Dalle case a un euro alla vicenda Antinoro, Vittorio Sgarbi dice la sua su una terra che ha deciso di abbandonare perché, per come stanno le cose, “è meglio che uno si salvi il culo stando da un’altra parte”. E attacca l’antimafia “che inventa la mafia”
Il solo fatto che a parlare sia Vittorio Sgarbi include delle variabili, nella stesura di un articolo, che per forza di cose ti inducono a rendere asettica ogni forma di commento. Ti appoggi al discorso, ma non ci entri. Vittorio Sgarbi è così, prendere o lasciare. È il tipo che da un lato si inventa le case a un euro per i siciliani, dall’altro dei siciliani dice che sono alla frutta. È bifronte: si veste da speme e da cavaliere dell’apocalisse. Rimane affascinante, comunque. In una discussione di una decina di minuti è capace di mutare il tono di voce più e più volte, risultando sinuoso, caldo, acceso e fastidioso, ma senza nessuna forma di climax. È un po’ come andare sulle montagne russe, parlare con Vittorio Sgarbi. Gli chiedi, seduto a gambe incrociate, di questa storia delle case a un euro, lì a Salemi, nell’Arabia del trapanese, una storia dentro la quale è entrata la magistratura che fa sapere che c’è un rischio crolli, rischio che il sindaco venuto dal continente non nega, ma sul quale fa dell’ironia facilissima, ricordando che accorgersi adesso di una storia vecchia trent’anni è ridicolo; una storia che fa della sua poltrona di primo cittadino quasi un romanzo da feuilleton, che trova un epilogo già scritto: “In questi giorni abbiamo raggiunto quanto ci eravamo prefissi – dice con calma Vittorio – e credo che coronamento del mio mandato sia potere fare il bando ed iniziare a distribuire le case. Siccome non faccio il missionario – si accende impercettibilmente – il mio tentativo e la mia presenza a Salemi possono considerarsi chiusi: come ho detto non mi ricandiderò. Semplicemente perché ognuno deve preservare la propria vita. Se sarò riuscito a dare l’impulso perché quello che abbiamo pensato possa diventare realtà, sarà cura dei prossimi amministratori portare a compimento l’idea”.
Finisce qui, quindi, dice il critico d’arte sindaco. Allora non gli si può non chiedere cosa gli lascia la Sicilia che ha vissuto: “Sensazioni. La sensazione che la Sicilia abbia attraversato una stagione terribile che è stata superata da una grande capacità investigativa. Attraverso soprattutto l’intuizione di Falcone di trasformare i mafiosi nella condizione di pentiti, si è ucciso l’elemento chiave della struttura mafiosa, che era l’omertà. A me pare che compiuta questa impresa oggi ci sia un certo compiacimento da parte dell’antimafia nelle sue strutture organizzate a tenere in vita la mafia a danno di personalità che hanno molto a che fare con la politica. Dal presidente Lombardo ad una esagerata condanna a Cuffaro alla richiesta di otto anni per Antonello Antinoro mi sembra che ci sia oggi una prepotenza dell’antimafia che approfitta della mafia anche dove non c’è”.
Sgarbi cita tre casi che chiamano in causa l’istituzione Sicilia nelle sue più alte sfere, casi dentro i quali la mafia in qualche modo c’è stata (Cuffaro, che a detta sua starebbe pagando troppo), ci sarebbe (Lombardo, che è sulla griglia) e ci sarebbe stata (Antinoro, ex assessore regionale alla Cultura per il quale i pm hanno chiesto otto anni per un voto di scambio avvenuto al tavolo di mafiosi, mammasantissima che avrebbero incassato tremila euro per garantire diverse decine di preferenze).
