Clima incandescente nella Capitale ma non solo. La crisi del Partito Democratico tocca ogni livello e ogni corda emotiva. I militanti sono disorientati e fanno fatica a riconoscere il momento attuale come momento di transizione. Transizione da una leadership mai nata, quella di Pierluigi Bersani, da un modello di partito che sconta ancora le provenienze delle sue componenti e le questioni irrisolte, mascherate da un’unanimità di facciata e che il voto, sulla carta facile, di Romano Prodi a Quirinale ha dimostrato come anche il padre nobile dell’Ulivo non sarebbe bastato a sanare le incomprensioni e le scorrerie di questa o di quella corrente.
Ruotano tra i lanci di agenzie le accuse reciproche tra i dirigenti PD. Laconico Romano Prodi. Franco Marini rompe il silenzio, ora che c’è un inquilino al Colle. “Quanto accaduto – afferma l’ex presidente del Senato ai microfoni di Lucia Annunziata nella trasmissione domenicale “In Mezz’ora” – è più che inaccettabile, è stato volgare e ingiusto”. Suscettibile l’ex presidente del partito Rosy Bindi che afferma: “Abbiamo portato in Parlamento, con le primarie, alcune persone che in questi giorni hanno dimostrato di non avere consapevolezza del proprio compito, in un momento in cui va rilanciato il ruolo del Parlamento”. Da Bolzano a Bari le giovani leve del partito manifestano il loro dissenso per l’accordo con il Pdl sull’elezione del presidente della Repubblica occupando le sedi del partito. Hashtag della manifestazione #occupyPd. Ma la rielezione di Napolitano non sembra rasserenare gli animi del partito, mentre l’imbarazzo continua a regnare sovrano.
Da ieri, giorno in cui si è dimessa la segreteria del PD, la guida del partito è diventata di fatto del vice segretario, Enrico Letta. La segreteria nominata da Bersani non ha più le sue funzioni ma questo non si ripercuote sul suo vice che – come stabilito dallo Statuto del PD, all’articolo 6 – non prevede, per casi come questi, la perdita delle funzioni del vicesegretario che è stato eletto direttamente dall’Assemblea nazionale su proposta del segretario. Sarà quindi lui, probabilmente, a guidare il partito fino al congresso: già in questi giorni potrebbe essere formato una specie di “reggenza” che lo supporti nelle scelte politiche più importanti, mentre un comitato apposito dovrebbe dedicarsi al congresso.
Consultazioni previste a tutto campo, le larghe intese dovrebbero vedere un democratico a Palazzo Chigi. Il fardello di un governassimo – che nessuno vuole veramente – è il nuovo spettro che aleggia tra i banchi del Pd. L’“ingessatura” istituzionale sarà invece utile alle segreterie di partito per avvallare questo o quel provvedimento, misurare il polso del Paese – di per sé misurabile già in queste ore – e tornare a chiedere il consenso agli elettori come nelle intenzioni del centrodestra magari vincendo numericamente anche al Senato.
Intanto, Beppe Grillo sottrae un’altra piazza alla sinistra: dopo San Giovanni in Laterano tocca a Piazza Santi Apostoli, storica sede ulivista e de “La Canzone popolare” di Ivano Fossati, note che hanno unito un popolo di elettori che avevano creduto nella stagione bersaniana e che in questi giorni ha subito l’ennesimo spettacolo indecoroso dal proprio partito.
Basta andare in una sede storica della sinistra capitolina, via della Giubbonetta, dove la delusione è davvero tanta. In alto a destra campeggia la scritta “PCI sezione” incisa sul travertino. Sedie ordinate, in queste sedi c’è ancora il volontario pensionato che rassetta i giornali e i ritagli dell’Unità, giornale che ancora accompagna le giornate dei militanti più affiatati. Sul fronte ex Dc, la bocciatura del fondatore dell’Ulivo, antesignano del superamento degli steccati a sinistra, ha messo in crisi la permanenza della componente ‘cattdem’ alle prese tra fughe centriste e afflati di rottamazione. Non è bastato a Beppe Fioroni, leader fino a ieri degli ex PPI, aver mostrato, quasi preparandosi l’alibi, la foto del proprio voto a Romano Prodi nell’urne parlamentari.
