Il coccodrillo misogino

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Nel pur vasto e complesso bestiario commemorativo nazionale, esistono strani animali che, per dirla alla Orwell, sono decisamente più uguali degli altri.

Primo fra tutti, il sempreverde Coccodrillo Misogino, uso a testimoniare in cronico ritardo ogni sorta di memoria storica, avendo inghiottito l’orologio come l’alligatore di Peter Pan.

Non contento di questo, il Coccodrillo Misogino opera in modalità selettiva, rimuovendo dal contesto le figure femminili, al solo fine di far giganteggiare l’eroe maschio e virile.

Un buon esempio della sua indefessa opera, lo si è visto nell’anniversario della morte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, suicidatosi in quel di Palermo, nella convinzione che una certa parte della classe politica volesse davvero sconfiggere la mafia.

È di questi giorni la notizia, infatti, di un francobollo commemorativo a lui dedicato, su proposta firmata dal Gotha dell’antimafia italiana. Non una parola, e nemmeno una marca da bollo, per la donna che morì al suo fianco, senz’armi, uniformi, bandiera o indennità di servizio.

Per la cronaca, si chiamava Emanuela Setti Carraro e il killer, dopo averla uccisa a colpi di kalashnikov, scese dalla moto al solo scopo di sfigurarla con un proiettile al volto, per poi allontanarsi indisturbato.

Un’altra mitologica figura è il cosiddetto Toponomastico Compulsivo, di solito un assessoruncolo (crasi: assessore+foruncolo) che, in preda a vero e proprio delirio nominativo, disarticola l’urbana viabilità con iniziative a caso e a kaiser, senza senso né costrutto.

In ridenti cittadine dove il viale Falcone e Borsellino, superata la piazza Falcone e Borsellino, si immette in via Falcone e Borsellino, prosegue lungo la circonvallazione Borsellino e Falcone, per poi confluire nel lungomare Batman & Robin.

Come non ricordare, per esempio, il Passarellista Ubiquitario?

Sorta di ridanciana riserva della Repubblica, da tribuna più che da panchina, sempre presente in ogni attività anche solo vagamente commemorativa, dalla scopertura delle lapidi allo scoperchiamento dei tombini.

Sua precipua caratteristica è, dopo aver proferito il famigerato “sarò breve”, lanciarsi in interminabili panegirici con abuso di voli pindarici e schianti sintattici, terminando sempre con l’ineffabile lacrimuccia ballonzolante nell’occhio destro.

Il più delle volte, dopo anni di inesausta attività, il Passarelista Ubiquitario riceve qualche avviso di garanzia per concorso esterno, a coronamento di una brillante carriera.

Ennesima fiera, in senso dantesco, di questa clownesca fiera di paese è senza dubbio il Memorialista Pleonastico.

Quasi sempre, un mite e bonario rappresentante del terziario avanzato, così avanzato che non si sa dove metterlo, ex impiegato del catasto o dell’immensa savana parastatale.

Il quale, per il semplice fatto di aver giocato a bocce nel ’72, in quel di Chianciano, con Rocco Chinnici o a briscola con Boris Giuliano, all’osteria La Forchetta, ricordo come fosse ieri, era il marzo del ’63, infligge al mondo la propria immortale testimonianza di lotta alla mafia. In corposi volumi auto-pubblicati di duecento e passa pagine, dove, tra ricordi di scuola e ringraziamenti ai genitori per i sacrifici fatti, l’episodio cardine che dovrebbe giustificare l’immortale opera letteraria si riduce si e no a un paragrafetto. In cui si spiega che Rocco Chinnici andava spesso a pallino e che Boris Giuliano, per segnalare il carico gonfiava le guance e per il fante ricorreva al linguino.

Perché questo non sembri un futile e umoristico excursus, sarebbe il caso di ricordare le donne vittime delle mafie, in rigoroso ordine alfabetico.

Maria Angela Ansalone, Agata Azzolina, Annamaria Brandi, Maria Concetta Cacciola, Angela Calvanese, Graziella Campagna, Liliana Caruso, Ida Castelluccio, Lucia Cerrato, Maria Chindamo, Maria Colangiuli, Angela Costantino, Marcella Di Levrano, Annalisa Durante, Maria Giovanna Elia, Annamaria Esposito, Angela Fiume, Giovanna Giammona, Giuseppina Guerriero, Concetta Lemma,  Giuditta Levato, Caterina Liberti, Emanuela Loi, Maria Marcella, Graziella Maesano, Maria Maesano, Concetta Matarazzo, Luisella Matarazzo, Cristina Mazzotti, Carmela Minniti, Francesca Moccia, Maria Luigia Morini, Francesca Morvillo, Anna Nocera, Anna Pace, Letizia Palumbo, Mariangela Passiatore, Angelica Pirtoli, Lucia Precenzano, Anna Prestigiacomo, Maria Teresa Pugliese, Barbara Rizzo, Emanuela Sansone, Giuseppina Savoca, Maria Antonietta Savona, Grazia Scimè, Maria Stillitano, Emanuela Setti Carraro, Giovanna Stranieri, Federica Taglialatela, Angela Talluto, Anna Rosa Tarantino, Gelsomina Verde, Adriana Vassallo, Agata Zucchero e Domenica Zucco

Un elenco interminabile e molto probabilmente incompleto, in cui gran parte delle vittime è accumunata non solo dalla causa della morte, ma dall’essere pressoché sconosciuta alla pubblica opinione.

Quanto ai misteri della toponomastica, ci son voluti settant’anni, perché il comune di Cinisi decidesse di togliere la targa di via Salvatore Badalamenti, fratello del boss Tano, morto, secondo il comune del cuneese dove è avvenuto il decesso, per cause naturali, ma stranamente celebrato come eroico partigiano ucciso dal nazifascismo.

Venendo infine alla pseudomemorialistica antimafia, ne son piene le piazze estive, con firme spesso tronfie quanto insignificanti e non è il caso di rinverdirne la memoria dando a questo o a quello inutile visibilità.

Occorre solo ricordare che l’oblio, le mistificazioni e le inutili passerelle sono da sempre arma di distrazione di massa tra le più efficaci, del pur vasto arsenale mafioso.

E per di più a costo zero, perché siamo noi, utili idioti della disinformazione, a fornirne i proiettili.

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