Il mega parco commerciale e le mire della criminalità organizzata su Barcellona P.d.G.

Che le piccole imprese stiano fallendo sempre di più nella regione Sicilia è un dato di fatto. Quelle  più responsabili, interamente votate al sacrificio riescono a fatica a pareggiare il bilancio tra entrate ed uscite finanziarie soprattutto nei piccoli comuni di provincia. Eppure a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, sta per sorgere un mega parco commerciale in un’area di ben 184 mila metri quadri, adibita a terreni agricoli. Nessuno è contro lo sviluppo economico o il progresso delle realtà provinciali ma la scelta è a dir poco discutibile e condannabile.

Lo svolgimento dei fatti è piuttosto inquietante sin dagli inizi. La conversione della destinazione d’uso di quella superficie, da agricola a commerciale, è stata eseguita con una repentina variante al PRG (e si parla tanto di sicurezza del territorio in materia di espansione edilizia). La curiosità è che Barcellona è già provvista della sua area commerciale (non avrebbe avuto bisogno di una integrazione) e, negli ultimi 15 anni, non ha espresso volontà o anche disponibilità (in funzione   delle risorse) di crescita economica se non fosse per l’apertura di una settantina di negozi la cui produttività annua si attesta comunque al di sotto della media regionale. Ma volendo tralasciare tutto questo, non si può non ricordare che la cittadina tirrenica, definita “roccaforte della mafia messinese” dal procuratore della DDA di Messina Guido Lo Forte, è stata fucina di tanti componenti di spicco della criminalità organizzata tutelandoli nell’attuazione dei loro malaffari. Tra questi, emerge tale Rosario Pio Cattafi, un avvocato che, oltre ad essere pluripregiudicato per vicende legate a Cosa Nostra nonché specializzato in traffici di droga ed armi, risulta il titolare della “Dibeca Snc” ovvero la società che si è aggiudicata l’appalto del mega parco di Barcellona. Ampia libertà di azione dunque per quest’uomo che ha costituito l’impresa nel lontano 1982 e che ha collocato il farmacista Agostino Cattafi, suo fratello, poi sindaco del comune tirrenico di Furnari (Messina) come amministratore unico per i successivi cinque anni. Ampio raggio d’azione per una società che spazia dall’esecuzione di lavori edili, stradali, marittimi, ferroviari, idraulico-forestali, acquedotti, fognature al movimento terra, acquisto, vendita, amministrazione e gestione di terreni, fabbricati di civile abitazione, turistico – alberghieri, industriali e commerciali. Senonchè i “loschi” movimenti del Cattafi sono diventati troppo evidenti e pubblici (anche per chi lo tutela!) fino al passaggio di consegna degli affari a tutta la sua famiglia al completo. La “Dibeca” è costretta da “cause di forza maggiore – giudiziarie” (e non da esigenze di mercato!) a trasformarsi in “Dibeca S.A.S. di Corica Ferdinanda & C.”, società in accomandita semplice in cui compaiono come affiliati Alessandro e Maria Cattafi e Nicoletta Di Benedetto, rispettivamente figlio, sorella e madre di Rosario Cattafi.

Avevamo rilevato e sintetizzato tutto questo attraverso l’intervento del sen. Beppe Lumia, nel corso della commemorazione di Beppe Alfano avvenuta tre settimane fa (vi rimandiamo nei dettagli all’articolo correlato, relativo al 17° anniversario del cronista barcellonese).    

A curare l’inchiesta scandalosa finita ormai anche in Parlamento, è il giornalista Antonio Mazzeo con cui se n’è discusso lo scorso 27 gennaio, al Comune di Messina, durante il Laboratorio politico, organizzato dalla “Casa matta della Sinistra”. Ad intervenire anche il prof. Giuseppe Restifo dell’Università di Messina che ha illustrato i collegamenti tra le logge massoniche e Barcellona P.d.G. a partire dagli anni ’70. A coordinare il dibattito è stato Daniele David, segretario della Nidil CGIL.

