ZLa consegna della cittadinanza onoraria di Messina a Nino Di Matteo, il Pubblico Ministero del processo Leoluca Bagarella + 9, meglio conosciuto come il processo della trattativa Stato Mafia, contrariamente alle aspettative e alle dichiarazioni di facciata più o meno sentite, è stata “avvelenata” da assenze significative e da polemiche politiche estenuanti, continue e logoranti che da tempo accompagnano qualsiasi iniziativa assunta della Giunta Accorinti.
E cosi, dopo l’intitolazione della stanza del Sindaco di Messina Renato Accorinti a Peppino Impastato, assassinato dalla mafia a Cinisi il 9 maggio del 1978, passata quasi sotto silenzio e senza aver intaccato minimamente l’interesse e la coscienza di quella stessa società civile che magari dietro la poltrona continua ad avere la foto santino di Falcone e Borsellino come se fosse la reliquia di Padre Pio, la polemica è continuata anche in occasione delle cittadinanza onoraria riconosciuta a Nino Di Matteo. “Non ho ritenuto di dover partecipare perché pure avendo un’alta considerazione per tutti coloro che si battono contro la mafia, ritengo che (la cerimonia) si sarebbe potuto fare benissimo al Comune e poi non amo fare passerelle (la Consigliera Comunale Daniela Faranda)”. Ma fai antimafia soltanto dando la stanza a Peppino Impastato o la cittadinanza a Di Matteo? E’ questo il compito di un Sindaco per cui si può dire è un anti mafioso o che fa la lotta alla Mafia? Non ci si può fermare alla simbologia. Perché non ha provveduto a ruotare i dirigenti secondo la normativa sull’ anticorruzione e sulla trasparenza? (La consigliera Comunale Nina Lo Presti) “Ma se non vi era neanche la Rai che cerimonia vuoi sia stata, probabilmente c’è stata una certa forzatura in tutta questa vicenda e poi perché mai di Matteo doveva diventare cittadino onorario di Messina?”
Ed ancora: “Ho la sensazione che l’assenza del Prefetto non sia soltanto uno sgarbo istituzionale di un Prefetto nei confronti di un Sindaco simpatico o antipatico ma temo che sia qualcosa di ancor più grave. Un ordine da Roma affinché il rappresentante del Governo in città non fosse presente alla cerimonia.” Mi ha colpito molto anche l’atteggiamento della stampa locale che se non fosse stato per il portavoce di CMdB non avrebbe dato nessuno rilievo alla vicenda, mentre se il Sindaco si scorda di accendere un cero alla Madonna…apriti cielo! (La Consigliera comunale Ivana Risitano)
A placare gli animi non sono bastate le parole di Pino Maniaci, personaggio scomodo che da oltre 30anni leva la sua voce contro la mafia e recentemente salito alla popolarità internazionale con i quotidiani spagnoli che parlano di lui in termini di eroe e la trasmissione televisiva le Iene che sul suo lavoro di anni ha fondato un servizio sugli amministratori di giustizia dei beni confiscati alla Mafia. “Consegnare le chiavi della Città di Messina a Di Matteo è come consegnare le chiavi della porta della Sicilia e riconoscere a questo magistrato il ruolo di ricercatore della Verità. L’assenza del Prefetto Stefano Trotta, che sicuramente si sarà sentito con il Capo del Governo Renzi, e noi sappiamo come la pensa Renzi sul Processo Bagarella (trattativa Stato-Mafia), deve dare il senso proprio di quella politica che vuole continuare a nascondere la verità. Da Berlusconi a Renzi non è cambiato nulla.”
Non sono bastate neanche le parole del Sostituto Procuratore della Repubblica di Messina Sebastiano Ardita a smorzare i toni. “Questo deve essere un giorno di festa, non è un giorno rivolto alle polemiche. Lo Stato è tutto qui, come dovrebbe essere sempre e come doveva essere. Ed è un giorno di festa perché in questa occasione non si sta celebrando la carriera di un magistrato, si celebra una cosa diversa: il riconoscimento di aver fatto il proprio dovere, che per un magistrato è il più grande riconoscimento. Qui c’è tutto. Uno Stato tutto intero e questa deve essere una festa anche dei servitori dello Stato. Agenti di Polizia, Carabinieri, Finanziari, Agenti Penitenziari, il corpo forestale e questi Agenti della scorta che con la loro presenza costante fanno sentire a Nino Di Matteo che lo Stato è presente con la sua componente più qualificata”.
E ciononostante la polemica è continuata lo stesso. Federico Alagna, il portavoce di cambiamo Messina dal basso, il movimento politico vicino al Sindaco Renato Accorinti, in un comunicato ha usato toni di fuoco: “Non solo il Prefetto non ha ritenuto doveroso prendere parte all’iniziativa, ma non si è nemmeno preoccupato di rispondere all’invito, né di indicare un suo delegato. Se si tratta di una sua iniziativa individuale, è stato senza dubbio uno sgarbo istituzionale di estrema gravità, per il quale dovrebbero essere presi provvedimenti adeguati da parte del Ministro degli Interni… Se, invece, l’ordine è partito da Roma, allora sembrerebbe proprio che le più alte istituzioni abbiano davvero gettato la maschera, isolando platealmente Di Matteo e chi oggi lo sosteneva”.
