Salvo Vitale
Qualche anno fa è nato in Spagna e si è diffuso in tutto il mondo il movimento degli “indignatos”. Si trattava di gente davvero incazzata per il modo con cui il sistema capitalistico brucia e dissipa le sue risorse senza preoccuparsi minimamente dei drammi che l’umanità sta attraversando.
Noi in Italia, ci indigniamo per molto meno, per alcune banalità, per deviare verso di esse l’indignazione che dovrebbe rivolgersi a cose più serie e più drammatiche. Siamo il paese con l’indignazione facile. Tutti s’indignano o fingono d’indignarsi se a Giovanni Brusca viene concesso di festeggiare il capodanno a casa, se quelli che portano il simulacro della madonna gli fanno fare un inchino davanti alla casa del boss, se il figlio di Bernardo Provenzano intrattiene i turisti raccontando la storia del padre, se il funerale del camorrista Vittorio Casamonica viene fatto con una carrozza del settecento e un elicottero che sparge petali su Roma, se la Boschi aveva il padre e il fratello nella fallita Banca Etruria, se le banche falliscono rubando i soldi ai risparmiatori che ci avevano creduto e nessuno paga, se a Renzi o a Lupi regalano un Rolex, e, ultimo evento in ordine di tempo, se al più vecchio dei padrini, Procopio Di Maggio, detto Cartoccio, non si sa per la sua poca altezza o per la sua grande abilità nell’uso delle armi, viene festeggiato il compleanno, e sono cento, con un bel fuoco d’artificio, fatto non in piazza, ma nel locale in cui i nipoti e la figlia lo hanno portato per festeggiare.
Ci si indigna per il boss, e cent’anni non capitano tutti i giorni, e non per le 200 persone che gli hanno espresso solidarietà attraverso Facebook. Altre indignazioni sono quelle per il sindaco di Quarto che ha ricevuto i voti non richiesti di qualche camorrista, quelle nei confronti di Marino che ha continuato tranquillamente le sue ferie alle Bahamas malgrado il caso casamonica, di Crocetta che fa il “puttino” in costume da bagno nel mese di dicembre, sulla spiaggia di Tusa, di Cuffaro che offre cannoli per festeggiare la sua parziale condanna. Nessuno si indigna per le cose per cui si dovrebbe indignare: i rifiuti che ci sommergono e che non si sa come smaltire,o non si vuole farlo, i costi degli ortofrutticoli, ormai degni di quelli di un gioielliere, gli stupri dei bambini da parte di preti debosciati, la strage giornaliera di migranti in mare, gli assassini che sparano nel mucchio, uccidendo gente che non c’entra niente, alcuni poliziotti che massacrano di botte giovani che finiscono nelle loro mani.
Nessuno si indigna se, per ricevere pronto soccorso bisogna aspettare da sei a dieci ore in sala d’attesa, se per fare un versamento bisogna prendere il numerino e aspettare pazientemente un lungo turno, se per salire all’Agenzia delle entrate di Partinico bisogna fare quattro piani di scale e arrivare con la lingua di fuori, prima di fare un’altra fila, perché ci lavorano solo due impiegati. Se per poter fare una visita medica specialistica bisogna prenotarsi e aspettare due o tre mesi, a volte un anno e se pagando, e spesso senza ricevuta, si può far subito. Se 150 mila giovani ogni anno vanno a cercare lavoro fuori dall’Italia, Se Marchionne e gli Agnelli trasferiscono la sede legale della FIAT in Olanda per non pagare le tasse in Italia. Se Renzi, con l’aiuto di Verdini e di tutta la massoneria, sta uccidendo la nostra Costituzione. Se il giudice Donadio, che sta conducendo una sua indagine sulla trattativa stato-mafia viene deferito per la sospensione dal suo incarico al C.S.M. , perché non autorizzato. Se il giudice Di Matteo viene sottoposto a procedimento punitivo per avere parlato troppo in un’intervista e se viene bloccata, per futili motivi, la sua richiesta di nuovo incarico. Se al giudice Gratteri viene minacciato di morte il figlio. Se il giudice Saguto ha creato un sistema paramafioso di potere per gestire i beni che lei sequestrava ai presunti mafiosi.
Se l’antimafia è uno strumento per far soldi e carriera. E così tra un’indignazione e l’altra creiamo eroi, condanniamo criminali, ci arroghiamo il diritto di decidere noi stessi al posto di chi è delegato a farlo, diventiamo giudici, legislatori, economisti. E c’è chi sale anche un gradino più su, quello politico e si mette a sputar sentenze, a urlare scemenze, a esercitare prepotenze, senza farsi scrupolo di speculare anche sui morti e sulle vittime della violenza, pur di racimolare qualche consenso.
Ecco, ci sono alcune cose su cui varrebbe la pena indignarsi e altre di cui non sarebbe il caso neanche di parlare. E invece tutto procede al contrario.