Immancabili Angelina e Gianluca Manca, madre e fratello di Attilio trovato morto “misteriosamente” nella sua casa a Viterbo sei anni fa. Un caso tutto messinese che la Procura tenta di archiviare come suicidio, malgrado ci siano prove esplicite a carico del boss Provenzano.

Tornando alle “anomalie” verificate che riguardano la mega opera, il quesito più spontaneo è: “Chi è Ferdinanda Corica?”. E’ la titolare a tutti gli effetti dell’impresa ma che possiede una quota sociale di 35,12 euro, assolutamente irrisoria per un investimento che supera i 200 milioni di euro. Non è dunque una parente del Cattafi ma è sicuramente un’amica stretta, legata dal titolo di moglie a Stefano Piccolo che risulta lo storico commercialista di Cattafi.                      

Il progetto della Dibeca ha ottenuto l’OK dal consiglio comunale di Barcellona circa due mesi fa, esattamente lo scorso 16 novembre, senza alcuna titubanza o rimostranza da parte di singoli o gruppi politici del civico consesso malgrado sappiano le identità di chi sta dietro questa speculazione edilizia. 

Un altro elemento da notare in questa controversa vicenda è il rapporto “accomodante” e “parziale” del Comune di Barcellona verso la famiglia Cattafi. A presentare una richiesta di approvazione di un progetto destinato a parco commerciale non è stata solo la Dibeca ma anche la GMD, Grande Distribuzione Meridionale SPA di Campo Calabro (RC) e con un certo anticipo rispetto alla prima. Eppure l’amministrazione ha accettato quello della Dibeca. Per la precisione, la GMD sembra essersi tirata indietro dopo aver mostrato molto interesse per quel terreno già da diversi anni. Infatti, la GMD aveva stipulato con i Cattafi un contratto di comodato d’uso per i 5,24 ettari di terreni ricadenti in contrada Siena e compresi tra Barcellona e la Piana di Milazzo. Questo vasto appezzamento aveva e ha un enorme valore perché ricco di fonti idriche e per cui la Dibeca ha pagato un caro prezzo, 800 mila euro, per rilevarlo nel 2005 dai salesiani. Malgrado questo valore, i Cattafi lo hanno ceduto, addirittura con la promessa di un successivo acquisto, alla GMD che, nel giugno del 2007, si fa avanti con questo piano particolareggiato per costruire centri adibiti alla grande distribuzione, strutture alberghiere, di ristorazione e svago, tutti annessi alla grande oasi commerciale. A redigere il piano è stato l’architetto barcellonese Mario Nastasi che ha posto una serie di condizioni inaccessibili per l’acquisto dei terreni. Nel maggio del 2008, la GDM ha deciso di rinunciare al progetto solo perché non è riuscita a soddisfare quei punti indicati quali “l’ottenimento, entro e non oltre tre anni dalla stipula del contratto, sia dell’approvazione del progetto, sia del rilascio della relative concessioni edilizie da parte del Comune, sia dell’autorizzazione amministrativa commerciale per l’apertura di una grande struttura di vendita”. A chiarirlo è stato Piergiorgio Sacco, presidente della società di Campo Calabro. Perché si realizzasse comunque il progetto fu necessario il cambio di titolarità della concessione edilizia. A presentarlo ci ha pensato il 5 gennaio 2009 proprio la Dibeca, proprietaria dell’area di contrada Siena.

