Può un fazzoletto di terra e agrumi fra Catania e Siracusa, un centro di sole 24.000 anime come tanti altri in Sicilia, lontano dalle insidie dei poli industriali, detenere il macabro record delle morti per leucemia? Secondo gli studi a cura dell’Azienda USL di Siracusa, di recente pubblicati sul Registro Territoriale di Patologia, è esattamente quanto avviene da vent’anni nel comune di Lentini, in provincia di Siracusa, dove di leucemia continuano a morire uomini, donne e bambini per un tasso tre volte superiore al dato nazionale. Tragica fatalità?
Dalla denuncia presentata dall’avvocato Santi Terranova alla Procura della Repubblica di Siracusa per conto dei genitori delle vittime più giovani, riuniti nell’Associazione per bambini leucemici “Manuela e Michele”, sembrerebbe in realtà che “sotto” quel fazzoletto di terra e agrumi ci sia molto di più. Sembrerebbe che ad uccidere sia uno sconcertante pastone di mafia, speculazioni nazionali ed interessi esteri. Ma quali le cifre? Quanti uomini e quante donne sono morti e continuano a morire a Lentini? Su quali cause le autorità sanitarie locali stanno indagando?
«In realtà -commenta il dottor Anselmo Madeddu, referente del Registro Territoriale di Patologia di Siracusa, il primo a rendere noti i dati di Lentini- i dati da noi rilevati dimostrano che non è la provincia siracusana nel suo complesso a destare allarme, nonostante la presenza del polo industriale Augusta-Priolo-Melilli, in quanto i casi di leucemia sono addirittura al di sotto di tanti altri centri italiani. Il problema sta proprio a Lentini, dove il tasso standardizzato rilevato è del 32,1% , di cui il 13% riguarda le donne, contro il 12,7% del pool italiano. La predominanza del sesso maschile porterebbe a pensare ai fattori chimici, ai pesticidi e tutto quanto è legato all’agrumicoltura come possibile causa principale della malattia.
Tuttavia noi siamo convinti che non è solo questo e non è solo uno il fattore di rischio che ha fatto esplodere a Lentini l’alta percentuale di casi.Ci sono infatti altre zone in Sicilia in cui l’agricoltura è praticata con prodotti dello stesso genere, ma, pur esistendo qualche caso, non ci troviamo neanche lontanamente di fronte a tali cifre. Si tratta probabilmente di un insieme di circostanze primo fra tutti, l’uso “indiscriminato” del territorio». E a sottolineare che i pesticidi possano essere solo una delle cause, la più irrilevante forse, è purtroppo, un altro macabro record. «A venire incontro a questa teoria in effetti -continua il dottor Madeddu- è il dato allarmante relativo alla leucemia infantile. Rapportato orizzontalmente al tasso riscontrato tra i bambini delle altre città italiane, il tasso lentinese è sempre il più elevato. Nella fascia da 0 a 4 anni, infatti, si riscontra un 57,9%, a fronte, ad esempio, di un 12,4% osservato nell’intera provincia di Siracusa. Quasi 5 volte di più!
Ebbene, come si fa a pensare che un bambino di due o tre mesi possa essere stato esposto agli effetti dei pesticidi? Se questo può essere ipotizzato per un adulto che per anni ha irrorato prodotti nocivi, la stessa ipotesi cade, ovviamente, per un bambino. E allora qui verrebbe da pensare ad un fatto virale, ad un’alterazione genetica o alla plausibile ingestione di prodotti agricoli contaminati. In quanto studiosi, è chiaro che non ci fermeremo alla singola ipotesi». «Quando parliamo di leucemie –conclude la dottoressa Lia Contrino, medico Igienista, anche lei responsabile del Registro Territoriale di Patologia di Siracusa- non dobbiamo scordare che non si tratta di una patologia univoca e che ne esistono diverse forme e diverse cause. Certo è però che i dati da noi rilevati, già a partire dagli anni ’80 ci dicono che storicamente e innegabilmente il tasso di mortalità per leucemia a Lentini è sempre stato rilevante. Se dunque in questa fase non possiamo scartare alcuna ipotesi sulle cause, i dati stessi ci portano a pensare che il problema deve essere in qualche maniera legato al territorio».
