Di loro si dice … che rapiscano i bambini e le donne che visitano i loro negozi, per trafficarne gli organi.
Di loro si dice … che riciclino i documenti , che nei propri ristoranti vengano cucinati piatti esotici a base di cani o gatti … che nessuno abbia mai visto un matrimonio cinese … figuriamoci un funerale, rito presente in tutte le popolazioni, ma quando si parla di cinesi…tutto pare avvolto nel più totale mistero.
Proprio sulle usanze funebri di questa popolazione, sia nelle città che nei piccoli centri, circolano dicerie piuttosto stravaganti che vanno dalla presunta immortalità dei cittadini cinesi, al convincimento che quando uno di loro passa a vita migliore, i familiari improvvisino forni crematori artigianali o ancora che seppelliscano i propri cari nel giardino di casa, liberandosi in tal modo dei corpi. Queste spiegazioni vengono addotte per alimentare la leggenda che nessun italiano abbia mai visto un funerale cinese, ne tantomeno una lapide in onore di un defunto di etnia cinese nei nostri cimiteri.
Partiamo con lo sfatare il mistero circa la destinazione “finale”di questi defunti . Nei cimiteri dei grandi centri urbani, le lapidi in memoria di cittadini cinesi, ce ne sono e come! Si trovano soprattutto nelle città in cui le comunità cinesi si sono storicamente insediate, dando vita alle cosiddette chinatown italiane, come quella di Prato in Toscana per esempio, che detiene il primato della più alta concentrazione di cinesi in nell’ Italia e nell’intera Europa, segue la chinatown di Roma nel Lazio, e quella di Milano in Lombardia.
Il mistero che avvolge la morte dei cittadini cinesi, viene presto svelato se si prende in considerazione che questi migranti hanno un’età media bassa, che va dai 25 ai 45 anni; sono cittadini che, dopo aver consolidato la loro condizione economica , rientrano nel loro paese, lasciando il posto ad un connazionale. Nel 2007 ad esempio, la presenza di popolazione anziana, oltre i 60 anni, era pari allo 0,74%, un ultrasessantenne ogni135 cinesi. Forse è più opportuno parlare di assenza di anziani in questa comunità, non di presenza. Questo dato è particolarmente significativo se confrontato con la popolazione italiana, dove si registra un ultrasessantenne ogni 4 residenti.
Inoltre è noto che i cinesi preferiscano curarsi con la medicina tradizionale cinese. Qualora si presentasse una malattia grave, la prima cosa che un cinese fa è quella di rientrare in Cina per curarsi. Questo spiegherebbe il basso numero di decessi di cittadini cinesi in Italia. Quei pochi che muoiono, vengono regolarmente seppelliti o i familiari provvedono al trasferimento delle ceneri in patria.
Piuttosto, c’è un aspetto della cultura cinese molto interessante su cui vale la pena soffermarsi, una sorta di patrimonio vitale, che permette ai flussi di persone provenienti dalla Cina, di unirsi tra loro in Italia.
Non è la solidarietà per come la intendiamo noi, è un elemento sconosciuto nel nostro sistema culturale. Questo elemento, è l’ingrediente segreto che permette a qualsiasi comunità cinese sparsa per il mondo, di dar vita a legami prima sconosciuti, mette in relazione le conoscenze di persone che diventano conoscenze comuni in grado di farsi carico completamente delle difficoltà del nuovo arrivato .
Ha un nome particolare, si chiamata guanxi.
Guān xì ha vari significati: relazione, vincolo, rapporto, importanza, significato, causa, motivo.
La guanxi è uno degli elementi più significativi della cultura cinese, è una sorta di sistema di mutuo soccorso che viene attivato all’interno di una fitta ragnatela di conoscenze, di amici degli amici.
Attraverso questo collante sociale, ogni cinese, ha la possibilità di avere la sua occasione quando lascia la propria terra in cerca di fortuna. Un cinese che si trova in difficoltà in un paese che non è il suo, sa che può chiedere aiuto e sa anche che qualcuno, risolverà i suoi problemi, in cambio di lealtà, fiducia e reciprocità.
La guanxi è un sistema mentale di tipo culturale che viene messo in pratica non solo per aiuti di tipo economico, ma anche per risolvere litigi che altrimenti rischierebbero di rimanere senza soluzione o degenerare.
Questa necessità di ricreare un gruppo che protegga e dia opportunità ai singoli, lo ritroviamo anche nell’ambito familiare cinese. Per i cinesi esistono tre tipi di famiglia. Non solo la famiglia elementare, composta da marito, moglie e figli, e quella estesa, che comprende anche diversi gruppi familiari, ma esiste anche la famiglia “economica”… anch’essa ha una definizione precisa, si chiamata chia.
È un elemento sorprendente, in grado di attivare catene di solidarietà impensabili per noi. La chia, come la guanxi, va al di la dei vincoli di sangue e ruota intorno ad un bene che viene messo in comune, come un ristorante, un negozio o una qualsiasi altra attività commerciale.
Le persone che lavorano nell’impresa dividono i proventi e sono legati da vincoli che trovano la loro giustificazione nella guanxi. Questo modello di “famiglia economica” vale sia per chi svolge un’attività onesta , sia da chi vive assiduamente nell’illegalità.
In virtù di questo meccanismo, in Italia le dimensioni e la vivacità dei quartieri che crescono come formicai. A centinaia, senza sosta, silenziosamente, senza farsi notare, si stabiliscono e conquistano fette sempre nuove di condomini, vie e quartieri .
Sembrano provenire tutti arrivano dalla stessa zona della Cina, la provincia dello Zhejiang, dico “sembra” perché in effetti è difficile stabilire la loro provenienza, visto che sui loro passaporti non viene indicato il luogo di nascita o di provenienza, ma soltanto la provincia.
Non pensate che si tratta di un’area povera, tutt’altro. Questo lo possiamo constatare dal fatto che i cinesi che arrivano in Italia non hanno il piglio dei disperati che si accontentano di qualsiasi cosa. Sono lavoratori instancabili che ambiscono ad avviare aziende remunerative. Guadagnano, risparmiano, accumulano denaro che spesso prende la via di casa.
Secondo la Banca d’Italia, le rimesse verso la Cina effettuate utilizzando i Money Transfer , sono passati nel 2004 da 429 milioni di euro, a 1.687 milioni di euro nel 2007.
L’aumento vertiginose delle rimesse verso la Cina, ci fa pensare che questo fiume di danaro, anziché trovare impiego in Italia, rimettendo in moto un’economia che fa fatica a risalire il fosso, viene portato fuori, producendo ricchezza altrove e incoraggiando indirettamente le catene migratorie Made in Cina.
Nicoletta Rosi