Gli anni antecedenti all’iniziativa della GMD, sembrano incerti per il futuro aziendale della Dibeca che, nel 2006, finisce sotto i riflettori della commissione prefettizia per aver siglato un contratto di affitto con il Comune di Barcellona per un palazzo di via Operai n. 72 che ha dovuto ospitare uffici pubblici. L’affitto per la durata di sei anni era stato stipulato con Alessandro Cattafi, “amministratore unico della Dibeca, in sostituzione della proprietaria, Nicoletta Di Benedetto”, dietro corresponsione di un canone annuo di 27.888,67 euro. Inesorabile il giudizio degli ispettori che segnalano “come l’amministrazione comunale, sia al momento della stipula del contratto di locazione che durante l’intera durata del contratto stesso, non abbia accertato e, soprattutto, non abbia evitato che l’Ente locale potesse avere rapporti economici con la società gestita dai familiari di un soggetto sottoposto a misura di prevenzione ai sensi della Legge antimafia 575/65”. La società non venne intaccata da questa macchia sul curriculum sebbene lo stesso organo di governo che aveva stanato la “sordida relazione d’affari” avesse chiesto a quell’epoca lo scioglimento del Consiglio Comunale. Per un anno, quattro ispettori (il prefetto Antonio Nunziante, il vicequestore Giuseppe Anzalone, il capitano dei carabinieri Domenico Menna e il comandante della Guardia di Finanza Domenico Rotella), hanno studiato delibere ed atti amministrativi fino a concludere che “troppe scelte amministrative sono state subordinate agli interessi della criminalità locale”. Inviata a Roma la relazione ispettiva, inspiegabilmente viene bocciata dal ministro degli Interni Giuliano Amato che ha deciso di non firmare il decreto di scioglimento.

Amministrazione e consiglio comunale hanno portato a termine regolarmente la legislatura e si sono riproposti vittoriosamente alla tornata elettorale del 2007 guidati da Candeloro Nania. Ma la verità che fa rabbrividire è che le istituzioni conoscevano bene la storia della Dibeca e che tra i soci ci fosse Rosario Cattafi, un riferimento importante per quella parte “marcia” di Barcellona perché, secondo quanto detto dalla commissione prefettizia, “ha reso la cittadina luogo di convergenza della mafia palermitana e catanese, intrecciandosi con imponenti operazioni finanziarie e di traffici illeciti che conducono fino a Milano”.            

Se non bastasse tutto questo, tale Rosario Cattafi, già indagato dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta ed iscritto nel registro per mandanti occulti nelle stragi di Capaci e via D’Amelio, compare tra i soci e frequentatori del circolo culturale “Corda Fratres” di Barcellona Pozzo di Gotto, dove si aggiravano tanti politici, imprenditori e uomini di legge. Tra questi è necessario ricordare il dott. Antonio Franco Cassata, procuratore generale della Corte di Appello di Messina, e il sen. Domenico Nania, vicepresidente del PdL al Senato e componente della Commissione Ambiente e Territorio. A riferirlo, ormai, sono tanti rappresentanti autorevoli della lotta alla mafia.

Ultimamente, il sen. Nania è diventato protagonista di un’altra vicenda giudiziaria. Il 25 ottobre del 2009, a Barcellona presso Piazza Marconi, è scattato il blitz ordinato dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Messina, Angelo Cavallo e Giuseppe Verzera contro gli iscritti della loggia massonica “Ausonia” che operavano in questo appartamento. Gli agenti della polizia di Stato hanno provveduto al sequestro dell’elenco dei soci, di statuto e verbali delle riunioni. E’ stato ipotizzato il reato di violazione della cosiddetta legge “Spadolini-Anselmi” che dispone il divieto di formare associazioni segrete, entrata in vigore dopo lo scandalo della P2 di Licio Gelli. E “dietro tutto questo staglierebbe, quale promotore e artefice ideatore, la figura del Senatore Domenico Nania”.
La Squadra Mobile della Questura di Messina ha ritenuto che l’“Ausonia”, fondata sei anni fa, non abbia nulla a che vedere con “studi filosofici ed approfondimenti culturali” e la sua esistenza non sembra essere stata neanche registrata in Prefettura. Dunque la loggia appare finalizzata “all’acquisizione ed al consolidamento di posizioni di vertice, nei contesti professionali e lavorativi in cui operano, ed incarichi presso strutture sanitarie che forniscono un bacino elettorale a cui attingere di volta in volta nelle competizioni amministrative e politiche”.

