Esistono diversi tipi di dolore. Alcuni più leggeri, altri più invasivi. Alcuni che sfiorano soltando, altri che lacerano. Esiste il dolore fisico, che sia acuto o cronico. Ed esiste poi il dolore dell’anima. Per entrambi non esiste vera e propria “educazione”, ma esistono cure, rimedi. Se non per eliminarlo, almeno per alleviarlo.
Quello di Fulvio De Nigris, è sicuramente un dolore dell’anima. Un’anima ridotta a brandelli di chi perde il figlio, Luca, per ben due volte. Prima strappato via dal coma e, dopo il suo risveglio, dalla morte. E che insieme al figlio, perde anche, irrimediabilmente – come lui stesso dice – una parte di sè. Quella parte che esisteva solo con Luca, solo perchè esisteva Luca. Un dolore intimo, che adesso rende patrimonio di quanti da esso vogliono attingere per trovare conforto, come si attinge ad una sorgente nel bel mezzo del Sahara. Basterà a ristorare solo per pochi istanti, ma che saranno comunque preziosi. E la sorgente è il libro “Sento che ci sei”, di cui Fulvio De Nigris è autore, che oggi viene presentato a Bologna, nel corso di una tre giorni dedicata al Centri Studi Casa dei Risvegli, di cui De Nigris è fondatore e direttore. In questo libro, e allo stesso modo nell’intervista che mi concede, racconta, attraverso la sua esperienza, il dolore e le terapie con le quali l’ha trattato per imparare a conviverci e trasformare l’esperienza del coma in rinascita. Come una fenice che, dopo le fiamme, risorge dalle sue ceneri.
“All’inizio era un dolore molto acuto, poi diventato sempre più sottile, quasi un bene profondo – dichiara Fulvio De Nigris”. Quasi un diamante incastonato dentro di se, “qualcosa di prezioso – continua De Nigris – da far rivivere in tutte le cose che facevo, nelle cose che facevo con Luca e ricordavano lui. E mentre le facevo sentivo che c’era, che era presente”. Ecco quel titolo: “sento che ci sei”. Perchè probabilmente anche ogni volta che De Nigris prendeva la tastiera in mano per aggiungere a questo libro anche solo un periodo, Luca c’era, era lì con lui. Ma accanto al dolore della perdita del figlio, in Sento che ci sei, egli racconta il dolore del coma. “Un dolore che è malattia per tutta la famiglia, e per il quale tutta la famiglia andrebbe curata”. Il dolore dato da una situazione che è sospesa, appesa a un filo come quello che le Moire della mitologia tessono, svolgono e d’improvviso recidono. ” E’ una condizione difficiel quella del coma – confida De Nigris – perchè sembra che la persona non ci sia. Che con essa non ci possa più relazionare, ma poi, quando si iniziano ad affinare dei mezzi di comunicazione sottili, che non sono più quelli verbali o della miminica o dell’agire, ma che sono il contatto, lo sguardo, l’amore, allora si riesce a sentire molto anche nel silenzio del coma”. Ma anche quel silenzio che il coma porta con sè, è un silenzio che disturba, che fa tanto rumore da risultare quasi assordante. Forse perchè forzamente educa a un dolore a cui, in realtà non si sarà mai abituati, da cui in realtà non si sarà mai incolumi. E se adesso, a dare sostegno a chi come De Nigris,vive l’esprienza del coma, c’è la Casa dei Risvegli, quel dolore che non riesce mai ad educare davvero, il padre di Luca ha dovuto affrontarlo da solo. “Ho avuto certamente il supporto di alcuni operatori più sensibili – dichiara – e di altri familiari che avevano vissuto la medesima situazione, e certamente attingere dal dolore degli altri è servito alla mia famiglia per cominciare, ma per il resto ho dovuto contare molto su me stesso”. Fa notare come il numero verde, a cui adesso ci si può rivolgere, prima non esistesse. E come allo stesso modo non vi fossero libri da consultare, se non libri scientifici. “Libri che ti dicono come è strutturato il cervello, ma che non dicono ai familiari di chi è in come cosa fare”.
E proprio per questa ragione, perchè De Nigris sa cosa vuol dire partire da zero, e sa quanto a lui possa essere servito attingere dal dolore degli altri, adesso vuole che altri attingano dal suo. “Io sono dovuto partire dai blocchi di partenza – dice – e non sapevo neanche cm partire. Adesso cerco di fare partire gli altri almeno da ottanta, cento metri più avanti… forse anche di più. Perchè la portata di questa gara è di molti chilometri”.
E il dolore che si prova mentre si gareggia in questa corsa tra la vita e la morte è lancinante. Ma ad esso, come detto all’inizio, Fulvio De Nigris e la moglia … hanno trovato la terapia. Hanno trovato la morfina che allevia il dolore, e tra le lacrime del pianto fa sorridere. Fa sorridere quando si mette la propria esperienza al servizio degli altri, quando si da sostegno a qualcuno e questo sostegno a sua volta, fa incurvare le labbra di un altro in un sorriso. Un dolore che porta il sorriso, quando qualcun altro da quel come si sveglia, un dolore che diventa energia, senso di dover fare di più quando qualcuno, come Luca, non ce la fa. In questo modo De Nigris ha deciso di non subire passivamente un dolore che comunque non poteva svanire, ma ha scelto di condividerlo e di attivarsi per gli altri con la fondazione de La Casa dei Risvegli e l’associazione Amici di Luca. ” E quello che rimane – spiega De Nigris – sono una grande consapevolezza e un grande insegnamento. La consapevolezza che il dolore fa comunque parte della vita, ci sfida ed è una sfida che va accettata. E l’ insegnamento che il dolore, ancor più della rabbia, è un grande motore, una grande energia”. Un’ energia che spinge con forza per non restare fermi nell’autocommiserazione, ma per fare e fare sempre meglio. Forse non è stato Fulvio De Nigris ad essere educato al dolore, ma è stato il dolore ad educarlo.
Ecco perchè nel suo libro lui può dare solo consigli dalla sua esperienza e non insegnamenti. Può confortare, con le sue parole, il dolore degli altri, ma ad esso non può educarli. Può però coinvolgere i non coinvolti, perchè, come dichiara lo stesso De Nigris, “è importante che le persona si interessino a queste realtà prima di esserne travolti”. Ma soprattutto è importante coinvolgere anche chi non ne è colpito, perchè potrebbe sempre esserlo, e perchè è essenziale l’impegno collettivo dato che c’è ancora molto da fare. Ci sono ancora diritti delle famiglie dei malati che non vengono garantiti e tutelati. C’è un’offerta da dover equiparare ai bisogni di tanti. Ai bisogni di questo “piccolo grande mondo che resta comunque una maggioranza – minoranza solitaria, alla quale il mondo circostante fa fatica a guardare”. Forse perchè in molti, come scrive Alessandro Bergonzoni nell prefazione di Sento che ci sei, “hanno gli organi dell’immedesimazione atrofizzati”… dall’indifferenza.