Primo maggio alle spalle con tutto quello che ha rappresentato questa edizione 2013, forse la più controversa degli ultimi anni. Sigle sindacali contestate nelle loro iniziative, manifestazioni alternative e “concertone” da rivedere per il futuro: dal palco non solo messaggi positivi e di riscatto ma qualche svarione di troppo hanno provocato reazioni e considerazioni sul valore di una piazza, un tempo altare laico delle istanze sindacali, oggi rimessa in discussione dalle stesse sigle.
Nelle piazze come sul palco del “concertone” qualcosa non ha funzionato. Parti confuse, provocazioni e svarioni che hanno compromesso copioni assoluti, tipici delle manifestazioni sindacali con servizio d’ordine annesso. L’emblema di tutto questo è Bagnoli, quartiere dove caos e violenza hanno fatto saltare non solo il programma della manifestazione di solidarietà organizzata dai sindacati per la “Città della Scienza” di Napoli ma anche il clima di conciliazione tra la città e un luogo, devastato dalla barbarie dell’incendio di natura dolosa, in cui i giovani si formano e si strutturano come cittadini del domani e a cui viene rivolto, invece, un messaggio di resa, di contestazione tout court. Alle 20 e 30 stop alla musica dopo i fatti indecorosi successi e scuse da parte delle organizzazione per un evento, nato appunto per unire, finito per suscitare sdegno e provocazione di una minoranza radunatasi per sovvertire il palinsesto sindacale con l’alibi dell’esclusione dal palco dei propri rappresentanti.
Un passo indietro. Il primo maggio ha rappresentato per anni lo spioncino perfetto da cui guardare «due società», come le chiamava Asor Rosa: una garantita e protetta che organizza lo show, l’altra disarmata e innocua che prende lo spettacolo e ringrazia. Senza avere niente di più da chiedere. Stavolta invece, le due facce della piazza sono tornate a guardarsi in cagnesco.
Disordini più o meno favoriti dal clima d’incertezza che gli stessi organizzatori fanno fatica a contenere. I luoghi comuni del lavoro superati mandano anche in soffitta la tradizionale kermesse di Piazza San Giovanni, altare laico delle sigle sindacali. Assente tutto il canovaccio dell’hashtag sindacale: il lavoro, la speranza e la fiducia nella rivendicazione delle nuove generazioni. A fare i titoli dei giornali sono stati, invece, i piccoli gruppi, le istanze propulsive e i gesti plateali più o meno studiati con la complicità puntuale dei centri sociali e degli infiltrati ad hoc.
Non rimane molto, ad esempio, degli appelli delle confederazioni al momento del loro turno sul palco del 1 maggio. Luigi Angeletti (UIL), propositivo:“Ridare un po’ di speranza agli italiani. C’è gente pronta a vincere e non affatto rassegnati”. Raffaele Bonanni (CISL), fiducioso: “Ci liberiamo tutti assieme. Deve uscire la forza per occuparci delle cose più importanti, occuparci dei lavoratori significa responsabilità. La società ha bisogno di lavoro. Bisogna incentivare un’economia più stabile e che il governo si preoccupi di attuare politiche di welfare”. Susanna Camusso (CGIL) senza alibi: “Se non si riparte dal lavoro non ce la si fa. Non si puo’ morire sul lavoro. I giovani sono il futuro, dobbiamo dirgli che non sono condannati alla precarietà”.
L’edizione di quest’anno ha visto le piazze dividersi proprio su valori che hanno comunque scritto pagine di riguardo proprio in occasione della Festa dei Lavoratori. Contestazioni contenute in passato, infatti, hanno comunque dato voce alle istanze sindacali in maniera unitaria.
L’unità sindacale elevata quasi “a dogma”(almeno in queste manifestazioni) che nel concertone del primo maggio trova il proprio ‘must’ da 23 anni a questa parte, si scontra con il 1 maggio post-identitario. Palinsesto ridimensionato anche dal budget sindacale. Sul palco non c’erano i blasonati Robert Plant, Sting, Lou Reed, forse perché la primizia concertistica quest’anno vedeva altre due piazze a sfilar platea: Bagnoli, Napoli appunto e la manifestazione alternativa di Taranto. Ma del Concertone del Primo Maggio ha fatto più notizia l’esclusione di Fabri Fibra, decretata per una canzone ritenuta omofoba e sessista dall’associazione femminista D.i.Re, mentre in realtà gli autori sostengono raccontasse l’alfabeto di rabbia di un mondo che i sindacalisti non frequentano più, o che non hanno mai frequentato.
1 maggio bicefalo. Impazzano anche le accuse, gli strappi e le contestazioni a strumentalizzare fatti recenti che trovano sempre la responsabilità di tutto “negli altri”. E’ bastata una frase della neo presidente della Camera Laura Boldrini che, a margine della sua “bella” partecipazione alle celebrazioni commemorative di Portella della Ginestra, prendeva atto di uno stato di malessere del Paese in cui “la crisi rendeva le vittime carnefici” per vedere la reazione di quella parte del parlamento italiano che gli scontri li ha sempre nutriti lasciando alle forze dell’ordine il compito di sedare la folla e di subire – a rischio della propria stessa vita – gli “invasati”. Arriva tempestiva così la replica di Maurizio Gasparri, in un clima già teso come quello di ieri. Il deputato Pdl non ha gradito le parole della presidente della Camera sulle vittime che possono diventare carnefici. Ma le foto sue con il dito medio alzato sui manifestanti nei giorni scorsi, restano comunque in possesso delle agenzie. Un primo maggio, quindi, bicefalo che riempie le piazze di svariate sfumature ma che continua a contrapporre gli stessi politici ancora inconsapevoli che le piazze, forse, non andrebbero mai strumentalizzate.
