Il niente e’ tutto nel Sud Di Fabio Mollo

La sinergia della produzione cinematografica francese e del regista esordiente Fabio Mollo ha racchiuso nello schermo cinematografico le luci e le ombre del Sud.

L’opera racchiude la voglia di riscatto di una terra martoriata e il tema del non detto e della incomunicabilità diventa un modo per distillare un messaggio di speranza. Il titolo del film non deve illudere lo spettatore, anzi va proprio letto in senso antifrastico. Ma tutte le spiegazioni e le curiosità le ha chiarite il regista esordiente Fabio Mollo.

Iniziamo col parlare della tua formazione: Torino che ti ha permesso di passare dall’idea di  realizzare  un  corto  sino alla determinazione  di trasformare il progetto originario in  un film

Sì ero arrivato  al Torino film festival col mio primo corto che  si chiamava “Giganti” e ho vinto il premio per il miglior prodotto, poi da lì sono andato a tanti altri festival internazionali fra cui Berlino dove ho avuto modo di incontrare i produttori francesi che sono poi  diventati i produttori del film, con loro abbiamo partecipato a vari laboratori di sviluppo per poi essere selezionati a vari festival fra cui Cannes e Berlino. Il più importante è stato sicuramente il Torino film lab dove vengono selezionati quindici soggetti in tutto il  mondo. Qui abbiamo vinto un consistente finanziamento che ci ha permesso di  costruire tutto il nuovo progetto.

Un film che racconta una  Calabria nel suo  intimo, una Calabria che estende il suo silenzio sino in Germania, lasciando trapelare un forte incipit che parte dalla strage di Duisburg

Sì però parliamo di tanti episodi perché crescere al sud fra gli anni ‘80 e gli  anni ’90 sono sta gli anni più difficili

Sei nato nel  1980…

Sì, e proprio in quegli anni si sono consumate le cosiddette guerre di mafia, soprattutto in Calabria e devo dire che questi episodi mi hanno segnato molto e alcuni episodi  trattati nel film li ho vissuti in prima persona. Ma quello che mi ha particolarmente sconvolto è stato scoprire che l’arma più forte della  malavita è sempre stato il silenzio. In assoluto  l’arma più violenta perché in un momento in cui si riducono le persone a rimanere in silenzio di fronte ai soprusi più grandi come ad esempio l’assassinio di una  persona cara allora il silenzio è l’arma più forte che logora le persone nell’intimo sino a minare gli stessi rapporti fra padre e figlia

A proposito di donne vediamo la protagonista che vive una condizione “androgina”, si fa maschio per non soffrire

Parte così, infatti, il  personaggio una ragazza che diventa uomo quasi a voler riportare in sé il fratello assente, assumendo sembianze maschili  anzi è lei stessa  il fratello. Ma la ricerca del fratello la condurrà a  ritrovare se stessa. Un corpo  che cambia attraverso una riflessione attraverso la consapevolezza della violenza diventa il vero protagonista del film.

Quindi possiamo dire  che la  verità è donna?

Sì lo vediamo infatti attraverso il  personaggio della nonna

Hai avuto esperienze che ti hanno avvicinato alla realtà delle carceri e dei detenuti attraverso le riprese di “Cesare deve morire”. Quanto di questa esperienza viene oggi trasmessa e quanta stenta ad uscire da te?

E’ stata una delle esperienze che mi ha segnato di più, io sono sempre stato attratto dal reale e questo mi ha condotto a fare esperienze professionali e personali soprattutto  con quella parte di società emarginata, messa da  parte, e  questo si riflette  moltissimo nella volontà di realizzare “il sud è niente” Penso che le carceri siano luoghi in cui l’uomo è messo di più ai margini della società.

Mi è rimasto molto dentro anche perché la cosa che mi ha colpito di più è stato non  olo la sincerità con la quale quelle persone mi hanno raccontato la  oro storia mettendosi in gioco attraverso la condivisione con me della loro parte più intima. Ma di più mi ha colpito  la voglia  che  avevano di fare cultura, di fare un progetto culturale più di qualunque  perché fuori dal carcere è difficile fare cultura e mi ha fatto  impressione  vedere invece come in  un luogo del  genere ci fosse  una voglia così forte di fare progetti importanti.