PRIMA IPOTESI: L’URANIO IMPOVERITO.
A Lentini si indaga, dunque. Indagano le autorità sanitarie, indaga la magistratura. Si cerca, ma solo adesso, dopo vent’anni di morti, di capire. Si indaga però non grazie all’interessamento dei politici locali o all’attenzione della stampa isolana, bensì grazie a chi dalla tragedia della morte di un figlio è stato colpito direttamente. E a chi non vuole più vedere dei bambini morire perché nessuno fa nulla. «Nel mese di dicembre del 2005 -racconta l’avvocato Santi Terranova, professionista fra i più in vista del luogo, ormai dedito quasi a tempo pieno alla causa lentinese- si sono verificati nel giro di pochi giorni due morti di due ragazzi per leucemia. Dopo poche settimane morì anche un’altra ragazzina.
Questa situazione, che suscitò scalpore a Lentini, mi spinse a prenderne atto in maniera ufficiale e a presentare successivamente un esposto alla Procura di Siracusa. Ho chiuso lo studio per un mese e, con l’aiuto di esperti e medici, sono riuscito ad assemblare tutto il materiale che oggi è in mano ai magistrati». Una denuncia,quella in mano al procuratore di Siracusa Roberto Campisi, che la magistratura sta seguendo scrupolosamente, ma che profila ipotesi sconcertanti.
Forse troppo per quel fazzoletto di terra e agrumi.
«Grazie all’ausilio di persone competenti –continua l’avvocato- questa mia primissima indagine ha sentito di escludere, almeno per la stragrande maggioranza delle famiglie colpite da questo fenomeno, il fattore ereditario ed altre possibili cause determinanti. Rimaneva una possibile spiegazione, per quanto inquietante e apparentemente assurda: l’esposizione alle radiazioni da parte delle vittime».
Ed è effettivamente così? Ci sono tracce di radiazioni a Lentini? E se sì, da dove vengono? Dove andarle a cercare?
«Le mie indagini –afferma il legale- sono partite proprio da queste domande. E sono giunte ad una risposta più che plausibile. A Lentini si è sempre parlato di un aereo della base di Sigonella precipitato nel 1984. Di quest’incidente, che fino a un anno e mezzo fa da molti era considerato quasi una leggenda metropolitana, nulla si sapeva. Non si è mai saputo quali siano state le cause e, soprattutto, che cosa trasportasse l’aereo. Grazie alle ricerche condotte con il dottor Elio Insirello, oggi in commissione di indagine, siamo venuti a conoscenza del fatto che, come è riscontrabile anche dalle stesse riviste americane, quegli aerei erano zavorrati di barre di uranio impoverito».
«Il dato più allarmante per Lentini –mi conferma Elio Insirello, biologo e consulente tecnico per la Procura della Repubblica di Siracusa sul caso Lentini- è senz’altro la caduta del Quadrigetto C141B “Starlifter” dell’US Air Force precipitato in Contrada San Demetrio il 12 luglio del 1984. Ai tempi dell’incidente infatti le leggi italiane consentivano agli aerei cargo l’utilizzo di contrappesi fissi e mobili in uranio impoverito nelle fusoliere (oltre che nelle ali) e tali contrappesi erano esenti da obblighi di denuncia alle autorità competenti».
Ma come è possibile che le leggi italiane consentissero il transito di un metallo così dannoso per la salute?
