Il Sindaco Accorinti e il Bene Comune della Comunita’

Confesso che sono rimasto affascinato dal discorso d’apertura che il Sindaco Renato Accorinti ha tenuto in occasione del convegno- Laboratorio dei Beni Comuni – svoltosi presso il Municipio di Messina il 5 Aprile scorso. Si è capito sin dalle prime battute che non si trattava di un politico, ma allo stesso tempo che rappresentava il più autorevole esponete di una nuova generazione di politici, quella dei politici-cittadini. Espressione mutuata da una felice intuizione di Salvatore Settis, che in occasione della pubblicazione di un saggio di Ugo Mattei, esperto del Sindaco sui Beni Comuni, ebbe a dire : “una nuova dimensione politica avanza con passo lento, incerto, desultorio: è la politica dei cittadini, che si forma e si esercita non necessariamente contro, ma sicuramente malgrado la politica dei politici di mestiere… Ma «politica» dovrebbe invece essere, non solo per etimologia ma anche per le ragioni della storia e dell’etica, prima di tutto un libero discorso da cittadino a cittadino: un discorso sulla polis, dentro la comunità dei cittadini e a suo beneficio”.

“Il punto non è il Sindaco o l’Amministrazione, dice a una platea attenta il Sindaco Accorinti, il punto è il cittadino. Perché ognuno ha il dovere sacro di mettere tutta l’energia con senso “amorevole” (nel fare le cose). Il salto di qualità deve essere il senso “amorevole”, è un percorso difficile ma la vita dell’uomo passa da percorsi interiori. Tutte le volte che ci spogliamo del nostro ego quel bene comune viene più facile da realizzare”

Ma le soprese non sono finite e l’accostamento, forse anche involontario, tra bene comune e comunità o meglio la definizione di bene comune-comunità non solo è l’idea più vicina alla filosofia dei beni comuni che il Prof. Maddalena, nominato esperto “emerito” del Sindaco, già negli anni 70 aveva teorizzato portando l’esempio dell’Urbe Romana e del concetto di Romano che aveva a fondamento il bene comune del Sacro suolo di Roma, ma rappresenta anche il cuore della moderna e per certi versi nuova filosofia dei beni comuni d’interesse collettivo.

“I beni comuni non sono i beni materiali, continua Accorinti. In questo convegno vi sono professionisti pronti a dirci come bisogna fare per amministrare una scuola, uno stadio, una strada ecc ma non è questo o non è solo questo il punto, il bene comune per eccellenza è il senso di comunità. La comunità è la radice di tutto. Io vorrei che questo meccanismo scattasse in tutti noi e vorrei che questa strada ( il laboratorio e la partecipazione) portasse al senso di comunità che ancora non c’è, non c’è. E ancor di più (questo si può vedere) nella nostra città perché è stata violentata d’amministratori che non hanno fatto gli amministratori. Erano chiusi in queste stanze per cercare di fare affari personali. Ora, oltre a rubare denaro, la cosa peggiore che hanno fatto è quella d’aver rubato il futuro, hanno rubato la voglia di pensare che le Istituzioni siano la cosa più sacra. Vi hanno fatto pensare che le Istituzioni sono qualcosa da combattere ma le istituzioni siamo noi e anche dopo le Elezioni siamo qui a lottare per il cambiamento, un percorso lento. Ma in definitiva tutto è lento e la lentezza serve ad andare in profondità . Il cambiamento deve avere una valenza culturale…sentire qualsiasi giardino, l’ecosistema stesso, come la nostra casa. Sentire questo senso di comunità, nella misura in cui ogni bene appartiene a tutti, cambia la prospettiva. Perciò, per ogni essere umano, per tutti gli esseri umani, non ci devono essere confini. Hanno messo queste cose (confini) e hanno creato la guerra”.

“Il nostro progetto sul senso di comunità è lento e noi non vedremo la sua realizzazione. Quello che si sta cercando di fare con il laboratorio non può realizzarsi in anno perché ci vogliono generazioni . Allora, quello che è importante è la direzione verso cui si sta andando e passo dopo passo faremo quello che nella nostra consapevolezza è il “ dover fare”.- In questa prospettiva, quando hai fatto un pezzettino di strada hai fatto tutto. Tutti i giorni e questo è il miracolo già realizzato, cittadini di tutte le età -che hanno visto come è stato possibile vincere anche le elezioni in una città punto franco di tutte le mafie e di tutte le massonerie- vogliono mettere il loro tassello per costruire questo nuovo mosaico di un Bene Comune Collettivo”.  

