Monetizzare il voto da parte dei clan, giocare sulla pelle dei lavoratori con promesse utili ad accaparrarsi il consenso, barattare il consenso con la promessa di lavori futuri negli enti pubblici e con la possibilità concreta di pilotare appalti e forniture. Tornano quotidianimente i risvolti di una democrazia che viene messa a rischio dei consensi. Le Istituzioni sempre più a rischio a Trapani come a Milano. Le recenti inchieste dimostrano come al sud vige ancora un sistema ‘classico’ di compravendita e di accordo tra cosche e candidati, al nord il bottino elettorale della ‘ndrangheta porta in consiglio regionale propri riferimenti che senza difficoltà arrivano a sedere le poltrone di assessorati importanti. Questa resta l’Italia!
Tanto di tariffario elettorale. E’ quanto emerso, tra l’altro, nelle indagini condotte attorno al super latitante Matteo Messina Denaro. Siamo nel trapanese ma siamo consapevoli che il meccanismo sia diffuso a più strati nelle restanti province dell’Isola, solo che qui ci si affida ancora alle cosche per raccogliere quei consensi necessari alla propria elezione all’assemblea legislativa siciliana. Vecchio modo, la classica compravendita dei voti dietro il patto criminale tra eletto e blocchi di consensi comprati. Ciò che emerge dalle indagini è un vero e proprio prontuario dell’aspirante politico che vuole il sostegno di ‘Cosa Nostra’. Una pratica venuta alla ribalta nell’ultima inchiesta che ha mandato in cella affiliati di Messina Denaro con gli arresti anche della sorella Rosalia.
In fondo la Sicilia è la terra di Lucky Luciano e dell’accordo con le forze alleate per cacciare i fascisti con l’insediamento nelle città di prosindaci vicini alle famiglie mafiose. Quel 1943 potette realizzarsi paradossalmente proprio grazie al patto tra le forze statunitensi e i capi cosca.
Ritornando all’indagine su Messina Denaro, dalle intercettazioni emerge come nella terra del boss un voto costasse cinquaeuro. Il pacchetto di consensi poteva godere poi di un “particolare” sconto se le preferenze erano diverse centinaia. Dall’ascolto delle conversazioni tra Nicolò Polizzi, capomafia di Campobello di Mazara, con il figlio Luca, gli inquirenti hanno appreso come si poteva onorare l’impegno elettorale con i boss anche a rate e – una volta conquistato il seggio – estinguere il debito contratto con la mala.
Il mercato dei voti non risente della crisi tanto da spingere candidati di entrambi gli schieramenti a sondare l’appetito dei boss locali. I nomi sono facilmente riscontrabili sul web e toccano ogni livello, non solo quello regionale. Ha fatto scuola il caso di Alimena, comune nella cerniera tra le Petralie e l’ennese, dove l’ex sindaco candidandosi nelle liste della Lega Nord, porta in dote al Carroccio un 22% dei consensi in un comune di poco più di duemila abitanti. 3.000 euro giustificati successivamente come “spese per feste elettorali”. Se ci si sposta dalla provincia alla Città l’impegno economico dei politici si attesterebbe attorno ai 20 euro (parliamo del rione Brancaccio), limitandosi in molti casi anche solo ad un piatto di pasta e formaggio per avere la preferenza di un’intera famiglia.
Siamo nei quartieri dell’Acquasanta e Partanna Mondello. Lo scandalo sui patronati e centri raccolta alimentare a Palermo è stato ampiamente documentato nelle diverse competizioni elettorali – comunali, provinciali e regionali – facendo ricorso alle derrate sulla carta utili ai fabbisogni dei poveri ma messi a disposizione dei clan per accaparrarsi i consensi e sedersi al tavolo della stessa compravendita.
Ci sono casi in cui invece non viene pattuito alcun onere da parte dei contraenti e sono i più diffusi. Per questo genere di argomento ogni città siciliana potrebbe portare almeno un proprio caso specifico. Alle scorse amministrative di Messina buoni benzina, ricariche telefoniche, buste spesa e promesse di assunzioni in enti di formazione o società di vigilanza, avevano animato le denuncie di alcuni candidati, soprattutto nei quartieri più degradati e periferici.
Alle scorse regionali i numerosi cambi di casacca dei candidati all’ARS hanno fatto insospettire anche le procure, in questo caso proprio sull’insolito esposto degli uomini dell’ex governatore Raffaele Lombardo, contro l’allora candidato a Palazzo d’Orleans Rosario Crocetta, nelle cui liste andavano aggiungendosi esponenti che nella precedente legislatura avevano militato nelle formazioni poi abbandonate alla vigilia del voto. “Si va ben oltre il fisiologico cambio di casacca- avevano argomentato i lombardiani – in una circostanza che fa pensare ad una acquisizione organizzata di consensi e deputati”.
Succede anche che in competizioni di minore importanza scatti la tentazione ad assicurarsi facili consensi.
Proprio in questi giorni hanno fatto notizia le dichiarazioni del Movimento Cinque Stelle nei confronti di Davide Faraone, parlamentare ‘dem’ oggi nella segreteria di Matteo Renzi, accusato di aver incontrato persone poi condannate per mafia mentre raccattava voti per la città per la campagna elettorale per le regionali del 2008 nel salotto di Agostino Pizzuto, custode dell’arsenale della famiglia del quartiere San Lorenzo-Resuttana. Faraone è lo stesso ripreso dall’inviata di Striscia la notizia Stefania Petix e il suo fedele bassotto che sorprendono lo stesso candidato alle primarie per la poltrona di sindaco del capoluogo siciliano mentre rassicura il membro di una cooperativa di disoccupati, ‘Palermo Migliore’, che poco prima avevano indetto una riunione per invitare i soci a votare per lui. Simile meccanismo per chi le primarie le ha stravinte in precedenza anche a Messina. Le inchieste di Report sono ancora a testimoniare le migliori strategie di marketing politico utilizzate per generare consensi.
Il dato geografico non riguarda più il meridione. Le recenti inchieste in Lombardia hanno definito come il voto di scambio superi ogni confine. Possiamo sintetizzare come oggigiorno la democrazia sia purtroppo in vendita: al sud per un pezzo di pane e la promessa di un lavoro che non c’è; al nord assicurando appalti e gesti di favore tra i gangli amministrativi e delle partecipate.
Parlavamo di confini! Siamo nel Canton Ticino, lavoratori assunti secondo criteri partitici e non meritocratici sono cosa diffusa, saranno, alla fine, sempre leali, fedeli e riconoscenti al partito “collocatore”. In Svizzera sembra ancora resistere l’influenza dei partiti nella lottizzazione degli enti pubblici. Almeno noi italiani, in questo, siamo più avanti forse perché di posti da lottizzare non ce ne sono rimasti.
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