«Questa legge -spiega il biologo- aveva la sua logica nel fatto che l’uranio impoverito se non viene incendiato è quasi inerte e abbondantemente al di sotto dei limiti di pericolosità per quanto concerne agenti radioattivi. Adesso le leggi italiane hanno dismesso l’utilizzo di questo materiale, sostituito con il tungsteno, ma il problema fino a questo momento è stato assolutamente ignorato e sta di fatto che per anni i nostri cieli sono stati solcati da aerei americani e quant’altro imbottiti di centinaia di chili di uranio impoverito. Alla luce di tutto questo mi sono chiesto se e in che misura quell’incidente abbia potuto incidere sulle patologie di Lentini. Il problema va ancora scandagliato, ma c’è la reale possibilità che l’uranio impoverito incendiatosi in seguito all’impatto abbia la sua incidenza e questa possibilità deve esser presa nella giusta considerazione.
Gli effetti dell’uranio bruciato sono compatibili non solo con l’insorgere della malattia (e la cronaca mondiale ci fornisce diversi esempi in tal senso, basti pensare al Kosovo) ma anche con la data in cui è stato registrato il drastico aumento delle patologie leucemiche, circa dieci anni dopo, esattamente il tempo stimato per il manifestarsi dei sintomi. Più i giorni passano, insomma, più ci rendiamo conto che i casi di leucemia a Lentini sembrano legati all’uranio impoverito. Ho chiesto con forza alle autorità politiche e istituzionali italiane e alla magistratura di ottenere una risposta ufficiale dagli USA sull’esatta quantità di uranio contenuta nell’aereo caduto nell’84 per poter stimare il danno reale. Purtroppo si tratta di elementi mobili che servono a controbilanciare di volta in volta il carico trasportato dagli aerei e per questo motivo è impossibile risalire semplicemente dal modello alla quantità di metallo caricato nella struttura. Ma fino a questo momento non abbiamo avuto esiti. Sull’incidente è stata posta dagli americani una pesante coltre di silenzio». Tutti elementi che stanno facendo assumere alla leggenda metropolitana sempre più il carattere di verosimiglianza. Ma che quell’incidente sia avvenuto e che nell’impatto il cargo abbia realmente preso fuoco lo dimostrano anche delle foto scattate al momento dell’incidente da un testimone oculare. «Mi trovavo a circa 200 metri dal luogo dell’incidente -ricorda con dovizia di particolari Alfio De Luca, ex reporter lentinese- ed erano le 12,30 circa.
Si sentì chiaramente il rumore assordante di un aereo che precipitava. Vedendo l’impatto e le fiamme presi la macchina fotografica e corsi sul luogo dell’incidente.Ebbi il tempo di fare sei o sette foto. Subito arrivarono gli americani che bloccarono tutta l’area gridando “zona militare”, allontanando e minacciando con i fucili chi era accorso per prestare aiuto. Nel frattempo arrivarono anche i carabinieri, a cui fu affidato l’unico servizio di non far transitare nessun mezzo in quella zona. Fui costretto a fuggire perché un soldato cercò di sequestrarmi la macchina. Nascosi la macchina fotografica, scappai e dopo il dissequestro della zona, dopo circa 40 giorni, andai a recuperarla sviluppando le poche immagini che riuscii a scattare. Le foto sono adesso in mano ai magistrati». «Grazie ai pareri degli esperti e alle testimonianze -è ancora Santi Terranova- questa prima ipotesi, ha assunto una grande importanza per le indagini ed è la direzione verso cui la Procura di Siracusa sta indirizzando il maggiore sforzo operativo».
DISCARICHE, MAFIA E LEUCEMIE: QUALE NESSO?