In definitiva, il “cittadino-Accorinti nel comunicare con altri cittadini” ha trasformato il bene comune in filosofia di vita. Giusta o sbagliata che sia non è nostro compito stabilirlo, come non è nostro compito stabilire se questo metodo è sufficiente a dare le risposte che la città vuole. Ciò non toglie nulla alla costatazione di fatto che ad ogni filosofia, anche a quella dei beni comuni,  corrisponde un cambiamento della realtà. Un “cambiamento” che potremo apprezzare proprio attraverso le parole del giurista Ugo Mattei, il quale è riuscito a trasformare proprio in base a questa filosofia il concetto stesso di “società partecipata”, da S.p.A fondata sul capitale a Azienda speciale fondata sul “bene comune” dell’acqua.

Che differenza c’è tra bene comune e bene collettivo ?

“Bene collettivo ? Immagino che lei l’utilizzi con il significato di bene comune, ci dice il Giurista e docente Universitario Prof. Ugo Mattei. Esperto nominato dal Sindaco per i successi, avvallati anche dalla Corte dei Conti, ottenuti in molte Amministrazioni Locali, tra cui Napoli e Torino, nel campo delle partecipate ( come noto, un tasto dolente del passivo del Bilancio del Comune di Messina) e nell’applicazione giuridica ad esse del concetto di bene comune rispetto al concetto di profitto e capitale. Il bene comune è un bene a titolarità diffusa e può essere tanto a titolarità (totalmente) diffusa (aperto a tutti come i raggi del sole, l’aria o l’acqua), che a titolarità pubblica ma con un uso aperto e inclusivo a potere diffuso. (si pensi alle spiagge. beni comuni e pubblici-demaniali allo stesso tempo) Il bene pubblico è invece un bene dello Stato.

In questo nuovo ambito dei beni comuni come si può inserire l’amministrazione Accorinti in una realtà dove è rigida la differenza tra beni pubblici e beni privati ?

Lavorando molto su due fronti. Uno è quello culturale. Far capire che oggi la divisione tra privato e pubblico è una distinzione regressiva e pertanto non è positiva. Nel senso che la contrapposizione tra privato e pubblico nasce in un momento storico ben preciso e al fine di trasformare i beni comuni in capitale. All’epoca vi erano tantissimi beni comuni e poco capitale. Oggi, invece, siamo nella condizione opposta, abbiamo un quantitativo immenso di capitale e pochissimi beni comuni e quindi bisogna trovare degli assetti istituzionali che ci consentano di trasformare il capitale in beni comuni. Pertanto le Istituzioni che questo Comune vuole mettere in campo hanno questo fine e la “cifra” che questo intento si prefigge è la partecipazione. La partecipazione è l’opposto dell’esclusione .

Data la differenza tra interesse privato e interesse pubblico quale può essere la definizione d’interesse collettivo ?

L’interesse collettivo può essere formalmente tanto privato quanto pubblico ma nella sostanza deve avere una funzione generativa. Lasciare la dimensione “estrattiva tipica della modernità” ed introdurre una dimensione generativa, che vuole appunto (ri) generare tanto il privato quanto il pubblico nell’interesse di trasformare il capitale in bene comune.

L’interesse paesaggistico può essere considerato un interesse collettivo ?

Assolutamente si! Questo è l’appiglio costituzionale più importante che noi (giuristi del bene comune ) abbiamo, l’art. 9 della Cost. Tanto è vero che la nostra costituzione, anche per il genio di Concetto Marchesi, era molto all’avanguardia in questo senso ed ha messo l’art. 9 tra i principi generali del Diritto mentre la proprietà è stata messa nell’ambito dei rapporti economici. Quindi, quello è il bene comune per antonomasia.

Vi sono altre Amministrazioni locali che hanno affrontato e realizzato questa “filosofia” dei beni comuni?

Certo. Si pensi a Napoli dove sono Presidente dell’Acquedotto, l’unico Ente che prima era una S.p.A. e che oggi si è trasformato in una Azienda Speciale partecipata. Un’esperienza che ci ha fatto fare dei grossi passi in avanti, anche dal punto di vista giurisprudenziale e le recenti sentenze della Corte dei Conti a Sezioni Unite hanno reso quel modello un’alternativa alla partecipate che noi conosciamo, cioè alle S.p.A. con capitale pubblico. Adesso bisogna fare il passo successivo attraverso “istituzioni” a struttura capitalistica e quindi di tipo “estrattivo” ma che abbiano all’interno del loro D.N.A. i beni Comuni.

Pietro Giunta