A sollevare il caso dell’esistenza nel Longano di associazioni segrete e logge massoniche non autorizzate è stato l’imprenditore edile Maurizio Marchetta, titolare della Cogemar Srl ed ex vicepresidente del consiglio comunale di Barcellona con AN, già indagato nel 2003 nell’ambito dell’operazione “Omega”. Marchetta ha puntato il dito sulla “Gran loggia Ausonia” e sulla associazione “Onlus Ausonia”, che si è costituita, qualche mese dopo la prima, per agire indisturbata nel nome della beneficenza e di attività culturali. “Presso la sede dell’onlus afferiscono ben tre logge massoniche occulteha raccontato il manager della Cogemar Srl – e sono circa 40 gli iscritti tra medici, avvocati, informatori scientifici e liberi professionisti che sfruttano la loro appartenenza massonica per ottenere in cambio incarichi e varie forme di potere da parte di politici locali”. Attraverso di loro si è diramata una rete di collegamenti con la Sicilia e la Calabria, fino ad arrivare a circa mille componenti.

Tra gli associati alla presunta loggia massonica risultano sei gli indagati: primo tra tutti Felice Carmelo La Rosa, innanzitutto proprietario dell’appartamento “sospetto” di Piazza Marconi e, di professione, direttore del Pronto soccorso dell’ospedale “Cutroni-Zodda” di Barcellona. Innegabile che la vita politica lo abbia sempre accompagnato nella sua carriera: é stato consigliere ed assessore della Provincia di Messina nella file di Forza Italia.
La Rosa è stato indicato dall’imprenditore come “riferimento unico della massoneria barcellonese del senatore Nania, con il quale si scambiano reciprocamente cortesie”. A quanto pare, è legato anche da parentela al vicepresidente del PdL mentre un suo fratello è consigliere comunale a Barcellona nelle liste di An.     

Marchetta ha rivelato di essere iscritto da tempo alle logge del Grande Oriente d’Italia e ha fatto i nomi di diversi medici che grazie al sen. Nania sono stati promossi ad incarichi di rilievo, ad esempio nell’ospedale di Barcellona quindi una fortezza elettorale innalzata intorno al settore della sanità.

L’inchiesta giudiziaria sulla Gran Loggia “Ausonia” è stata aperta ed anche archiviata da parte della Procura di Barcellona in quanto la loro attività è risultata rispettosa delle leggi dello Stato italiano. La Rosa ha preso le distanze da qualunque possibile accusa di influenzare la vita politica ed amministrativa del paese. Eppure a distanza di un mese dal blitz, è stato revocato il sequestro di tutti gli atti su disposizione della Procura distrettuale antimafia di Messina.

”Dopo il “No B Day” e il “No Craxi day”, arriva il “No N – ania Day” organizzato non davanti al Senato o in grandi piazze della capitale bensì “in piccolo” la prossima domenica 31 gennaio, a Milazzo presso la Sala Rotonda Paladiana.

A pubblicizzarlo è la Sinistra Milazzese, pronta a denunciare la rete che si stende sulla provincia di Messina.

“E’ quella intessuta dal sen. Mimmo Nania e dai suoi pretoriani – spiega il documento diffuso dalla Sinistra del comune tirrenico. Buzzanca sindaco a Messina, l’amico Italiano a Milazzo, il cugino a Barcellona PG, il nipote alla Provincia, l’amico, (ex assessore) on. Formica alla Regione eccetera…”

“La sanità sotto controllo, le assunzioni, l’amicizia, e di comune in comune così via dicendo…

Noi vogliamo stendere un’altra rete su questa provincia, quella delle donne e degli uomini che credono nella Bellezza della Politica, e ne vogliono contrastare la gestione feudale. In fondo, anche noi dobbiamo riconoscerci come un popolo che ha valori e sogni comuni”.

