Correva l’anno 1991. In parlamento si discute di amianto. Questa volta però si affaccia una novità.
Dopo numerose battaglie sindacali si grida un’amara verità, racchiusa già nei titoli dei giornali. Sull’Unità si legge: ”L’amianto ha ormai i giorni contati, è fuori legge[1]. Tuttavia, l’Italia arriva in ritardo rispetto alle direttive europee, che già ne avevano chiarito la pericolosità: A proposito ci sono state le direttive CEE del 19 settembre 1983 e del 13 marzo 1987 che vietano l’estrazione e la lavorazione dell’amianto. Un metallo insomma pericoloso molto usato per la sua natura di resistenza acidi: cemento, amianto per lastre, tubi prefabbricati, pannelli antincendio, ma le fibre sono state usate anche negli oggetti di uso comune, come i ferri da stiro. Intanto gli operai della Sacelit, fabbrica di San Filippo del Mela in Sicilia, ignari dei poteri devastanti, ogni giorno si recavano sul posto di lavoro.
L’imperativo categorico, naturalmente, era guadagnare per supportare la famiglia. Ogni giorno le fatiche del salario erano però aggravate da un pericolo latente. La malattia nelle sue molteplici forme. La più conosciuta e forse la più diffusa l’asbestosi. Una patologia incurabile cronica che interessa i polmoni e che procura difficoltà respiratorie, provocata da un’esagerata esposizione all’amianto o abesto, per chiamare la stessa cosa con due nomi diversi. È classificata come malattia professionale. La fabbrica ha operato dal 1958 al 1993. ed è stata chiusa consegnando un scia di morti. Morti non sul lavoro, ma per il lavoro. La lista nera però oggi ingrossa le sue fila. A comunicarlo è il presidente del comitato ‘Ex esposti amianto e ambiente” Salvatore Nania attraverso un comunicato stampa: Dopo mesi di sofferenze questa volta è morto Santo Andaloro, 80 anni anche lui colpito da malattie che riguardano l’esposizione all’amianto.
“Per molti anni nei terreni attigui all’azienda erano sotterrati centinaia sacchi di iuta con migliaia di tonnellate d’amianto e vasche di decantazione pieni di fanghiglia dove era presente eternit“. Molto spesso i rifiuti dell’amianto venivano inoltre gettati in mare e riteniamo che inizialmente venissero anche scaricati nei torrenti vicini. Quello che però allarma e desta preoccupazione è il problema della bonifica che ancora attanaglia queste zone, come sottolinea ancora il presidente Nania: “Il problema generale è che nei confronti dell’amianto c’è stata molta approssimazione, sia prima che non si conoscevano gli effetti devastanti, ma anche ora. Basta girare per le strade per vedere quanti tetti di amianto ancora ci sono tra gli edifici. Speriamo che il governo nazionale e quello regionale affrontino seriamente il problema, affinché ai nostri figli e nipoti non accada quello che è accaduto a noi. E da una cultura di morte si passi così ad una cultura di vita. Io sono malato, ma la cosa che mi lascia più esterrefatto è vedere i miei colleghi morire uno dopo l’altro”. Una legge, la n.257 del 1992 anche in Italia, dopo molti dibattiti ne ha attestato la pericolosità.
Ora però quello che manca è l’analisi e il controllo del territorio e una sana cultura della sicurezza, auspicata da più parti, ma soprattutto da questi numeri di morti che accecano.
Ad oggi
le vittime dell’incuria sono 109.
[1] L’Unità, 20 dicembre 1991.
Claudia Benassai