Il papello e il contropapello

Massimo Ciancimino ha querelato il Giornalista del Sole 24 ore Nino Amadore. Il giornalista in un suo pezzo del 17 maggio riportava il contenuto di alcune intercettazioni fatte su disposizione dei magistrati della procura di Roma e successivamente della procura de L’Aquila, dalle quali emergerebbe, a dire del giornalista “un quadro inquietante sui progetti del figlio di don Vito e sui rapporti che lui avrebbe avuto con i magistrati che lo hanno avuto in gestione a Palermo a partire da Antonio Ingroia”

Dalle intercettazioni emergerebbe che quello che si aprirà Lunedi 27 Maggio, cioè il processo sulla trattativa tra lo stato e la mafia partorito proprio dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, sarebbe nato “dalla necessità di tutelare i propri interessi». Ciancimino junior «assume – scrivono i magistrati sulla base delle intercettazioni – di aver trattato con la procura di Palermo l’archiviazione delle indagini sulla Romania in cambio della conferma in dibattimento delle dichiarazioni rese in istruttoria».

In altri termini intercettato mentre parla su Skype con i suoi interlocutori avrebbe dichiarato di poter condizionare i magistrati della Procura di Palermo e in questo senso influire sui procedimenti che lo vedono coinvolto, primo fra tutti quello sul riciclaggio e sulla Società Ecorec, la società proprietaria della discarica Romena di Glina, una delle più grandi di Europa e dove si pensa sia stato investito il “tesoretto di Don Vito”. E’ obbligo precisare che su questo procedimento vi sono due richieste d’archiviazione avanzate dalla procura e che si è in attesa delle decisioni in merito del GUP.

Certo che appare strano che a pochi giorni dall’apertura del processo che vede imputati quattro boss dei più potenti e feroci, Riina, Antonino Cinà, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca; il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Massimo Ciancimino; tre ex alti ufficiali dell’Arma, Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno; e due politici di razza come l’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri e l’ex ministro Nicola Mancino, sia arrivata,non sappiamo quanto puntuale e a proposito, un’altra tegola sulla testa di colui che nella doppia veste di teste ed imputato deve confermare in dibattimento quanto già detto in fase istruttoria.

A prescindere delle valutazioni che si possono dare su Ciancimino e sulla sua attendibilità quanto sia delicato il momento processuale lo testimonia la bagarre che si è innescata. Le sue dichiarazioni sono veritiere ? Il papello, cioè quella lista di 12 richieste che i boss del 1992 fecero allo stato per interrompere le stragi, è un documento vero ? E’ vero che lo Stato accettò l’accordo e per questo non rinnovo o non applicò il carcere duro e la confisca dei beni a oltre 5 mila mafiosi?(416 bis del c.p.p,. vedi le dichiarazioni dall’ex capo del Dap, Nicolò Amato in riferimento al Presidente della Repubblica Scalfaro e alle dichiarazioni dell’On Martelli,allora guardasigilli). E’ vero che Borsellino fu ucciso perché si oppose alla trattativa e che i suoi timori erano scritti proprio nella famosa agenda rossa che ora, dopo 30 anni, tutti cercano ? (Sergio Lari Procuratore della Repubblica a Caltanissetta. «Io penso — lo pensiamo tutti qui alla procura di Caltanissetta — che Paolo Borsellino abbia registrato sull’agenda quegli incontri di Cosa Nostra, attraverso Vito Ciancimino, con rappresentati delle istituzioni».)

E’ importante sottolineare che la figura di Ciancimino diventa rilevante per l’accertamento della verità perché nel nostro sistema processuale la prova si forma in dibattimento. In altri termini non bastano le sue dichiarazioni rilasciate in fase istruttoria e davanti ai Pubblici Ministeri ma le stesse devono essere ripetute davanti ad un Giudice della Repubblica, l’unico cui spetta stabilire la verità processuale. E che l’Italia dopo 30 anni abbia diritto alla verità è un fatto sacrosanto.

Il timore è grande, si teme per la sua vita e su FB su è riattivata una pagina nata nel 2009 “Lo Stato Protegga Massimo Ciancimino” con l’intento di fornirgli una scorta e una protezione. 

Vi è una circostanza che stona in tutta la vicenda, a prescindere del personaggio Ciancimino su cui stanno indagando da anni e anni fior fiore di magistrati,  ed è il tentativo di minarne la credibilità e insistere sulla sua non attendibilità di teste. Sembra quasi che vi sia una regia superiore che voglia insabbiare e nascondere una verità troppo dura da digerire e mandare giù. E più si tenta di nascondere e più il fetore e l’olezzo sale, basti pensare che nello stesso processo vi è un altro personaggio che ha parlato del papello, confermando le dichiarazioni di Ciancimino, ed è molto più condannabile ed esecrabile dello stesso Ciancimino. Si tratta  di Giovanni Brusca il quale ebbe a dire: l’ultimo terminale del “papello” con le richieste di Totò Riina sarebbe stato l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino. Ora appare ben strano che nessuna voce si sia alzata a contestare o a mettere in dubbio l’attendibilità di un Brusca mentre su un Ciancimino si è scatenato l’inferno mediatico.

Ad ogni modo la Procura di Palermo, Ingroia o meno, è decisa a non demordere ed ha presentato una lista di 170 testimoni, accolta dalla Corte d’Appello, che dal Presidente Napolitano in giù comprende 30 anni di Storia patria dello Stato. E se anche questa volta non si riuscirà ad avere la verità ci rimarrà la consolazione di vedere in nella stessa Aula di Tribunale lo Stato e la Mafia.

Pietro Giunta