Ogni volta che Messina si prepara ad accogliere un corteo di protesta la speranza più grande riguarda il numero dei partecipanti. Quando si parla di “ponte”, poi, la speranza diventa un sogno, quello di vedere tutti i “no” scendere in piazza e gridare, insieme, il proprio rifiuto. È un sogno perché la maggior parte dei cittadini preferisce parlare e starne fuori, piuttosto che partecipare e marciare lungo i viali di una città che sempre di più sta andando allo sbando, tra montagne che franano in tutta la provincia, voragini che si aprono in ogni strada e aeree abbandonate che quasi automaticamente diventano territorio contaminato dall’immondizia dilagante. Ed anche il 14 maggio scorso la storia non è cambiata: Piazza Cairoli invasa (con un’ora di ritardo) da qualche migliaio di persone, come nelle altre occasioni in cui la rete No Ponte e le altre associazioni hanno scelto di urlare il proprio disgusto verso la grande opera d’acciaio e cemento che dovrebbe invadere l’area del nostro Stretto. Non è una critica, anzi: protestare non è mai sbagliato ed è legittimo quando viene fatto con cognizione di causa, come in questo caso particolare. Il problema fondamentale è che non bastano tremila persone, dovrebbero essere molte di più. Se tutti coloro i quali non fanno altro che rinnegare il proprio appoggio al “Mostro sullo Stretto” decidessero di agire e manifestare questo pensiero, quanto lungo sarebbe il corteo? Quanto ampia potrebbe essere la classica forbice creata da associazioni e istituzioni al momento di comunicare il numero esatto dei partecipanti alla manifestazione? Non avrebbe alcuna importanza perché l’impatto della folla sarebbe stupefacente. Resistere è la parola d’ordine, ma “vogliamo vincere!” recita il comunicato ufficiale che la rete no ponte ha diffuso sul proprio sito.
La grande particolarità della protesta, questa volta, è stata l’assenza di simboli e bandiere dei partiti politici durante tutta la sfilata lungo le vie messinesi, perché, come più volte è stato ribadito anche nelle altre occasioni, non è certo una ideologia politica a scendere in campo stavolta, ma è un fine, uno scopo comune: di proteggere la propria terra e il proprio mare da una speculazione devastante. E così la CGIL, il Collettivo Unime, l’UDU, Italia dei Valori, Legambiente e tante altre associazioni erano presenti, appoggiando in pieno la scelta dei no-pontisti di Accorinti e “mischiati” in un serpente umano snodatosi per le vie del centro, da Piazza Cairoli al Viale San Martino, dalla Cesare Battisti alla Via Garibaldi per poi tornare a Piazza Cairoli per il concerto finale dei Kalafro, gruppo calabrese nato con l’intento di usare raggae e rap contro la ‘ndrangheta e, in generale, le ingiustizie. Aldilà della “solita” presenza di due o tre migliaia di persone, il colpo d’occhio c’è stato e si è sentito. Per tutto il pomeriggio Messina ha sentito il suono della musica e dei megafoni, le grida e i cori, ha visto ragazzi ballare e cantare, anziani camminare, bambini giocare. Contro il Ponte, sì, ma anche a favore di una rinascita che i soldi per quest’opera potrebbero riuscire a finanziare. E da dove potrebbe partire questa risorgente Messina se non dalla tanto celebre quanto mai attuata messa in sicurezza delle zone a rischio? Se è vero che, secondo i membri della rete No-Ponte, sarebbero 500 milioni gli euro già spesi per il Ponte senza che venga ancora fatto praticamente nulla di concreto, è anche giusto dire che si può tornare indietro e utilizzare i fondi futuri per delle opere di cui la città dello Stretto ha veramente bisogno. In ogni parte della provincia i disagi dovuti a frane e allagamenti sono incalcolabili e spesso passano quasi inosservati tanto a livello nazionale quanto locale. Le strade, tanto in centro quanto in periferia, diventano sempre più impraticabili rendendo la viabilità un inferno quotidiano, così come la rete ferroviaria, vecchia e lenta, e le autostrade che collegano Messina alle vicine Catania e Palermo, in cui non si contano le parti in cui si opera costantemente da mesi, senza dare alcuna notizia di quando questi lavori saranno ultimati. Non solo “No al Ponte” ma anche proposte per tentare di riportare Messina agli antichi fasti pre-1908. Ma, cento anni dopo, se Messina è impantanata in acque così torbide non può essere certo colpa di un terremoto. Non resta che chiedersi di cosa ha bisogno la nostra città e cosa ognuno di noi può fare per migliorare le cose.