Gli eredi di Berlinguer da una parte e della sinistra democristiana dall’altra, hanno dimostrato tutta la propria incapacità dinnanzi ad istanze di cambiamento, archiviate nei fatti con la rielezione di Napolitano che, pur ponendo un punto fermo ad una brutta vicenda, ipoteca il futuro del PD. Dal territorio la forza per ripartire ed evitare scissioni è ciò che consola la base.
Discorso diverso per i giovani, quasi con prospettiva “mosaica” sono diverse le posizioni che guarda al ‘day after’. E’ proprio alle nuove leve che guardano in molti. Non è un caso se la portavoce di Prodi, Sandra Zampa, si rifiuta di sedere accanto a chi “ha accoltellato alle spalle” il Professore. Per la prodiana c’è stata una vendetta dei gruppi che fanno capo a D’Alema. “Nei giovani il futuro del Pd” suggerisce alla dirigenza la stessa Zampa.
Stesso discorso ma più enfatico è quello del braccio destro del Professore l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi, ulivista di sempre che chiude questa pagina facendo leva sul valore simbolico dell’avventura:“Ci sono viaggi che si intraprendono anche senza essere sicuri di arrivare. E battaglie che si aprono senza la certezza di vincerle. Meglio rischiare di perdere che essere sicuri di perdersi”. “Non scoraggiatevi” è l’invito che molti dirigenti stanno indirizzando ai propri territori, alle federazioni e ai circoli del partito.
La pattuglia dei parlamentari eletti grazie alle parlamentarie di dicembre provano a scrollarsi di dosso l’ombra di essere stati tra quelli che hanno impallinato Prodi o scelto di sostenere Rodotà nei diversi scrutini. Sostengono in una nota comune gli onorevoli Paolo Bolognesi, Umberto D’Ottavio, Marilena Fabbri, Francesco Laforgia, Marianna Madia, Alessia Morani, Alessandra Moretti, Irene Manzi, Chiara Scuvera, Roberto Rampi, Alessia Rotta: “Il voto con le primarie ha probabilmente generato in noi una maggiore sensibilità alle rimostranze del territorio e alle sue aspettative politiche, sensibilità di cui andiamo particolarmente orgogliosi e a cui non intendiamo rinunciare in alcun modo”. “Questa capacità di «tenere l’orecchio a terra» – si legge nel comunicato – non riduce in noi la consapevolezza e la capacità che il nostro ruolo di parlamentari della Repubblica richiede di saper coniugare il richiamo del territorio con l’esercizio delle responsabilità istituzionali di rilievo nazionale che siamo chiamati a svolgere in questa fase politica di particolare crisi della credibilità politica della classe dirigente. Purtroppo, questo è un partito dilaniato da vecchi rancori che proprio noi vogliamo scardinare. Rancori che si sono consumati ieri in aula e che hanno prodotto il triste e vergognoso risultato di ieri. Adesso siamo concentrati per mettere in sicurezza le istituzioni democratiche del Paese, votando Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica e iniziando a dare le risposte urgenti di cui il paese ha necessità. Un minuto dopo dobbiamo lavorare perché il Pd abbia una nuova vita”.
La classe dirigente del Partito Democratico prenderà coscienza del proprio limite già a chiusura delle urne in Friuli Venezia Giulia, Regione in cui il Movimento Cinque Stelle alle scorse politiche era già il primo partito.
Web alla mano e delusioni documentate di militanti e simpatizzanti che rinunciano alla tessera anche con gesti plateali, forse servirebbe ai dirigenti del PD di ritrovarsi “vis à vis” con Annarella e il suo mestolo. Paladina degli internauti e della libertà d’espressione non proprio stereotipata. Anzi, la sua lingua affilata basta per mettere sotto sopra il Palazzo, le Piazze e ogni più attrezzato “grillino”. E’ diventata la star del momento e quando arriva a Montecitorio i politici scappano.
I “comizi” di Annarella sono diventati in poco tempo un cult della rete. Diversi i gruppi su Facebook: «La nonnina combattente» (7300 iscritti) e «Primarie: io voto Annarella» (2136). E i suoi video ai non-più compassati deputati, impazzano. Nel suo novero: la fuga dell’ex capogruppo al Senato del Pdl Maurizio Gasparri, il match con il neodeputato Matteo Dall’Osso del M5S, l’incursione ai danni della moglie di Emilio Fede e neoeletta PDL Diana De Feo o l’appello a Bersani “dallo a Rodotà”.