Irlanda del Nord, fine degli aborti illegali

“Non permettere un aborto legale è un crimine che lede i diritti umani”

Si dice spesso che la politica italiana soffra molto l’ingerenza della Chiesa Cattolica, che impedisce al nostro paese di fare passi avanti su temi civili quali le unioni di fatto o i matrimoni omosessuali.

Tuttavia, anche nella “avanzante” Europa del Nord ci sono paesi dove la legislazione si rivela ben più arretrata della nostra su temi tutt’altro che irrilevanti. Un esempio è la legge sull’aborto vigente in Irlanda del Nord, risalente al diciannovesimo secolo e mai aggiornata, nonostante il resto del Regno Unito l’abbia modificata nel 1967, adeguandola a norme molto più progressive.

La legge irlandese, per com’è adesso, prevede che le donne possano abortire legalmente soltanto nel caso in cui la loro vita fosse messa in pericolo dalla gravidanza. Non sono previste eccezioni né per feti gravemente malformati, né in caso di gravidanze dovute a stupri. Le pene, per i medici che praticassero un aborto illegale, sono severissime, e arrivano anche al carcere a vita.

L’insensatezza della legge è stata aggirata dalle donne nordirlandesi recandosi nelle cliniche inglesi o scozzesi per praticare un aborto legale. Ovviamente, in quanto cittadine del medesimo Regno Unito, non vi è alcuna complicazione burocratica nel fare ciò, quasi a sottolineare ulteriormente l’insensatezza della legge.

Eppure, quest’assurda norma vecchia di duecento anni costringe le donne a dover affrontare i costi e lo fatica di un viaggio, oltre alla preoccupazione di doversi allontanare dalla propria città e dai propri familiari.

Si verifica quindi una discriminazione tra le cittadine appartenenti al medesimo Regno.  Per fare un paragone, è un po’ come se le donne siciliane dovessero recarsi a Roma o a Milano per esercitare il loro diritto all’aborto.

Fortunatamente, la situazione è ormai destinata a cambiare. Sarah Ewart, una giovane donna nordirlandese, nel 2013 fu costretta a viaggiare sino in Inghilterra per abortire dopo che, alla ventesima settimana di gravidanza, era stata diagnosticata al suo feto l’anencefalia, gravissima malformazione congenita per la quale il bambino non sviluppa l’organo più importante, il cervello.

Ovviamente, non vi è alcuna speranza di vita per questi sfortunati feti, che possono vivere solo per pochi minuti (o poche ore) dopo la nascita, e sono incapaci di provare qualsiasi sensazione.

Nonostante la malformazione mortale, i medici irlandesi negarono a Sarah il diritto di abortire perché la gravidanza non la metteva in pericolo immediato di vita. Un nonsenso che ha obbligato Sarah a spostarsi in Inghilterra, per poter effettuare l’operazione.

Ma Sarah decise di non lasciar cadere la cosa dopo essere tornata a casa, volendo porre fine a questa insensata arretratezza che costringe le irlandesi a doversi spostare per var valere i loro diritti. E così, ha deciso di contestare in tribunale l’anacronistica legge, affinché le irlandesi che verranno dopo di lei possano godere di quel diritto che le è stato negato.

Dopo due anni, più precisamente il 30 novembre, l’Alta Corte di Belfast ha emanato il suo verdetto, dando piena ragione alla donna. Permettere un aborto legale solo alle condizioni previste dalla loro stessa legge è un crimine che lede i diritti umani. L’attuale governo nordirlandese, quindi, sarà obbligato a rivedere il codice penale al più presto possibile.

La notizia ha avuto una grande risonanza in tutta Europa, con Amnesty International che, tramite la sua esponente nordirlandese Grainne Teggart, ha espresso tutta la sua soddisfazione per la storica sentenza, affermando anche che è deplorevole quando la conquista di un diritto arriva per via giudiziarie piuttosto che politiche, criticando di fatto l’inazione del governo del paese sulla materia.

Come spesso accade, i grandi cambiamenti passano sempre dalle singole persone che non abbassano la testa di fronte alle ingiustizie, e decidono di lottare non tanto per i diritti del singolo, quanto per quelli di tutti. E noi pensiamo che non sia un caso che, molto spesso, questi piccoli atti di rivoluzione vengano dalle donne.