Il sud è niente.
No, non è un’affermazione, un modo di dire o un concetto, ma è il titolo del nuovo film di Fabio Mollo, film che lo vede protagonista al Festival di Toronto e al Festival Internazionale del Film di Roma . Certamente si tratta di una pellicola profonda e sincera come la nostra attrice protagonista che oggi si confida con i nostri lettori. Bella, solare, aggressiva e dolce allo stesso tempo – questa ragazza della porta accanto ci rivela il mondo in cui è cresciuta. Reggio Calabria- una città non proprio silenziosa, una città che fa parlare. Fa discutere la vita che si fa all’interno di alcuni quartieri come quello di Gebbione- estrema periferia di un lembo di Calabria. Un quartiere in cui il male di vivere esclude proprio quei giovani che si lasciano “ingabbiare” da un futuro ormai scritto. Silenzi, orrori, facce da dimenticare e soprattutto episodi scomodi solo da cancellare. Il film parla proprio della delinquenza, povertà, omertà di questo luogo in cui il nascondere significa vivere.
Ragazzi cresciuti all’ombra della ndrangheta e della delinquenza che odono voci, ma non parlano.
“Il silenzio è radicato nella nostra cultura, siamo convinti che ci protegga ma invece ci toglie il gusto del confronto e la possibilità di cambiare idea”dice la nostra Miriam.
In un Sud di migranti, di disoccupazione , di alienazione c’è però chi risorge, chi ce la fa, chi non si tira indietro. Ragazzi come loro – nati al sud che affrontano la vita con dedizione, con impegno, con coraggio e ce la fanno. Si, perché “il sud è niente”, è arrivato fino al nord. Quel nord della cultura, delle belle parole, dell’accento pulito che capisce e premia- premia chi riesce anche laddove qualcuno ha dimenticato che proprio lì, accanto ad un mare da amare ci sono giovani pronti a tutto, pronti a sfidare il destino per poter decollare attraverso un film che racchiude la loro storia. L’autore afferma che: “Se le cose non le dici,non ti possono fare male”e – poi arriva a dirle proprio per fare male. Si, perché è solo parlando e facendo conoscere quanto di più vero nasconde una terra in cui il male deve essere sconfitto e non messo a tacere che si arriva fino in fondo.
Il film parla del quartiere “Gebbione “che sarebbe un accrescitivo maschile del termine dialettale d’origine araba”gebbia” che deriva da “djeb”, cioè “cisterna per la raccolta delle acque”. Come si vive in un quartiere dell’estremo sud?
Per i giovani non c’è tanto da fare, bisogna avere tanta inventiva se non vuoi entrare in una routine che può risultare vuota o poco costruttiva. Devi crearti da solo i tuoi stimoli perché, soprattutto appena si finisce la scuola dell’obbligo, non è facile accettare che non ci sia lavoro e dei relativi svaghi ed è ancora più difficile accettare l’idea di essere costretti ad andarsene per realizzarsi.
Nel quartiere Zen di Palermo se una famiglia indigente vuole riconosciuto il proprio diritto alla casa non deve rivolgersi all’IACP (Istituto Autonomo Case Popolari), ma al boss che gestisce l’insula (così si chiamano i palazzi di questo quartiere di periferia ispirati per tipologia dall’architettura romana), perché soltanto lui decide a chi vendere l’abitazione garantendo perfino luce e acqua. E’ così anche nel quartiere Gebbbione?
Di storie finite male sulle case popolari ce ne sono un’infinità. Al Gebbione non so come funzioni ma per quanto riguarda Arghillà ci sono famiglie che aspettavano l’assegnazione della casa da 20 anni e quando finalmente l’avevano ottenuta sono stati buttati fuori sotto la minaccia di gruppi di rom armati. Il problema non sono i rom perché non è nella loro cultura il comportamento di stampo mafioso, evidentemente c’è qualcuno che glielo permette. Di contro non c’è nessuno che protegge queste famiglie dalla palese ingiustizia subita. I problemi sono tanti e su tanti fronti.
Cosa sognavi per il futuro?
Non immaginavo di fare l’attrice, non l’avevo mai pensato. Per me la conquista più grande è aver avuto modo di vivere un’esperienza simile nella mia città perché tutti in questo progetto hanno lottato per la realizzazione di un progetto il più possibile reggino. Più che un sogno avevo una speranza che non è cambiata: il cambiamento attraverso le nuove generazioni, di cui faccio parte. Noi siamo la prima risorsa del futuro.
Come vedi il tuo ritorno da attrice nel tuo quartiere?
L’esperienza del film per me è la prova di come un gruppo di persone che lavora per raggiungere un obiettivo possa farcela e non con poche difficoltà questo è chiaro; torno nella mia città e sono sempre più convinta che l’unione fa la forza ma è da ogni singolo che deve nascere il desiderio, la speranza e la passione per una voglia di cambiamento ampiamente condivisa. L’essere attrice è stato solo uno dei mille modi possibili per lanciare questo messaggio.
Come sono visti i “diversi” a Gebbione?
La mia adolescenza non è stata segnata dall’accezione negativa di “diversità”, anzi credo che la mia generazione ami la diversità degli altri e soprattutto quella individuale. Le eccezioni ci sono sempre e parlo dell’intolleranza, nella maggior parte dei casi viene urlata con violenza perché si è abituati a far finta di niente e a stare in silenzio perché il silenzio è radicato nella nostra cultura, siamo convinti che ci protegga ma invece ci toglie il gusto del confronto e la possibilità di cambiare idea.