L’idea dell’antimafia arrogante, però, non è vaga, ma finisce direttamente fra le sue carte: “Questo è accaduto anche a Salemi, perché non potrò perdonare né al questore, né al prefetto, di avere cercato infiltrazioni mafiose nel Comune sulla base di una cosa assolutamente trasparente, cioè la mia candidatura avvenuta attraverso un vecchio democristiano. Soltanto insinuare che ci sono infiltrazioni mafiose impone una diffidenza, con l’applicazione di tre commissari che vengono a guardare le carte. Da qui la decisione di non rimanere più in Sicilia: io non sono disposto ad essere ostaggio di strutture antimafia che inventano la mafia dove non c’è. È straordinario l’impegno per combatterla, ma è gravissimo inventarla. Inventarla e stabilire dei commissariamenti che hanno portato, ad esempio, a Piazza Armerina la presidentessa del FAI, che aveva chiesto a me di potere avere la gestione della Villa del Casale, a rinunciarvi perché le hanno detto che c’è la mafia. Questa è la vostra peggiore maledizione – dice sul filo di una calma affilatissima – e che a perpetrarla siano le forze dell’ordine e le strutture antimafia è un delitto, ed è una grave responsabilità che il popolo siciliano dovrà pagare per dei facinorosi che hanno deciso di far sopravvivere la mafia a sé stessa”.
La provocazione è la carta preferita di Sgarbi: la tira fuori praticamente sempre, qualunque sia il piatto. Anche ai margini di una chiacchierata sull’Isola che gli ha dato un Comune pieno della caratteristiche di una terra amara. Così, chiacchierando, parla della sua idea ironica di palazzo d’Orleans: “Ho rilanciato dicendo che avrei fatto il presidente della Regione, ma è una specie di vocazione al martirio, perché ogni presidente o viene ucciso o viene condannato per mafia. Ora, se io misuro l’ultima di questa tipologia di vicende, che è quella che investe l’ex assessore Antinoro, per il quale posso pure credere che abbia fatto l’ingenuità di pagare quelle tremila euro per una sessantina di voti, non posso accettare che si parli di mafia, perché, ammesso pure che abbia pagato, puoi avanzare qualcosa come ottocento euro di multa, ma non fare una richiesta così sproporzionata. Il pubblico ministero andrebbe arrestato solo perché lo pensa. Cioè: in una situazione in cui trovi un signore che dice di essere un mafioso e che ti promette sessanta voti, e per questo gli vengono date tremila euro, devi anzitutto vedere che tipo di potenziale mafioso ha, e poi devi valutare il profilo morale della vendita, grave sì, ma non al punto da sanzionarlo con otto anni e da chiamare tutto questo ‘mafia’. Farlo vuol dire prendere per il culo il mondo e condannare la politica siciliana ad una condizione di minorità. Se io faccio un pranzo a Reggio Emilia e pagando tremila euro raccolgo sessanta voti, nessuno mi inquisisce per mafia. Quindi non riesco a capire – sale improvvisamente il tono della voce – perché se, invece di fare un pranzo, do tremila euro a un coglione che qualcuno ritiene mafioso si debba parlare di mafia. A me non frega nulla di difendere Antinoro, ma quando ho letto la notizia ho pensato che si trattasse di una violenza della magistratura contro i cittadini. Il modo per commissariare la Sicilia, quindi, è dire che uno per fare campagna elettorale farà astinenza, non farà più feste… Certo, comprare dei voti, ammesso che siano stati venduti, è esecrabile, ma legarlo alla mafia mi sembra una follia, perché qualunque esaltato, qualunque drogato, qualunque ragazzotto che si muove nella criminalità comune potrebbe far chiamare ‘mafia’ questa cosa. Solo qui si può chiamare ‘mafia’… Lo trovo incivile, e uno è meglio che scappi dalla Sicilia, perché se poi per le cose che fa in Sicilia si deve parlare di infiltrazioni mafiose, regie occulte o altro, come hanno cercato di fare anche a Salemi, allora è meglio che uno si salvi il culo stando da un’altra parte”.
A sentire il tono alto col quale Sgarbi veste queste affermazioni sanguigne, accese, ci si rende conto che è necessario fare passare qualche secondo, aspettare che il respiro torni a farsi regolare. Per ascoltare, poi, l’ultima frase che il sindaco che non tornerà getta sul tappeto con un filo di voce: “I siciliani sono senza speranza”.
Finisce qua, quindi, Vittorio.
sebastiano ambra