La presenza delle radiazioni non è l’unica ipotesi che emerge dalla denuncia e il quadro si profila, se possibile, ancora più sconcertante. «Nella mia denuncia alla magistratura -prosegue infatti Terranova- ho ricordato ai procuratori che nell’88 in territorio lentinese furono scoperte delle discariche abusive, in cui veniva depositato del materiale ospedaliero proveniente dal nord. Ho documentato questa scoperta con i tre fascicoli aperti dal pretore di Lentini di allora nonché con la documentazione fotografica fatta, anche questa volta, da Alfio De Luca.Furono allora rinvenuti interi scatoloni provenienti dalla Usl n.67 del Veneto e contenenti rifiuti ospedalieri. Aperti questi scatoloni alla presenza delle autorità, il prof. Salvatore Sciacca dell’Università di Catania rilevò con il contatore geiger la presenza di radioattività a livelli altissimi. Fatto strano, quando intervennero il giorno successivo i tecnici dell’Enea, non rilevarono alcuna traccia di radioattività».«Quando mi recai su quelle discariche per documentarne la scoperta –ricorda Alfio De Luca, testimone anche di questo grave episodio- mi ritrovai davanti a scene raccapriccianti.
Due enormi cointainers contenevano tonnellate di scatole di cartone pieni di viscere ed organi umani, flebo, siringhe, buste di plastica dalle quale fuoriuscivano liquami maleodoranti, cartelle cliniche, lastre radiografiche. Lì vicino alcuni maiali facevano di quei rifiuti il loro pasto mentre altri giacevano morti. Fotografai le carcasse, che i tecnici della regione negarono poi di aver visto. Così come negarono che le rilevazioni del professor Sciacca nei pressi dei container e nell’area adiacente, da me documentate con le foto, fossero positive all’esame del contatore geiger che segnalava un’ altissima presenza di radiazioni. Il professor Sciacca fu preso per visionario mentre le mie foto e le testimonianze di chi era lì venivano ignorate. I miei servizi furono poi pubblicati su alcune testate nazionali (Oggi, L’Espresso, L’Europeo). Ma nonostante questo nessuno ne parlò più e siamo ancora al punto di prima». «La cosa che fa più specie –ribadisce l’avvocato- è proprio questa. Che su quei tre fascicoli aperti dalla pretura di Lentini, (il primo iscritto al n.1716/1988, il secondo al n.1716/1988, il terzo al n.1894/88) gli stessi che sono ora in mano alla magistratura furono archiviati».
Perché? A chi dava fastidio la scoperta delle discariche? E il Veneto fu mai avvisato di quel rinvenimento?
«Anche su queste domande la magistratura sta attualmente indagando –risponde ancora Terranova-. Sta di fatto che continuiamo ad ignorare da quanto tempo si perpetuasse quell’ “usanza”, quanti rifiuti sono stati scaricati in quella contrada prima della scoperta, e, dopo la scoperta, dove e come sono stati smaltiti». Ma non è tutto. «L’altra domanda -prosegue Terranova- è infatti: questi rifiuti portati qui in maniera sicuramente illegale, come venivano trasportati? La risposta sta, probabilmente nel rinvenimento, circa 15 giorni dopo la scoperta della discarica, di contenitori identici sulle spiagge di Agnone Bagni, vicino Lentini. Dopo la scoperta delle discariche si formarono dei piccoli comitati di cittadini, che facevano delle ronde nei pressi delle discariche per intercettare altri eventuali arrivi.Stranamente non arrivarono più rifiuti, ma dopo pochissimo ci ritrovammo gli stessi scatoloni sulle nostre spiagge. È chiaro che quei rifiuti arrivassero via mare e quando la situazione in quei giorni si è rivelata “calda”, chi di dovere ha pensato bene di disfarsene gettandoli in acqua».
Ecomafia?
«Nel passato anche recente -spiega ancora l’avvocato- la DIA di Catania ha avviato numerose indagini allo scopo di accertare e reprimere reati di natura ecologica, quali quelli attinenti alle discariche abusive in territorio lentinese, ed in più di un caso sono stati accertati forti interessi della mafia, nelle vesti della famiglia Ercolano-Santapaola. Nel contesto di tali indagini furono individuati alcuni soggetti a cui, verosimilmente, poteva essere ricondotta la “gestione” delle diverse discariche abusive rinvenute: ad esempio gli amministratori di una tale Cooperativa “Blocchi Fiumefreddo”. L’esito di questi procedimenti, e di altri eventualmente aperti dalla Procura di Siracusa, non ci è però noto. Sembra chiaro tuttavia che il business delle discariche abusive faccia gola all’ecomafia».