Tu hai un rapporto forte con le donne, abbiamo parlato della protagonista ma non  manca una nonna  che ti conduce fra gli  spazi del film, accompagnandoti e anche una mamma che ti insegna a volare. Quanto è importante la figura della donna?

Anche in altre occasioni mi hanno fatto notare che  i personaggi femminili sono molto forti nel  film. Sono cresciuto con una mamma molto forte che  mi ha insegnato a volare anche  quando era molto difficile volare. Da qui deriva il mio attaccamento. Inoltre credo che in Italia si scrivano pochi ruoli veramente forti e importanti per le donne e che siano pochi  personaggi femminili veramente forti e quindi mi piace sfidare questo sistema. Devo poi dire che nel film la nonna è interpretata  da Alessandra Costanzo, un attrice siciliana che da anni immaginavo potesse avere un  ruolo importante in un mio film. 

E’ lei il cuore,  il realismo magico è lei al centro della storia sino al  punto di essere l’unica presenza femminile forte in cui Grazia  si riflette

A un certo punto c’ è questa visione dei  due piloni, due elementi che se pur statici restano il trait d’union di due terre Quanto sono “distanti” oggi  queste due terre per cultura e per mafia?

Il motivo per cui abbiamo ambientato il film sullo  stretto non è solo perché io sono calabrese o forse anche per quello. Sono territori che io conosco bene.  Quando nasci  sullo stretto,  lo stretto te lo porti dentro  ovunque, credi che ti segni diventando immagine che hai di te stesso. Ma allo stesso  tempo volevo che fosse l’immagine dei due, di questo padre e di questa figlia, due personaggi che  sembrano vicinissimi che  sembrano toccarsi senza però farlo mai e che  non si  guardano neanche negli occhi

Mi sono sempre sorpreso della visione  dello stretto di  queste città Reggio e Messina, per me  una sola città  divisa  in due, una divisione che sembrava  invalicabile anche se in realtà le divide una nuotata, due bracciate di stretto. Credo che differenze non ce ne siano e che la separazione, come nel film, viene  elaborata,  affrontata e annullata. Succeda così anche per noi: figli dello stretto.

Nel film sembra dover prevalere la logica del silenzio, del non parlare mentre invece attraverso  il genio creativo di Giorgio Giampà si sviluppa  un bellissimo dialogo fatto di musiche che  esalta le figure dei tuoi personaggi, come  nasce questa collaborazione e come progredisce la  musica nel tuo film ?

Mi fa  molto piacere questa domanda, devi sapere che questo è un film fatto da esordienti,  non solo io ma  anche il direttore della fotografia o altri carichi professionali come ad esempio  il musicista.  Sono tutti grandi professionisti anche se giovanissimi e mi fa  piacere che venga riconosciuto il talento. 

Con  Giorgio ho  lavorato molto il Svezia e con lui  abbiamo pensato a  una  musica  che partisse dai suoni dello stretto,  dai suoni che  venivano dal profondo del mare. Giorgio ha elaborato in  note quei rumori.  L’’ispirazione  sua è stata marina,”sirenaica “ come lui stesso la definisce.  A questo si aggiunge la  volontà comune di rendere le  musiche minimaliste,  mai troppo invadenti: una forma  di accompagnamento.  Sono molto potenti riescono a essere morbide tenere quasi silenziose, sussurrate ma  con una  espressività portentosa emotivamente

Nel tuo film i sentimenti sono repressi, stentano a  venire fuori, ma in ogni caso escono fuori in maniera prepotente. Quanto secondo te riconoscere i propri sentimenti può salvare  una persona del  sud?