Come vivono il futuro i ragazzi di Gebbione?
Per me esiste la Ndrangheta, la delinquenza e i comportamenti di stampo mafioso così come al Gebbione, a Reggio e provincia, in Italia e nel mondo. Sempre più la delinquenza in tutta Italia, su tutti i livelli, riporta alla mente il comportamento mafioso e lo sappiamo tutti che la mafia è una piaga sociale.
Descrivici la vita a Reggio Calabria e la vita di quartiere….
Non posso esserne la porta voce assoluta, potreste chiederlo a loro
A cosa ti ha strappato la tua “nuova vita”?
Beh agli affetti che avevo a Reggio Calabria ma tutti nella vita dobbiamo fare un viaggio, (sorrido) si chiama crescere e soprattutto vivere.
Nel film interpreti un “maschiaccio”- quanto di te ha questa parte maschile?
L’apparire un “maschiaccio” per Grazia è causato da un forte silenzio, dalla forte mancanza del fratello ed è anche un modo per proteggersi dal mondo; la sua forza, la sua rabbia, i suoi sentimenti viscerali sono quelli di una donna. Il mio lavoro è stato costruire ma sono partita da una Grazia che era quasi donna e poi c’ho aggiunto una corazza maschile che però non mi appartiene.
Quali sono le cicatrici che rimangono per chi vive in “periferia”?
Sicuramente un senso di impotenza e isolamento e mi ripeto sul fatto che andrebbe chiesto anche a loro perché non sono portavoce di una verità assoluta.
Come vedi il futuro dei tuoi coetanei al sud?
Nonostante molti uomini abusino della nostra terra e dei suoi abitanti io sono molto positiva e credo davvero che un sud all’insegna della legalità e che sappia costruire un futuro migliore possa esistere. Si deve lavorare da subito per non farsi sopraffare da chi ci vuole far credere che non sia possibile!
Karlkvist- non è proprio un cognome calabrese – quali sono le tue origini?
Sono per metà svedese e per metà calabrese.
Com’è nata quest’avventura?
Dei miei amici mi hanno portato al primo provino al Teatro Primo di Saracinello, i provini sono durati 1 anno.
Quali sono state le difficoltà maggiori durante le riprese del film e quali invece le cose che ti hanno divertito?
Le difficoltà erano molto spesso gli esterni, ha piovuto per una settimana e proprio quando dovevamo girare le scene in acqua la temperatura era scesa vertiginosamente e tutti sappiamo come può essere gelido il vento e il mare dello Stretto di Messina, sono letteralmente svenuta dal freddo. E’ stata un’esperienza meravigliosa tutto era bello, nuovo e affascinante.
E’ il tuo sogno che si avvera?
I sogni li brami per tanto tempo e spesso li tieni in un cassetto perché non sembrano realizzabili; per me è stato il contrario stavo sognando e non lo sapevo!
Il tuo è un ruolo che ti vede protagonista, come ti sei preparata?
Il tempo non è stato tanto, 3 settimane di preparazione, di colloqui con Fabio e il cast e poi 4 settimane di set. Il giorno si girava e la notte pensavo a cosa dovevo fare il giorno dopo, lavoro a ciclo unico, tutto era una sfida ma prima di tutto un lavoro.
Il film descrive la povertà, il male di vivere di un posto che ti è familiare, quanto c’è di reale?
La realtà sta nell’emozione del pubblico di Reggio Calabria e di tanti reggini emigrati al nord. Il cinema diventa reale quando tutti in vie diverse, possono rivedersi in un luogo, in un personaggio, in una scena ed escono dal cinema con tante domande e condividendo il messaggio del film.
Il sud è tutto o è niente?
E’ quello che ognuno di noi vuole che sia.
“Se le cose non le dici, non ti possono fare male”, è una frase del film, pensi sia realmente cosi?
Se le cose non le dici ti fanno male lo stesso ma in modo diverso, spesso il silenzio è paura di affrontare un dolore.
“Il sud è niente” arriva al festival tedesco nella sezione “Generation”quanto ti emoziona tutto ciò?
E’ dal Toronto International Film Festival che provo sempre più sorpresa ed emozione nel sapere la nuove tappe de “Il sud è niente”: Discovery (TIFF); Alice nella città (Festival Internazional del Film di Roma); la visione al Torino Film Festival; Generation (Berlinale 2014). E’ un film per i giovani con un messaggio per tutte le generazione che parte dalla scoperta di giovani talenti!
II regista Fabio Mollo attraverso questo film vuole esprimere “il silenzio”- è riuscito nel suo intento? Si può descrivere il silenzio?
Di sicuro la sfida più grande della comunicazione è raccontare il silenzio ma il cinema è il mezzo più giusto per poterlo fare. Fabio è stato tanto ambizioso nel suo intento e direi che il suo silenzio parla, urla e ti smuove.
L’omertà e la strage di Duisburg sono i cardini principi della trama – qual è la scena che racchiude il concept del film?
Per me è il momento della verità, quando finalmente Grazia e Cristiano rompono il silenzio e dimostrano di non voler più essere niente.
Perchè i nostri lettori dovrebbero vedere il SUD E’ NIENTE?
Perché ti lascia tante domande senza importi delle risposte.
Margherita Naccarati