ANCORA SIGONELLA, ANCORA ECOMAFIA.
«La terza ipotesi -continua il legale- mette in relazione ancora Sigonella e l’ecomafia. Sigonella è il centro di maggiore stoccaggio di armi nucleari di tutto il bacino mediterraneo. Ebbene, dove scaricano gli americani le scorie radioattive?» E non solo. «Di norma -ci spiega il giornalista siciliano Antonio Mazzeo che della problematica si è occupato in seno all’inchiesta “La Mega Sigonella” pubblicata su Terrelibere.org- la base utilizza la discarica consortile di contrada Armicci di Lentini, un’area ormai trasformatasi in una vera e propria bomba ecologica. Gli investigatori della D.I.A. di Catania hanno rilevato tuttavia che la base di Sigonella compare tra gli enti e le istituzioni pubbliche che per anni hanno scaricato rifiuti nella discarica gestita da Salvatore Proto, ritenuto un prestanome del clan Santapaola-Ercolano, che vanta precedenti per armi (come si legge in un rapporto della Direzione Antimafia di Catania del 1997) e che avrebbe preso parte a numerose gare d’appalto all’interno della base militare siciliana al fine di presentare “offerte di comodo” in favore di Cosa Nostra.
Secondo il collaboratore di giustizia Filippo Malvagna, grazie alla famiglia Proto fu organizzato un perverso meccanismo spartitorio del business dei rifiuti nel comprensorio etneo e Sigonella. Furono inoltre riscontrati stretti legami d’affare tra la SI.A.S, la ditta della famiglia Proto, e la “Cooperativa Bosco Etneo”. La Bosco Etneo, dopo essersi aggiudicata a Sigonella il contratto denominato “Drying Beds Maintenace”, nel dicembre 1993 aveva affidato alla SI.A.S, con il consenso americano, il trasporto di rifiuti speciali derivanti dai depuratori di NAS 1 e 2». Ma il problema va ancora oltre. La base americana ospita una mastodontica struttura ospedaliera, a cui fanno capo gli 8000 soldati di stanza in Sicilia e quelli assegnati alle diverse altre basi dislocate in tutto il Mediterraneo.
Dove finisce l’ingente mole di rifiuti ospedalieri?
«È alla Giano Ambiente S.r.l. -continua Mazzeo- che la Marina USA affida lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri prodotti nelle infrastrutture sanitarie della base di Sigonella. Fondata nel 1983, la Giano Ambiente opera nel settore bonifica, trasporto,smaltimento e trattamento rifiuti in Italia, Germania, Francia ed Austria e vanta un fatturato annuo di circa 4 milioni di Euro. È una delle aziende di fiducia della Marina Militare italiana: la Direzione Commissariato in Sicilia le affida la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti delle basi navali di Augusta, Messina e Catania; l’impresa esegue inoltre lo smaltimento dei rifiuti industriali e tossici prodotti negli impianti di Priolo e Gela di proprietà delle principali aziende petrolchimiche. Amministratore della Giano Ambiente e principale azionista del Gruppo Giano è il noto manager siciliano Gaetano Mobilia, rinviato a giudizio con l’accusa di turbativa d’asta, falso e abuso d’ufficio. Il nome di Gaetano Mobilia è inoltre comparso nel rapporto 1998 di Greenpeace sulle Ecomafie: il manager sarebbe risultato legato alla ODM (Ocean Disposital Management) azienda con sede nelle Isole Vergini più volte sotto inchiesta per traffici di rifiuti radioattivi e tossico-nocivi destinati ad alcuni paesi africani. Negli scarni appunti sequestrati a Salvatore Riina durante il suo arresto nel 1992, compare infine il nome della società accanto alla scritta “lavori a Licata (ferrovie)”. Gli inquirenti non hanno saputo accertare le ragioni di questo interesse del boss corleonese». Ma ogni legame dovrà ancora essere chiarito dalla magistratura.