Credo che l’onestà  dei sentimenti sia una prerogativa di noi del  sud che coinvolge in  maniera trasversale molte persone che si sentono al sud, un sud  emotivo, cioè che si sentono messe da parte, credo che nel momento in cui, come Grazia,  trovi il  coraggio  di  confrontarti con i propri sentimenti e non si vergogna di provarli e trova  la sua  identità emotiva  prima ancora che la  sua identità sessuale o personale, credo che questo rappresenti la maturità  che porta a  una rivoluzione perché anche quella dei  sentimenti può essere una rivoluzione, la voglia e la  necessità di dire a alta voce quello che  si prova sia esso amore, rabbia o odio è di  per  se una piccola rivoluzione

Questo sud non è niente è il contrario di niente è un sud che urla riscatto,  secondo te  questa  voce passa o resta ancora inascoltata?

Io credo, e forse  sono pazzo  a crederlo, nella  condizione in cui verso il nostro paese in  questo momento la  voce del cambiamento può e deve proprio dal sud, proprio perché  là dove il paese si sente smarrito e mancano un po’ i punti di riferimento, facendo leva sulla  nostra voglia  di riscatto possiamo  far partire un reale cambiamento per tutto il paese .

C’è un  personaggio che è rimasto dentro di te e che non  sei riuscito  a esprimere in questo film?

 Diciamo che il mio sogno di ragazzo è  quello di  essere un  narratore e quindi di raccontare  storie. Ho avuto l’opportunità e la fortuna  di raccontarle  attraverso il cinema per cui ogni opportunità è quella  giusta. Spero di avere altre possibilità.

Un ultima considerazione, il film parte dalla Germania dalla strage di Duisburg e finisce col consegnare una giovanissima ragazza  di borgata al pubblico berlinese che l’acclama .Ma  allora veramente il  sud  non è niente?

Assolutamente no. Il  film voleva essere un  modo per esorcizzare la paura che il  sud sia  niente, che  sia  stato considerato niente per tanto tempo per usare questa  parola e poi dimenticarla,  la cosa più bella  del film è che è diventata  una  opportunità per mostrare persone che non  prima non apparivano come ad esempio Miryam.

Miryam Karlkvist  lei parte  da  un “provino di  strada” da una pura casualità?

Sì,  si può dire così anche se io  sono stata  accompagnata  al  casting da alcuni amici

Lei ha  già  all’attivo  altre esperienze di  lavoro  al  cinema o in teatro?

No per niente, non  mi  ero  mai  avvicinata a  questo mondo

Eppure viene già considerata  un’ attrice rivelazione, si parla tanto di lei

Sono semplicemente felice dei quanto può  derivare  da  questo. Ho in  me una  grande ansia da prestazione. Non riesco a  immaginare un  peso, per parlare  di peso  dovremmo immaginare un futuro ma io preferisco limitarmi  al  presente.

Tornando al film  lei interpreta una ragazza molto dura, quasi un voler essere uomo in rifiuto alla propria condizione

Per quanto riguarda il personaggio… beh  per carità  è un personaggio così… duro, che però vuole rappresentare quella forza  di una donna che però riesce a esprimere solo attraverso il  lato maschile e  quindi rappresenta una mancanza e  qui vediamo la crescita di una  forza, che  passa  da  una  forza tipicamente da  una espressione maschile  sino al riscatto della  femminilità

E’ stato difficile per lei  interpretare attraverso i silenzi la cultura Calabrese?

Sicuramente era la chiave più giusta… con i silenzi raccontare la  realtà  calabrese che è oppressa  dall’omertà, noi  cresciamo… attraverso i  silenzi c’è la  crescita  più sensibile che una  persona  possa avere

Nonostante  il cognome lei  è comunque di  Reggio Calabria

Sì,  Assolutamente. Sono Nata e cresciuta  a Reggio Calabria, rione Gebbione, periferia  sud.

Lei sa quindi che a sud ”purtroppo” tutto passa per la donna, passa  l’amore ma  passa anche  la ndrangheta e gli omicidi, da  donna del sud che messaggio vuole che  arrivi?

Sicuramente io penso che  non ci sia un sesso per  queste  cose ma da donna  del sud posso sicuramente dire che vorrei che  tutti tirassero fuori  le loro emozioni la loro sensibilità per  riuscire a  cambiare le cose.  Bisogna guardare non i fatti in modo crudo ma veramente con un occhio emotivo. L’amore per la nostra terra e la preoccupazione per il futuro è qualcosa che ci deve appartenere.

Dino Sturiale