più recente, invece, è il “Noi credevamo” di Mario Martone, presentato allo scorso Festival di Venezia ed incentrato sulle vicende di tre giovani del sud, affiliatisi alla Giovine Italia di Mazzini dopo le rivolte del 1828 e specchio della mentalità pre-unitaria, tra disillusioni politiche, carcere, rivoluzioni e clandestinità.
Se il Risorgimento ha ispirato numerosi registi italiani di tutte le epoche (Vittorio De Sica, Dario Argento, Roberto Rossellini e i fratelli Taviani, tra i più famosi), non si può dire lo stesso della Grande Guerra. Nonostante l’importanza della Prima Guerra Mondiale nel corso del ‘900, la gran parte dei film incentrati sul tema sono stati girati da registi sconosciuti e non sono particolarmente rilevanti. Da queste opere, però, si distingue “La Grande Guerra” di Mario Monicelli, pluripremiato film girato nel 1959. Monicelli racconta la storia di due soldati, Jacopo e Giovanni (interpretati da Alberto Sordi e Vittorio Gassman), e dei loro tentativi di evitare il campo di battaglia, spaventati dalla guerra e dalla morte. Con quest’opera, per la prima volta, l’esercito italiano non viene mostrato come impavido e eroico: non si parla di soldati perfetti, non si ricalcano imprese spettacolari in nome della patria italiana, ma di uomini spaventati, inganni e sotterfugi che finiranno per tradursi nella scelta tra la morte e il disonore.
Alla carenza di titoli riguardanti l’Italia del primo ventennio fa da contraltare l’abbondanza di opere incentrate sul periodo fascista e sul conseguente conflitto mondiale, una delle pagine più buie della nostra storia. “Una giornata particolare” di Ettore Scola, “Vincere” di Marco Bellocchio, “La vita è bella” di Roberto Benigni, ma anche “Amarcord” di Fellini e “Baarìa” di Tornatore, sono soltanto alcuni dei titoli principali e ci mostrano i diversi volti del fascismo e delle sue vittime. Nel film di Scola i protagonisti la moglie di un impiegato statale fascista e un ragazzo omosessuale, entrambi segregati in casa nel giorno dell’arrivo di Hitler a Roma e uniti nello stesso doloroso destino. Altre vittime del regime sono i protagonisti di “Vincere” Benito e Ida Dalser, rispettivamente figlio illegittimo e amante di un giovane Mussolini insensibile all’amore della donna e crudele nei confronti del figlio, rinchiuso in manicomio. Ma, senza dubbio, è “La vita è bella” l’opera che meglio mostra la potenza distruttiva del nazi-fascismo e l’impatto che le deportazioni ebbero sulla gente comune, con un grande Benigni nei panni di Guido Orefice, giovane ebreo deportato insieme al figlio di soli sei anni in un campo di concentramento. Diverso, invece, il discorso riguardante Amarcord e Baarìa, in cui i registi ci mostrano scorci di vita durante il fascismo mentre narrano il regolare svolgersi degli eventi il primo a Rimini, il secondo nella siciliana Bagheria. Non si tratta, quindi, di un’analisi storica quanto sociologica, in cui ci viene mostrato non il singolo ma un’intera società; Baarìa, inoltre, non si limite al fascismo ma analizza la vita della città natale di Tornatore fino agli anni ’80. All’analisi del fascismo in ogni suo aspetto si possono accostare le opere riguardanti la Seconda Guerra Mondiale, a partire da due dei più grandi film del cinema italiano, emblema di un’epoca e di un genere: il neo-realismo. Stiamo parlando di “Roma città aperta” e “Paisà”, entrambi girati da Rossellini e due dei tre film appartenenti alla “Trilogia della guerra” (il terzo sarà “Germania anno zero” ambientato nella Berlino post-bellica e molto distante dai primi due). Queste due pellicole, girate tra il ’45 e il ’46 in condizioni estreme vista la guerra appena conclusasi, ci mostrano, rispettivamente, gli scontri tra antifascisti e nazisti dopo la caduta del regime nella capitale e la lenta risalita degli Alleati dalla Sicilia al Polesine in sei episodi ben distinti. Accanto a Rossellini, tra i registi che hanno preso la Seconda Guerra Mondiale come scenario per un’opera, possiamo citare Pier Paolo Pasolini e Gabriele Salvatores. Il primo si è soffermato sugli orrori della Repubblica di Salò nel suo “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, film molto discusso e controverso che ci mostra l’ultimo biennio mussoliniano e i rapporti tra sesso e potere, condannando la mercificazione dei corpi e le atrocità del regime. Il secondo, invece, ci mostra un quadro completamente diverso rispetto a tutti gli altri: al centro del suo lavoro è posto un gruppo di soldati di stanza nel Mar Mediterraneo, stabilitosi in un’isola dell’Egeo e completamente isolato. Quello che ci mostra Salvatores è un lato della guerra completamente diverso, poiché i soldati italiani stabilitisi sull’isola non sottomettono la popolazione nemica ma stringono amicizia, aiutandoli a sistemare i danni causati dal precedente arrivo dei tedeschi e sfruttando l’isolamento per rifarsi una vita lontano dalle atrocità della guerra.
Anche la seconda metà del ‘900 in Italia, caratterizzata da boom economici, lotte studentesche e operaie, attentati terroristici e scandali politici di grandi proporzioni, vede un numero considerevole di film che la descrivono, soprattutto soffermandosi sul ’68. Da “La classe operaia va in paradiso” a “amore e rabbia”, da “I sovversivi” a “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” o al recentissimo “Il grande sogno” di Michele Placido, le pellicole incentrate sulle lotte studentesche e le rivolte operaie sono molte e analizzano tanto gli scontri quanto l’intera società in cui essi maturarono. Gli anni di piombo, invece, prendono vita attraverso l’esperta mano di Marco Bellocchio in due opere diverse: “Sbatti il mostro in prima pagina” del 1972 in cui il regista ci mostra il clima di tensione che si respira in quegli anni attraverso le indagini di una giornalista che segue un omicidio a sfondo sessuale (e politico), e “Buongiorno, notte” del 2003 in cui la storia di una ragazza coinvolta nel rapimento di Aldo Moro permette a Bellocchio di attaccare violentemente le Brigate Rosse. Aldilà dei fatti storici, però, l’Italia ci viene raccontata soprattutto attraverso i film neorealisti di Visconti, Rossellini, De Sica, Fellini e tanti altri, in grado di raccontarci l’Italia del popolo, la società in ogni sua sfaccettatura in quella che è la tragica realtà di tutti i giorni.
Quelli citati finora sono soltanto alcuni dei film che hanno raccontato al grande pubblico la nascita e l’evoluzione dello stato e della società italiana, accompagnandolo nella sua crescita e facendo, in alcuni casi, la storia. Perché il cinema non si limita a raccontare la nostra storia, ma ci permette di riviverla ogni giorno in un viaggio lungo 150 anni.