VENT’ANNI DI SILENZI.
«Adesso, dopo vent’anni di lotte -conclude Santi Terranova- staremo a vedere e daremo tempo ai magistrati di agire. Con la mia denuncia non ho l’illusione che si arrivi ad una certa e definitiva conclusione, ma il fatto stesso che “se ne parli”, che si indaghi in maniera scientifica e che venga fatto un tentativo serio da parte della magistratura di individuare il nesso di causalità, è già molto importante. Nonché un passo fondamentale per uscire dal senso pervadente di sfiducia e scetticismo di una gran parte della gente del luogo nei confronti delle autorità. Autorità non giudiziarie, che stanno facendo i passi giusti, ma politiche. Mi risuonano ancora nelle orecchie le parole dell’attuale sindaco di Lentini che mi disse, quando la mia denuncia fu resa nota in un convegno, “per cortesia non facciamo allarmismi. Potremmo danneggiare l’economia.” Ma dobbiamo preoccuparci delle arance a polpa rossa che sono state vendute a 5 centesimi, di un’economia già in ginocchio o di vite che continuano a spegnersi?
Se a livello nazionale sono partite ben tre interpellanze parlamentari, a livello locale posso solo registrare il disinteresse della politica regionale, provinciale e comunale. Non ho mai visto nessuno dei politici della zona interessarsi al caso, pur avendo avuto tutto il tempo e il modo di farlo. Mi stupisce infine che l’unico giornale che non si è affatto occupato della faccenda sia La Sicilia. Ci sono forse degli interessi affinché la notizia non venga divulgata dalla nostra maggiore testata?»«Anche la mia esperienza è molto simile –incalza Alfio De Luca-. Proposi le foto che scattai sul luogo dell’incidente aereo alla stampa locale e nazionale, ma nessuno ha voluto mai pubblicarle. La stessa cosiddetta classe politica di allora mi intimò di non pubblicare quegli scatti perché avrebbero potuto danneggiare l’economia legata all’arancia rossa lentinese. Resta il fatto che dove è caduto l’aereo, fino ad oggi, dopo vent’anni, non cresce più un filo d’erba. E non è un caso che una donna che abitava a poche centinaia di metri dal disastro si sia ammalata di leucemia». «Da quando la leucemia infantile ha cominciato a colpire Lentini –conclude Vincenzo Laezza, presidente e fondatore dell’Associazione “Manuela e Michele”, padre di una delle giovani vittime del male –io e gli altri genitori colpiti, ma anche molti abitanti del luogo sensibili al problema, abbiamo cercato di capire i motivi di questo dramma apparentemente inspiegabile.
Già nel 1987, in seguito alla morte di mia figlia Manuela, a cui è dedicata l’associazione, e di altri bambini nel giro di pochissimo tempo, ci siamo rivolti all’autorità sanitaria locale, che per anni ha negato il problema. La risposta era sempre la stessa: ci veniva ribadito che a Lentini tutto era nella norma. Le stesse autorità politiche non ci hanno mai apertamente osteggiato nelle nostre battaglie, ma nessuno ci ha mai realmente appoggiato. Ci saremmo aspettati un supporto sostanziale, ma abbiamo avuto solo degli atti quasi dovuti, senza nessuna convinzione. Adesso staremo a vedere che direzione prenderanno le indagini. La nostra Associazione, comunque, non si fermerà fino a quando qualcuno non ci dirà come sono morti i nostri figli e finché non saremo in grado di garantire un ambiente sano alle generazioni future.
Le morti dei nostri bambini devono avere un senso».
Natya Migliori