Le prossime elezioni politiche sono alle porte e i partiti politici, avendo perso credibilità su tutti i fronti, provano a giocarsi l’ultima carta proponendo in vetrina uno tra i tanti personaggi coccolati dall’opinione pubblica. Tutti i programmi si sono rivelati vani, incluso quello redatto, organizzato e sviluppato da un manipolo di professori universitari – definiti tecnici – prestati alla politica.
Si è perso di vista che ciascuno ha un suo ruolo ben preciso e una sua professione, dati non solo dalla passione, ma anche dalla competenza, dall’esperienza e financo dalla formazione. Così, il balletto delle facce più o meno papabili è iniziato. La storia politica di sinistra del nostro paese ha voluto che Antonio Ingroia, magistrato palermitano, conteso dai professionisti dell’antimafia, scendesse in campo o salisse in politica (bisognerebbe spiegare a Monti che si tratta della medesima cosa).
La sinistra ha una nuova faccia, oggi: prima di stare con un programma, si sta con una persona. Questo stanno insegnando i recenti fatti. Prima ancora che Ingroia avesse o proponesse un programma, vi era già un comitato “Io sto con Ingroia”. E i membri di questo comitato stavano con lui a prescindere da cosa, come e quando aveva detto cosa, come e perché.
Io, invece, non sto con Ingroia.
Innanzitutto perché un magistrato dovrebbe (il condizionale mai stato così d’obbligo) servire lo Stato (tendenza che è finita con Falcone e Borsellino, al di là delle chiacchiere) e non i partiti politici. Secondariamente perché non posso stare dalla parte di un magistrato che si spoglia dei suoi doveri professionali per indossare quelli delle carnevalate politiche. E poi per tutta un’altra serie di motivi, tra cui il semplice fatto che Ingroia come politico non è credibile. Certamente come persona lo sarà, ma come politico no.
Non è credibile perché conosce il programma stilato da altri solo perché lo legge (un po’ come faceva la Marano e i risultati si sono visti). Secondariamente non è credibile perché la politica prima di essere fatta per andare contro qualcuno (Berlusconi, Bersani e vattelapesca) dovrebbe essere fatta per andare a favore di qualcuno (cosa che passa sistematicamente in secondo piano).
E poi la legalità non è una bandiera, anche se tutti se la metto al fianco o sulle spalle. Non appartiene neanche a chi si dice incensurato o a chi si definisce “persona onesta e integerrima”. Non appartiene neanche a chi ha “precedenti” o “attuali” penali. Non appartiene a nessuno perché è rimasta schiacciata dal tritolo ai tempi di Falcone e Borsellino, dalla tratta Stato-mafia, dalle persone che tutti i giorni incontriamo. E non lo dico perché fa tendenza tra la gente dire queste cose, perché tanto la demagogia non paga più. L’unica tendenza che nutriamo, grazie ad ex magistrati come Ingroia, è la capacità di puntare il dito contro qualcuno, facendoci bastare apparenti motivazioni. Così, almeno, siamo tutti con Ingroia.
Ingroia non è diverso da quelli che sfilano per commemorare i morti e gli ideali. Solo che la politica non andrebbe commemorata, andrebbe discussa con quell’audacia e quella passione che Ingroia non possiede, perché quando ne parla ha gli occhi visibilmente spenti e la voce impastata di noia e sonno.
La querelle tra Grasso e Ingroia (che sono della stessa “specie”, si badi bene) ha ingolfato i social network, i mass media in generale e le nostre conversazioni politiche. Il tema “le toghe in politica” c’è e ci sarà sempre. Il problema non nasce con Di Pietro, altrimenti dovremmo archiviare e dimenticare i nomi e i cognomi di chi è passato alla politica prima di lui per poi ritornarci o di chi addirittura contestualmente fa il doppio lavoro (o i giudici amministrativi non hanno valore?). Così si passa dalla toga alla poltrona politica, dalla poltrona politica alla toga, in quello strano miscuglio che non fa bene al paese (né a quello onesto né a quello farabutto). Una strana apoteosi non solo dei conflitti di interesse (ché mica li aveva solo Berlusconi), ma anche di esaltazioni personali d’immagine e di idee. Sì, certo, sono le idee a fare la rivoluzione e la rivoluzione è fatta di persone, ma esaltare le une o le altre ci porterà nel costruire l’Arcore della sinistra. E così succederà.
Non dico che i compagni di sinistra devono bloccare questo cammino, ma almeno porsi la questione, almeno soffermarsi a riflettere e non lasciarsi bloccare da quella intransigenza e intolleranza che fino a qualche anno fa apparteneva ad un’altra schiera politica.
La cosa che non comprendo è l’immagine che si è voluta costruire su un magistrato che si è limitato a fare il suo dovere, quando non aveva voglia di fare polemiche. Ingroia è il magistrato per eccellenza, guai a chi lo tocca, come toccare un eroe, un’immagine salvifica, una rappresentazione del santuario dell’onestà… Perché offendere le istituzioni non conta più, anche se è illegale. Ma ciò che è illegale e ciò che non lo semrabo “cose” relative sia per i puritani della politica e della morale sia per quelli più elastici. In fondo, non importa ciò che si dice o ciò che si fa, perché sostanzialmente la valutazione su ciò è legata all’idea che abbiamo della persona che lo dice o che lo fa. Né più, né meno.
Chi si occupa di magistratura come lotta alle mafie non può occuparsi di politica, perché oggi c’è un connubio talmente tanto stretto tra Stato-politica e mafia, che chi si occupa di mafia per combatterla dovrebbe prima sancire definitivamente la fine di questo rapporto attraverso gli strumenti di propria competenza e solo dopo accedere alla politica. È elementare, anche per chi ha un’intelligenza medio-bassa come me.
Chi scrive non intende fare la morale a nessuno, si badi bene, le motivazioni sono ovvie. Ma non si può accettare di essere considerati onesti o disonesti in base a principi così labili, che sono stabiliti da uno schieramento di campo (che è diverso dallo schieramento di fondo). Se qualcuno si dimette dal lavoro che ha assunto e che lo avrebbe dovuto portare a scavare fino in fondo nel rapporto tra Stato e mafia, vuol dire che entrando in politica non può essere credibile.
Ingroia, dentro una sinistra agonizzante di parole grazie ai Vendola e ai Bersani, morirà – politicamente parlando – come Marano. Entrambi hanno un ruolo nella società fondamentale (chi per la lotta alla mafia, chi per le lotte sindacali), ma la politica è un’altra cosa. Basterebbe spiegarlo meglio.
Ancora una volta la sinistra perde una chance, giocandosela proprio sulla credibilità.
Peccato.
Carmen Fasolo
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