“Ohi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello”.
C’è uno scollamento sempre più evidente fra paese reale e classe politica. Una classe politica che dimostra, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, tutta la sua palese incapacità.
Non mi piacciono i Forconi, così come non mi ha mai incantato Grillo. Entrambi hanno una forte connotazione populistica. Ma, i due movimenti “dal basso” hanno, purtuttavia, un elemento comune: parlano alla pancia di un paese stanco di sopportare, cavalcano un malcontento diffuso. Un malessere sociale così grande di cui solo la politica non si accorge, sempre più avviluppata attorno a se stessa, occupata nella ricerca spasmodica di alchimie di sopravvivenza, mischiando tutto e il contrario di tutto: destra e sinistra hanno rotto gli steccati dei loro confini che appaiono via via più sottili, sbiaditi, fino a rendere idee e valori perfettamente sovrapponibili e confusi. Un ginepraio inestricabile di equilibri precari e, soprattutto, ricattabili.
Vedo un paese sempre più in affanno, le istituzioni delegittimate non da una sentenza della cassazione, ma dalla loro stessa inettitudine. Un paese sempre più povero e impoverito, le mense della Caritas sempre più affollate da quella che fu la classe media di questo paese, come dire la sua spina dorsale. Lo stato sociale allo sfascio. Le istituzioni statali pericolosamente indebolite. Facile, in queste clima nebuloso, attirare attorno a sé consenso, invitando i cittadini a scendere in piazza per ribaltare lo statu quo. Avverto campanelli allarmanti: in rete è stato diffuso il programma eversivo dei Forconi in cui si fa chiaro riferimento, fra l’altro, a un governo di transizione retto da miliari.
E’ così difficile, allora, fare due più due col gesto di singolare solidarietà tra forze dell’ordine e il Movimento di Mariano Ferro? Sin da subito ho dubitato della genuinità di quell’azione simbolica, questa solidarietà mi è sembrata una musica stonata. Si muovono strane sigle e tante anime tutte di colore nero attorno ai Forconi, nessuna è rassicurante. Tutte rimandano a vicende oscure della nostra Repubblica. Le domande sarebbero banali, nella loro naturalezza, in qualunque paese civile. Ma il nostro, si sa, non lo è più da tempo. Viene quindi da chiedersi: perchè adesso? Cosa ci fa tra le file del movimento un ex generale dell’Arma come Pappalardo? E c’è un nesso fra questa presenza e l’improvvisa solidarietà delle forze di polizia? Come mai questa vicinanza non la si è espressa a Napoli prima (ma di Napoli è bene tacere poiché all’epoca c’era un governo di centrosinistra, tutti zitti per favore!) e a Genova dopo; perchè non in Val di Susa, perchè no contro la costruzione del Muos, perchè non in sostegno di Cucchi, di Aldrovandi, perchè no contro le manifestazioni degli studenti che rivendicano un diritto elementare e inviolabile come il diritto allo studio? Sono tutte manifestazioni sacrosante ma che puzzano maledettamente di manganellate. Tranne questa volta, alla manifestazione dei Forconi. Coincidenze?
L’Italia è allo stremo delle forze. Da ogni punto di vista: sia economico che nelle fondamenta costituzionali e legislative. Si rischia l’implosione, ma la cosa più preoccupante è la risposta dello Stato: il silenzio! Si continuano a sottovalutare segnali che solo un cieco non vedrebbe. A cominciare da quella zona rimozione in via D’Amelio mai istituita, sebbene richiesta, nell’immediatezza dell’attentato di Capaci: una “disattenzione” che è costata la vita di tante persone e un’agenda rossa sparita “misteriosamente”.
Ma spostiamoci a nord: c’è un movimento che doveva in nuce considerarsi eversivo, per le sue nemmeno tanto nascoste finalità, come la Lega Nord (chi ricorda l’occupazione di piazza S. Marco a Venezia?) e che invece siede tranquillamente in Parlamento. La loro presunta moralizzazione, che avrebbe dovuto tradursi con la separazione da “Roma ladrona”, è andata a farsi benedire: gli amministratori pubblici leghisti finiti nelle maglie della magistratura per corruzione, o i ricchi comuni lombardi sciolti per mafia, non si contano più. Altro che mani pulite! Anche la pericolosità del pregiudicato Berlusconi è stata sottovalutata e invece non passa giorno in cui non occupi i media, in un modo o in un altro da vent’anni ormai. Anche adesso, che è un condannato con sentenza passata in giudicato, il delinquente nazional-popolare inneggia alla rivoluzione. Quando si dice furti di parole. Uno scippo concettuale. Un insulto, un’eresia, una bestemmia. Battaglie, parole e concetti che una volta appartenevano a un preciso parterre politico fanno bella mostra di sé sulle bocche della miglior specie di arruffa popolo di ogni risma ed estrazione.
Eppure.. eppure, di fronte a questo scenario sconcertante le istituzioni e i politici di ogni colore balbettano, vacillano pericolosamente. Colpevolmente, tacciono. Nessuna parola di solidarietà da Letta, nessuna attestazione di vicinanza dall’alto Colle a Nino Di Matteo, impegnato in un processo delicatissimo in cui lo Stato tenta di processare se stesso. Incassano in silenzio le minacce di morte di un mafioso detenuto al 41bis, non essendo in grado (o si tratta di volontà?) di proteggere l’incolumità non di una intera popolazione, ma di uno solo dei suoi cittadini (a proposito: ma come fa un detenuto al 41bis dello spessore di Riina a non sapere che, parlando con un altro detenuto anche lui al 41bis, come dire una chiacchierata fra veri “signori”, queste conversazioni arrivano all’esterno? Non è che, niente niente si tratta di messaggi precisi da recapitare alla politica?).
Questo stato-di-diritto-ancora-per-poco è uno Stato alla frutta. Uno Stato mafioso. Uno Stato “rottamato”. Quando il riuso non ha niente di etico.