Il “concertone” verso il crepuscolo.
Sintonizzarsi sulle frequenze del Concerto del primo maggio è una prassi per i tanti che rientrano dalle uscite campestri tipiche delle giornate d’inizio maggio. L’appuntamento canoro organizzato dalle tre sigle confederati di Cgil, Cisl e Uil è da anni luogo di confronto e di ascolto della piazza e dei giovani che accorrono numerosi da ogni parte d’Italia.
Su quel palco però qualcosa non è andata secondo copione, un copione rivisto fino all’ultimo con la stretta su nomi e sui contenuti delle apparizioni artistiche. Non è bastata la conduzione di Geppi Cucciari e della insostituibile satira del caso (almeno questa).
Elio e le storie tese fotografano il “luogocomunismo” che si è impadronito della festa del lavoro, scrivendone proprio una canzone – Il complesso del primo maggio – che scatta un’istantanea fedelissima delle indignazioni da copione che si susseguono una dopo l’altra dal palco di piazza San Giovanni: Curre curre guaglio’, la musica balcanica, bella ciao. Sempre uguali. Sempre le stesse. Sempre più noiose. Le accuse non sono poche ai tagli voluti dai sindacati. Tagli di risorse, complice l’emergenza attuale, tagli di talent, un po’ meno “allineati” ai sindacati.
E così la cacciata dal concertone del rapper più noto d’Italia assume questa dimensione simbolica inesplorata. È l’esclusione di una parte della società dal bon ton del sindacalismo, si chiedono in tanti? Per Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti non è un momento facile. Il limite delle tessere inizia a pesare. Sempre meno pensionati e dipendenti della pubblica amministrazione, sempre più giovani precari ad arruolarsi nei sindacato di base, alternativi e contestatari della primogenitura sindacale.
In piazza forse mancava il lavoro o gli stessi lavoratori se l’immagine che ci resta di questo “Concertone del Primo maggio” è un condom alzato al cielo come se fosse un ostia e le polemiche e le prese di distanza da parte degli organizzatori “ingenui”, a sovrastimare un cartello di artisti “nouveau” di cui andava meglio curata la mimica e la capacità artistica, visto che quella dissacrante e diretta non è mancata. Un flash che rimbalza tra Facebook e YouTube e scatena polemiche e annunci di cause legali. Protagonista del gesto, il leader dei Management Dolore Post Operatorio prima di esibirsi nel pezzo «Porno bisogno». Dalla piazza la gag rimbalza in Rete, finché arriva la presa di posizione, durissima, dell’organizzatore Marco Godano: “Mi dissocio duramente per la violenza e la scorrettezza che perseguiremo anche per vie legali confermando ancora una volta che laddove gli artisti non sanno autoregolamentarsi, per quanto ci riguarda, non sono degli artisti in linea con lo spirito del concertone” fa sapere Godano. “Sottolineo inoltre come questi atteggiamenti stridano con i temi culturali, artistici e sociali che questo palco rappresenta. Infine – conclude – trovo che sia uno schiaffo alla compostezza e alla passione che ci arriva da centinaia di migliaia di spettatori”.
Eppure qualcosa di “bello” è uscito dal tubo catodico.
L’esecuzione originale dell’Inno di Mameli con i cento violincelli di Giovanni Sollima, Max Gazzè nella sua nuova veste profetica, Nicola Piovani che esegue la colonna sonora del film “La Vita è bella”. Non è mancata la parte dedicata alla scuola pubblica, baluardo delle organizzazioni sindacali e luogo in cui si costruiscono le esistenze dei nostri piccoli ma anche luogo dove si consuma l’impegno non adeguatamente retribuito di insegnanti precari in attesa di migliori soluzioni contrattuali.
Giusy Grasselli è una maestra di Reggio Emilia. Sul palco porta la sua esperienza. “La scuola pubblica deve poter garantire ad ogni bambino la stessa possibilità di crescita e istruzione per difendere la vita. Alla base della scuola pubblica c’è un principio semplice: ogni cittadini ha i diritti i tutti gli altri. I tanti e troppi tagli ai danni della scuola hanno fatto mancare le risorse per l’alfabetizzazione dei bambini stranieri. C’è urgente bisogno di rifinanziare la scuola pubblica, laica” Leggiamo le risposte di bambini che “se fossero al Governo il mondo sarebbe migliore”, assicura Geppi Cucciari.
Importanti testimonianza anche da parte di imprenditori come Arianna Occhipinti, ospite sul palco, che racconta la sua storia. Produce vino “Ho imparato che la terra va rispettata, per quello non uso pestidici né fertilizzanti chimici. La mia uva non ne ha bisogno!”. Ora coltiva diciotto etteri di terra. “Anche io mi sono comprata la macchina! Prima il trattore, poi l’imbottigliatore”. Mi chiamo Arianna, sono fiera di essere agricoltore. Interviene Flavio Soriga che racconta come la Sardegna debba essere un’isola incantata e felice e di come i contadini siano stanchi di flettere la schiena di una vita senza potersi arricchire e aiutare i figli a studiare e a vivere il mondo.
Intanto, alle 18:44 Roberto Giacobbo in diretta da Napoli dalle ceneri della Città della Scienza, distrutta da un brutto incendio saluta la Piazza “madre”. Un saluto speciale anche alla piazza di Taranto per provare a riconciliare la piazza “istituzionale” con quelle “alternative”.
A conclusione della giornata, fioccano le prime richieste di annullare il concerto e devolvere l’intero costo a favore di un fondo per sostenere chi ha davvero bisogno, sarebbe il miglior modo, oggi, di festeggiare tutti assieme il Primo maggio, con la coscienza a posto, e salvando la vera tradizione, quella vera, quella della solidarietà e del lavoro. Concertone verso il crepuscolo?