Il Jesuit Social Network Italia critica l’aumento deciso dal governo della soglia di invalidità per ottenere la pensione. Fra le patologie escluse anche quelle tipiche delle persone con dipendenze e dei senza dimora
“Effetti gravi e disciminanti sulle categorie sociali più fragili”. A questo, secondo il Jesuit Social Network Italia – una federazione di 32 associazioni di laici e gesuiti impegnate nel sociale – porterà l’innalzamento della soglia per ottenere la pensione d’invalidità decisa dal governo nella manovra economica entrata in vigore nei giorni scorsi. Dal 1 giugno scorso possono ottenere l’assegno di poco più di 250 euro mensili per tredici mensilità solamente coloro ai quali viene riconosciuta una percentuale di invalidità pari o superiore all’85%: la precedente soglia era fissata al 74%. La federazione parla di “gravi effetti negativi sulle persone più fragili ed emarginate”, che saranno allontanate “sempre più dalla possibilità di avviare e sostenere percorsi di recupero e di reintegrazione”.
In particolare, l’associazione San Marcellino di Genova che opera con i senza dimora e la Comunità Emmanuel che lavora con persone affette da dipendenza affermano che “le persone che vivono in situazioni di marginalità gravi sono vittime di una serie di patologie fisiche e psichiche che aggravano le già precarie condizioni sociali: l’innalzamento indiscriminato della soglia di invalidità, così come prevista, di fatto esclude, secondo le attuali tabelle stabilite con Decreto del Ministero della Sanità nel lontano 1992 che fissano le percentuali di invalidità a seconda delle diverse malattie invalidanti, tutta una serie di patologie che tipicamente appartengono alle persone che vivono in strada o che sono o sono state dipendenti da sostanze”. “Escludere queste persone da un sostegno economico, pur se minimo – continuano – significa di fatto impedire loro di sopravvivere e proseguire o avviare i tanti percorsi avviati di riabilitazione e di ritorno a forme di autosufficienza: a fronte di un risparmio di cassa si cancellano anni di lavoro e le condizioni minime per consentire a queste persone un ritorno ad una vita propria, rigettandole indietro”.
“Crediamo – affermano – che non possano essere negati il diritto ad una vita degna e ad una possibilità di riscatto e reintegrazione, e che ad un astratto principio di solidarietà da più parti invocato non debbano seguire, di fatto, azioni di esclusione e emarginazione sempre più gravi e invalidanti”. Da qui l’auspicio che “le forze sociali e politiche del paese si possano attivare perché i sacrifici imposti dall’attuale situazione economica non ricadano su coloro che non hanno voce e pagano il prezzo di una vulnerabilità cronica”.