Il vero mio nemico chi e’?

Avevo scritto quattro parole sulla Fiom, sull’IMU e il teatrino dei contentini agli elettori, e adesso, col registratore appena spento, mi rendo conto della guerra dei mondi. Il teatrino e la vita reale. Sono in guerra, e te ne accorgi quando senti Lirio Abate che spiega quanto sia importante l’avere appreso che l’agenda Rossa di Borsellino era accanto al cadavere del magistrato prima di sparire nel nulla. Era reale, come la vita. Lirio parlava a Skytg24, e la notizia veniva prima di quella di Grillo che sottolineava come l’aver tolto l’IMU fosse la carota di Berlusconi ai suoi fedeli cavalli bastonati. La vita reale e il teatrino.

La sensazione, insomma, è quella che deve avere chi si affaccia su un baratro, dove non ci sono recinzioni. Ho appena tirato dietro la testa e l’inevitabile vertigine mi da un senso di nausea. Così mi sento dopo aver ascoltato Dino che parla con Piera Aiello, Valeria Grasso, Ignazio Cutrò e Angela Napoli. Tre testimoni di giustizia e una che nel suo curriculum ha inserito la voce “membro della Commissione parlamentare Antimafia e della Commissione Giustizia”.  Scopa.

Dino con i testimoni  insiste, li chiama spesso. Credo che sia, da parte sua, il bisogno di sentire che di questa vita reale fa parte anche la lealtà, il senso del dovere, la dignità. Avere questa certezza, però, ha il suo prezzo. Bisogna riempirsi la bocca d’amaro per respirare quell’aria. Bisogna sentirsi dire che lo Stato non è presente come dovrebbe. Bisogna sentirsi dire da Valeria Grasso che dopo sette mesi d’albergo obbligatori arriva una notifica da 1800 euro di spese extra, che “in realtà non esistono”. È stata pure diffidata, Valeria, nel contestarle, e non ha ricevuto risposta quando faceva notare allo Stato che non bisognava pagare quell’extra dato che non c’era alcuna pezza d’appoggio. Ma lo Stato si fida dell’albergo, infila la mano sinistra nella tasca del contribuente e con la destra chiude la comunicazione con la testimone di giustizia. È lo stesso Stato che fuori dalla Sicilia toglie la scorta a Piera Aiello, che alza pure il volume della voce quando rivendica che lei in Calabria non ci va certo sotto un altro nome. Piera Aiello si chiama e Piera Aiello si mostra. E ricorda che così è pure per Giuseppe Carini, sentenziando lapidaria: “Siamo dei bersagli mobili. Ci vogliono morti”. E se questo, a sentirlo, appare disarmante, allora Ignazio Cutrò cala l’asso. “La situazione è drammatica – dice. C’è una connessione tra una parte dello Stato e la mafia così grave che i testimoni di giustizia devono essere abbandonati. Perché per una parte di Stato siamo il cattivo esempio”.

Ora: Ignazio Cutrò parla di “una parte di Stato”. Perché non abbiamo certo perso, non siamo sotto il tacco dei mammasantissima. C’è anche una parte buona dello Stato. Ignazio ha fondato un’associazione raccogliendo un buon numero di testimoni come lui, e a quella parte di Stato a cui da fiducia si è appena rivolto. Ha chiesto un incontro ufficiale al ministro dell’Interno e al presidente del Senato, Piero Grasso. Inoltre ha presentato un esposto al procuratore della Repubblica della DDA di Palermo, nel quale parla della lettera minatoria inviatagli giorni fa a firma falsa del pm che segue il processo “Face-Off” di cui lui è testimone chiave; e nel quale parla poi della questione “bersagli mobili”, cioè di Piera Aiello e Giuseppe Carini. Perché, per l’appunto, c’è lo Stato e poi c’è lo Stato.

E così Ignazio, dopo aver riflettuto sulla labile protezione che gli viene offerta, con le telecamere da due megapixel che lo fanno sentire una formica sotto un elefante, chiede a Dino: “Il vero mio nemico chi è? Il mafioso che io ho affrontato e che sono pronto ad affrontare, o quella parte di Istituzioni assente e che pure si offende quando noi evidenziamo quello che c’è di negativo?”.

Poi parla Angela Napoli, pure lei lasciata al vento, appiedata dallo Stato. Dice che la revoca della sua scorta è un’assurdità, che di certo non va in direzione della lotta al crimine. Dice che fra il bianco dei colletti dell’apparato statale e il rosso del sangue che la mafia si lascia alle spalle non esiste più una linea di demarcazione. Si mescolano. Dino le chiede se le associazioni antimafia possono fare qualcosa e lei dice di sì, che può darsi, ma non dev’essere un’antimafia parolaia. “E sa perché? Perché la mafia è parte integrante di pezzi di istituzioni e di politica. E gli inquirenti stessi ad un certo punto, quando nelle inchieste si imbattono personaggi ‘importanti’,  vengono frenati, e se c’è qualcuno che intende comunque andare avanti questo qualcuno dev’essere bloccato”. Via la scorta, via il denaro, via la sorveglianza.

Allora stacco. Tiro indietro la testa, ho le vertigini. Minchia.

Dino mi fa ascoltare la pancia del mondo, e dentro c’è un bambino che dobbiamo fare ancora nascere.

Sebastiano Ambra