Informazione e finction secondo Leo Gullotta

Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano (Antonio Gramsci). Un concetto che dovrebbe essere il fondamento di ciascuno,  soprattutto da parte di coloro i quali, per mestiere, realizzano fiction per la tv generalista, come la prima rete Rai, “l’ammiraglia” della televisione di stato.

E invece, assistendo a “prodotti” televisivi che hanno la presunzione di raccontarci la nostra recentissima storia, ti assale il sospetto che l’idea di fondo sia realizzare grandi ascolti e quindi grandi profitti grazie agli inserzionisti disposti a investire solo su trasmissioni di successo, è ovvio. Un “prodotto” lo si chiama infatti, rimandando subito all’idea del mondo del mercato e alle sue leggi impietose.

Assistendo alla prima parte de “Gli anni spezzati” non ho intravvisto nessuna partigianeria (nell’accezione gramsciana) nel ricostruire la cronaca italiana di ieri.  La sensazione che se ne trae è  una regia a cui ha fatto difetto il coraggio, avendo sposato una logica cerchiobottista, evitando di prendere posizioni nei confronti di entrambe le “fazioni”: i buoni (le forze di polizia) e i cattivi (gli anarchici) vengono dipinti in modo estremamente superficiale. Sia in Calabresi che in Pinelli in fondo c’era del buono, il torto non sta mai solo da una parte –  scivolando verso un “prodotto” pieno zeppo di luoghi comuni, di approssimazioni e inesattezze quando non di vere e proprie mistificazioni dei fatti!

Chiunque abbia la curiosità di spingersi oltre (e non credo sia esattamente questa la caratteristica principale dell’italiano medio) avrebbe non poche sorprese nello scoprire chi era Luigi Calabresi e i metodi da “sant’uomo” che utilizzava nel corso dei suoi interrogatori al quarto piano dell’ufficio politico della questura di Milano.

Allora a cosa abbiamo assistito ieri sera in tv? Informazione? Fiction? Di una cosa sono certa: abbiamo assistito a un “prodotto”, a roba scadente e facile da vendere, oltre che fuorviante per una buona fetta di pubblico che ignorava fatti e personaggi narrati e che la tv pubblica ci ha propinato in prima serata.

“Fare un prodotto differente non avrebbe ritorni in termini di ascolto e, di conseguenza, in termini di investimenti pubblicitari” dirà qualche pettoruto esperto del tubo catodico. Fandonie! Esattamente ventiquattro ore prima abbiamo assistito a un docufilm sulla vita di Pippo Fava che è un esempio mirabile di come si possa fare buona informazione in modo televisivamente  accattivante. Un film serio, con una ricostruzione precisa (e come poteva non esserlo, visto che la sceneggiatura porta la firma anche di Antonio Roccuzzo, uno dei “carusi” di Pippo Fava e della sua giovanissima redazione?) col doppio merito non solo di avere ricordato ai più chi era Fava, ma anche che è possibile sceneggiare la vita di un giornalista e scrittore  del suo spessore professionale e umano senza tradire il suo pensiero, la  persona, l’etica e gli insegnamenti ancora dannatamente attuali. Un passaggio di testimone ideale fra la generazione dei  redattori de I Siciliani e i giovani della generazione degli anni 2000.

In una recente intervista rilasciatami da Leo Gullotta (che è stato anche uno dei protagonisti de I Ragazzi di Pippo Fava)  a proposito di media, informazione e mondo dello spettacolo ha dichiarato: “c’è un uso distorto della televisione che Pasolini individuò per primo, ma c’è anche una tv costruttiva e positiva. Non dimentichiamo che la tv di stato contribuì ad alfabetizzare gli italiani e a fare conoscere i grandi romanzi sceneggiati – quelli che ora chiamiamo fiction- la letteratura italiana e il teatro.  Pasolini si fermò al concetto di tv come elettrodomestico, quale in effetti è. Il telespettatore è diventato fruitore passivo di un elettrodomestico al pari di una lavatrice o un frigorifero.

La tv di stato ha inseguito la televisione commerciale finendo per appiattirsi sulle stesse logiche di mercato. E’ per questo che, a un certo punto,  si è allontanato dalla tv?

Io non mi sono allontanato, io faccio l’attore e per mestiere e disciplina interpreto ruoli anche molto lontani da me. Ho fatto tutti i generi dello spettacolo. Oggi come oggi la televisione è pesante e anche brutta. Nell’ultimo ventennio si è trasformata in un orripilante luna park, basata soltanto sulla spettacolarizzazione, sull’insulto, sull’uso della parola come accusa e offesa all’interlocutore. Al telespettatore arriva soltanto la volgarità. Io credo che questa sia stata una precisa operazione, studiata a tavolino, in cui è stata progressivamente abbassata l’asticella del gusto, dando un prodotto univoco,  riducendo una larga parte dei cittadini a esseri passivi, esattamente come il potere desiderava.  Questa è la parte più oscena della trasformazione che la politica ha perseguito.

Chi è l’artista oggi?

È uno su un milione, quello che sta più in alto. L’artista è uno “scatto diversificato”, è un “professionista dell’anima” ed è difficile tradurre questo, non tutti hanno questa capacità di rendere la realtà così efficacemente. L’artista è in grado di portare in un altro mondo il pubblico o di fargli scoprire una sensibilità magari addormentata.

Ma tornando alla sua domanda e al senso dell’intervista, le rispondo che non bisogna perdere la curiosità di indagare, di informarsi abbattendo le barriere. Oggi chi ha l’anima disturba, perchè chi pensa disturba.

Secondo lei come ce la caviamo nel custodire la libertà che ci fu consegnata insieme alla Costituzione?

La memoria è stata volutamente messa da parte. Alcune cose dovrebbero entrare come materie di studio scolastico: pensi a film come Diaz, Vajont di Renzo Martinelli o la strage della Banca dell’Agricoltura grazie al film di Marco Tullio Giordana. O sulla riflessione grottesca di Viva la Libertà di Andò; Via Castellana Bandiera di Emma Dante, emblema della incomunicabilità sociale odierna. Sono tutte cose che fanno paura poiché sono spunti di riflessione e quindi di critica ed è per questo che spesso il cinema è stato invaso da commedioline. Non che la commedia non abbia una sua dignità, attenzione, perchè serve tutto: la commedia, il dramma. Ma la “commediolina” non dà da pensare, distrae. Pensi ad esempio  che per anni, nelle scuole, non si è parlato delle foibe. E questo dovrebbero raccontarcelo gli storici, non i partiti politici di parte come la destra. Oggi ci sono giovani che non sanno, semplicemente. E se un giovane non è stimolato in casa e a scuola resta ignorante in molte cose. Il berlusconismo ha generato un abbattimento culturale totale. Hanno ucciso i giovani, le università, li hanno schiaffeggiati. Molti di questi, per fortuna, hanno capito e sono scesi in piazza per difendere il loro futuro. Mi riferisco a movimenti come Addiopizzo o a Libera di Don Ciotti, che contribuiscono non poco a far sapere e a risvegliare le coscienze.