IL SILENZIO CHE NON VA
In piazza un gran brusio confusione
Suona la campana della chiesa accompagnata da sirene
Giace a terra un volto spento un corpo un cuore che non batte più
Nessuno ha visto né sentito nessuno parla
Cuori che battono a vuoto
In questa piazza sono morti tutti.
Gli studenti universitari del Dipartimento delle Civiltà antiche e moderne hanno partecipato all’incontro Mafia&Informazione tenutosi preso il Polo Annunziata nella sede di Lettere e Filosofia, il 24 Ottobre c.a.
Dopo il saluto del Direttore del Dipartimento Prof.ssa Maria Gensabella si è aperto il convegno presentato da Claudia Benassai. Illustri personaggi hanno fatto parte della tavola rotonda. Lirio Abbate, giornalista di “l’Espresso”, costretto a vivere da diversi anni sotto scorta, già diverse volte minacciato per le sue inchieste e i suoi articoli contro la mafia e la malapolitica; Marco Centorrino, docente di Sociologia e comunicazione, Nuccio Anselmo, giornalista della “Gazzetta del Sud”; Ferdinando Domè, figlio di Giovanni Domè.
L’intervento di quest’ultimo ha colpito in modo particolare. Ferdinando Domè, figlio di Giovanni Domè, vittima della mafia e testimone vivente di una storia che per anni è stata annebbiata dalla mala informazione.
Orfano del padre, assassinato nella strage di viale Lazio, è stato vittima di una parte della società e giornalisti poco informati sui fatti, che hanno infangato la sua famiglia associandola alla mafia.
Mafia e informazione, un tema che ha colpito l’interesse dei giovani presenti, forse perché di mafia ancora oggi se ne parla troppo poco, e pochi sono i cronisti che si occupano di queste inchieste.
Quei pochi cronisti, sono divenuti eroi della nostra storia. Si è parlato di Mario Francese, esempio di un giornalista di cui purtroppo si parla troppo poco.
Francese iniziò la carriera come telescriventista dell’Ansa, successivamente divenne giornalista scrivendo per il quotidiano “La Sicilia” e collaborando per il “Giornale di Sicilia”. Nel 1968 si licenziò dall’ufficio stampa per lavorare a pieno nel giornale dove si occupò della cronaca giudiziaria, entrando in contatto con gli scottanti temi del fenomeno mafioso quando ancora di mafia non si parlava e molti non ne conoscevano neanche l’esistenza.
Si occupò della strage di Ciaculli, del processo ai corleonesi, dell’omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e fu l’unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella. Nelle sue inchieste analizzò con acume l’organizzazione mafiosa, nelle sue varie sfaccettature, individuando le famiglie e i capi, in particolare del territorio del corleonese in balìa di Luciano Liggio e Totò Riina. Di conseguenza, la sera del 26 gennaio 1979 venne assassinato a Palermo, davanti casa. Nel 2002 si suicidò il figlio Giuseppe, giornalista trentaseienne, che per anni si era dedicato a inchieste sulla ricostruzione dell’omicidio del padre.
Storia emblematica, quella di Mario Francese, che ha introdotto il tema della giornata: La violenza del silenzio.
Il silenzio è l’ossigeno per i mafiosi, i quali sono solo una piccola percentuale della nostra società ma la cui mentalità inconsciamente domina la nostra società: “Non vedo, non sento, non parlo”, “Chi si fa i fatti suoi campa cent’anni”, sono alcuni paradigmi del pensiero che caratterizza soprattutto la forma mentis meridionale. Ogni anno, puntualmente siamo qui a ricordare gli eroi che hanno fatto la storia, Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Mario Francese, Giuseppe Fava, Giuseppe Alfano e molti altri ancora.
Ma perché dobbiamo essere qui a parlare di singoli eroi? Basterebbe che ci fosse una popolazione attiva, una popolazione che non ci sta, che non chiude gli occhi, non si tappa la bocca e le orecchie, ma che denuncia! Denunciare i giovani spacciatori, il pizzo e altre azioni mafiose, questi dovrebbero essere i comandamenti della nostra società in modo che si possa cancellare il termine omertà dal nostro vocabolario.
Il caso di Ferdinando Domè e dei suoi cari, lo stesso figlio di Mario Francese, oltre ad essere stati vittime della mafia, sono stati anche vittime della società. Chi si occupa d’informazione deve quindi rompere il silenzio, fare rumore culturale, far sapere a chi non sa, superando la paura. La gente comune deve essere la scorta di chi lotta per difendere la propria terra, partecipando attivamente alla lotta, denunciando senza chinare la testa dinanzi a persone che non valgono niente.
Nel silenzio vive la mafia, pertanto è una nostra viva speranza, l’utopia che un giorno, non molto lontano, nei libri di scuola, oltre che dei grandi eroi, si parli di un grande popolo onesto che, svegliandosi, fracassando il silenzio, ha ridato vita a un meraviglioso paese: l’Italia.
Marcel Mirabile