Abbiamo tentato più volte di raccogliere qualche dichiarazione dal Sig. Prefetto, abbiamo diverse volte tentato di raggiungere telefonicamente il suo Capo di Gabinetto, c’è stato chi per noi si è recato direttamente negli uffici della segreteria. L’unico risultato è stato quello di sentirci dire: metta le sue domande per iscritto, il Sig. Prefetto le risponderà. Sulla stessa strada del no comment e del silenzio istituzionale sull’assenza del Prefetto sia il Sindaco Renato Accorinti che l’On Nino Germana‘, il quale pur riconoscendo l’alto valore della cittadinanza a Di Matteo ci tiene a precisare la sua ferma condanna nei confronti di quella “antimafia che usa la lotta contro la mafia per fare i propri interessi”.
Detto questo non c’è rimasto che rivolgerci all’unico altro Prefetto presente in città. Il Commissario della Provincia. Filippo Romano. “Non vi sono disposizioni che obbligano i Prefetti a partecipare a queste cerimonie. La cittadinanza Onoraria è materia esclusiva dei Comuni. Ovviamente il cerimoniale è un’altra cosa e se il Prefetto viene invitato la cerimonia acquista più importanza. Anzi le dirò di più, la legge non conosce l’istituto della cittadinanza Onoraria, questo è un istituto riconosciuto solo dai regolamenti comunali ed è solo un riconoscimento onorifico. Sul fatto specifico io non posso esprimere giudizi o opinioni perché sono un Commissario e non un politico. I politici possono esprimere opinioni perché vengono eletti dai cittadini.”
Mestamente dobbiamo riconoscere che anche in questa circostanza, tra divisioni di bottega che riecheggiano le problematiche Nazionali e pruriti politici locali, invocanti la restaurazione del passato e la contestuale richiesta sempre più pressante di un ritorno della “vecchiapolitica”, le potenzialità della Città sembrano essere state tarpate da un certo provincialismo che confonde la gestione del taglio dell’erba lungo le strade con la lotta tra bene e male o tra mafia e legalità.
Un certo provincialismo che non ha compreso sino in fondo la figura del giudice Di Matteo e “il riconoscimento di aver fatto il proprio dovere”, tanto da essere stato costretto, da semplice magistrato, a combattere con i massimi poteri istituzionali e governativi dello Stato per poter sentire l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano come testimone di una vicenda a cui la Storia deve ancora mettere il punto. Fiumi d’inchiostro sui giornali, interrogazioni parlamentari e quesisti alla Corte Costituzionale per poter sentire un semplice testimone. Intercettazioni segretate e bruciate pubblicamente alla faccia del più volte sbandierato principio “la legge è uguale per tutti” solo perché a parlare era quello che già oggi è riconosciuto essere stato per la Repubblica Italiana, Re Giorgio.
“Il riconoscimento di aver fatto il proprio dovere” e solo per questo essere stati costretti, seduti in silenzio, a sentire raccontare a un mafioso in collegamento da località protetta come e in quali termini si sarebbe dovuta verificare la propria morte. II sezione della Corte d’Assise del Tribunale di Palermo, udienza del 7 maggio 2015 oltre 4 ore di audizione del mafioso collaborante Vito Galatolo, due lettere invitate da Matteo Messina Denaro (figlioccio di Totò Riina e latitante da 8171 giorni) che chiedono la tua testa, l’organizzazione dell’attentato, gli uomini che avrebbero dovuto parteciparvi, la raccolta di 500 mila euro per comprare l’esplosivo dalla ‘ndrangheta e un “artificiere” che non essendo uomo d’onore ha creato dei sospetti nei mafiosi, che non si spiegavano perché avrebbero dovuto affidarsi ad un esterno alle cosche per l’attentato, e allo stesso tempo ha gettato una luce sinistra su quel grumo di poteri, apparati dello Stato e servizi segreti che sono al centro del processo conosciuto come trattativa Stato Mafia.
E su tutto questo vi è anche un sentimento di rigetto e di rifiuto generalizzato della società civile nei confronti della lotta alla mafia che il dott. Di Matteo ha affrontato nel libro scritto con il giornalista Salvo Palazzolo, “’Collusi. Perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia’, edito da Bur.
“Oggi, in molti fanno finta di non vedere, di non capire la vera essenza della mafia siciliana. Nelle istituzioni, nella politica, ma anche nella magistratura e tra le forze dell’ordine. Respiro un’aria strana in questi ultimi tempi: un’atmosfera carica della falsa e pericolosa illusione che Cosa nostra sia ormai alle corde. All’improvviso è iniziata a montare una sorta di onda lunga di riflusso. Prima le campagne di stampa abilmente organizzate contro alcune indagini eccellenti, e i tentativi, in gran parte riusciti, di instillare nell’opinione pubblica un malcelato fastidio nei confronti dei collaboratori di giustizia…un germe dell’indifferenza che poco alla volta ha provocato, persino in una parte della magistratura e delle forze dell’ordine, una sorta di stanchezza e di fastidio nei confronti di quelle indagini che miravano a scoprire in che modo la mafia sia ancora ben presente dentro le stanze del potere. Quella è stata l’amarezza più grande. Come se nessuno più ricordasse il dolore, come se nessuno più vivesse la rabbia dei giorni che seguirono la morte di Falcone e Borsellino”.
Diciamolo francamente, in altri Stati e Città che hanno una cultura della legalità, della democrazia e dello Stato più alta della nostra, l’assenza del Prefetto sarebbe stata considerata alla stregua di una figura istituzionale che avesse deciso di non alzarsi davanti alla bandiera della propria Nazione.
Pietro Giunta