“Per questo – continuano i promotori – organizziamo un giorno dedicato all’analisi del sistema di potere che grava sulla provincia di Messina e in particolare sul comprensorio Milazzo – Barcellona – Valle del Mela. Un giorno in cui il sen. Mimmo Nania, la sua storia, le sue truppe, le sue disavventure, saranno raccontati e analizzati, senza mai demonizzare la persona, con il contributo di storici, ricercatori, giornalisti e cittadini comuni.”

Tornando a Cattafi, da cui parte l’idea dell’enorme centro commerciale e l’inchiesta del cronista  Mazzeo, dobbiamo anche ricordare che è stato argomento di discussione durante qualche seduta camerale da parte dell’on. Antonio Di Pietro, presidente di IdV. La circostanza è stata riportata in un filmato, realizzato dallo staff di Sonia Alfano, che è diventato ormai la bandiera di chi combatte la mafia ed i suoi ambigui personaggi. “Cattafi – spiega Di Pietro da ex magistrato – è stato destinatario, nel 2000, della misura di prevenzione antimafia della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in forma definitiva. Questo provvedimento definitivo ha raggiunto Cattafi perché aveva legami accertati con boss di buon calibro: Benedetto Santapaola, Pietro Rampulla, Angelo Epaminonda, Giuseppe Gullotti. Questo è l’ambiente in cui si trova ad operare e a condividere il circolo culturale Antonio Franco Cassata”.   

Cassata, oltre a detenere questo alto incarico nella magistratura ed essere direttore del Museo omonimo, dichiara di essere animatore del circoloCorda Fratres” che risulta frequentato da esponenti della Massoneria, della realtà che conta nel Longano come tale Giuseppe Gullotti. Questi non è un personaggio qualunque bensì un rappresentante incontrastato della mafia barcellonese, riconosciuto con sentenza passata ingiudicata come il mandante dell’omicidio di Beppe Alfano.

Dal 1974 ad oggi, il procuratore generale Antonio Cassata, secondo una ricca documentazione processuale sintetizzata dal video, ha tenuto comportamenti dubbi con personaggi legati o appartenenti alla criminalità organizzata: dal viaggio in auto con il boss Chiofalo all’incontro con la moglie di Gullotti durante la latitanza di quest’ultimo alla sua intercessione presso giudici per frenare procedimenti a carico di persone conosciute come il suo autista-carabiniere o il consigliere comunale di Barcellona fino ad arrivare al suo presunto coinvolgimento con la morte del prof. Adolfo Parmaliana (IN BASE ALLE DICHIARAZIONI REGISTRATE DEL COMPIANTO PROF. PARMALIANA NEL CORSO DELLA SUA TESTIMONIANZA).     

“Voi immaginate con quale amarezza e disagio devo parlarvi – riferisce la voce dello scomparso prof. di chimica. Ero stato chiamato ad una audizione dal CSM per discutere alcune questioni riguardanti l’ordine giudiziario presso il distretto di Messina, presso la Procura della Repubblica di Barcellona. La sera prima della mia audizione, mentre mi accingevo a partire per Roma, venne a trovarmi a casa mia un compagno dirigente a sostenere la illegittimità, la inopportunità che io andassi da cittadino, da rappresentante delle istituzioni attento ed adempiente alle leggi dello Stato per dare il mio contributo, per fare chiarezza in una tacca di malaffare …”

Così il prof. Parmaliana saluta per sempre la giustizia perché costretto a suicidarsi qualche tempo dopo per non sopportare più la strategia di diffamazione, esercitata nei suoi confronti.

Antonio Mazzeo, a conclusione dell’incontro a Palazzo Zanca, ha detto: “Non ho nulla di personale contro il procuratore Cassata. Solo che le sue azioni, i suoi comportamenti sono condannabili e devono essere perseguiti dalla legge come anche quelli di chi pensa di trovare via libera, di speculare ancora su Barcellona e su tutta la Sicilia e infine di restare impunito”.