di Francesco Polizzotti
La popolazione musulmana in Italia è considerata una realtà consolidata, ancor più se inserita in un contesto di integrazione positiva. Parlare di “musulmani d’Italia” e cioè di figli di immigrati di prima generazione, nati e cresciuti nel nostro paese, significa parlare anche di quale futuro aspetterà ai più giovani in un contesto di multiculturalismo.
Prima confessione religiosa tra gli immigrati, seconda nel paese per numero di aderenti, anche l’Islam ha subito dei cambiamenti. Tra i giovani è chiara la richiesta di adeguarsi ai livelli culturali occidentali a partire dalla voglia di confronto con i coetanei italiani pur scontrandosi con i pregiudizi genitoriali o le strumentalizzazioni dei costumi da parte dei partiti di governo.
Tuttavia, la percezione dominante, soprattutto in determinate aree del nord, è di un atteggiamento prevalentemente negativo per una presenza che comunque è intesa irreversibile e per questo, elemento di intolleranza.
Nonostante i progressi nel dialogo interreligioso ma anche l’apertura alle norme sociali del nostro Paese (riconoscimento di dignità alle donne o libertà di istruzione nelle scuole pubbliche), la società musulmana rimane tipicamente maschilista a norma della IV Sura del Corano che recita testualmente: “Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre”. Soltanto gli uomini sembrano godere la piena capacità giuridica. Alle donne il Corano riconosce diritti limitati, anche se a partire dagli anni Venti, conseguentemente all’impegno profuso dal movimento femminista sorto in Egitto, la posizione sociale della donna musulmana è molto migliorata. Ostacoli dunque che mettono in fermento le cedole più integraliste, ancora influenti nelle prime generazioni e schierate contro l’animo aperturista delle nuove generazioni, proiettate ad integrarsi nel Paese in cui si è scelti di vivere perché socializzati, alfabetizzati e secolarizzati in Italia e per i quali questa è la propria nazione.
I Musulmani sono circa 4,5 milioni di stranieri, 7,5% della popolazione totale, di origini diverse. Proprio la diversificazione di provenienze impedisce l’identificazione con una sola nazione e questo depone a favore del collante rappresentato dalla nostra nazione, vista come l’unica terra nell’identità nuova abbracciata dai musulmani, diversamente da Francia e Germania in cui nel primo caso c’è una netta prevalenza di algerini e nel caso tedesco di un predominio turco.
La costruzione quindi di uno spazio comune, diventa motivo di speranza per quanti credono nell’integrazione come leva per mitigare ogni espressione settaria, linguistica o culturale.
La carenza di figure religiose unitarie, però, tende a caratterizzare le comunità locali come piccole isole nel mare del islam. Mentre, in generale, i gruppi religiosi principali fanno riferimento a figure aggreganti il vissuto religioso (ad es. il Papa per i cattolici), i musulmani vivono al loro interno una poliedrica frantumazione che facilita più una nazionalità rispetto ad un’altra, rendendo poco rilevante la rappresentatività degli stessi nei tavoli governativi.
Diverse, invece, le associazioni di musulmani. La più tradizionale è l’ “Unione delle Comunità Islamiche Italiane” (UCOII) vicina ai Fratelli musulmani, il “Centro culturale Islamico Italiano” (CCII) voluto dagli ex ambasciatori sunniti in Italia, la Co.Re.Is, la Comunità religiosa islamica composta principalmente da italiani convertiti, l’Assemblea musulmana d’Italia (AMI) filo occidentale e aperta al dialogo interreligioso, l’“Associazione delle donne marocchine” rappresentata anche in Parlamento dalla propria presidente l’on Souad Sbai (PdL), cittadina italiana dal 1981. A queste realtà si aggiungono personalità di spicco del mondo laico musulmano come l’ex console italiano Mario Scialoja della Lega Musulmana Mondiale di influenza saudita. Solo nel 2005 però è costituita la Consulta islamica presso il Ministero degli Interni.
Messina, ponte per gli stranieri. La comunità islamica di Messina non è molto conosciuta. Rispetto ai filippini e agli asiatici, i musulmani messinesi non si distinguono per la miglior organizzazione, pur vivendo bene il sentimento religioso. “Certo, disporre di una moschea più grande non sarebbe male”, hanno sempre sostenuto le guide religiose. Nelle funzioni, quando sono presenti i messinesi convertiti, una decina in tutto, si tengono in italiano. L’associazione ha sede sul Torrente Trapani ed è composta per lo più da marocchini e senegalesi, anche se è molto presente la componente bengalese che fa gruppo a sé.
Nella Città dello Stretto mancano però le strutture adeguate perché i migranti musulmani possano considerarsi veramente cittadini alla pari degli altri. Nessuna intolleranza religiosa attorno ai musulmani, danno a Messina buona possibilità di integrazione anche grazie al dialogo con le associazioni dei migranti.
Le amministrazioni che si sono succedute alla guida della città non sono riuscite ad andare oltre le buone intenzioni e le manifestazioni di sensibilità. In questi anni, però il copioso impegno di realtà come l’Anolf Cisl e la Caritas diocesana hanno posto in essere il problema di un luogo tutelato per le altre fedi, anche a Messina. Dino Calderone, copresidente di Anolf Cisl, ha spiegato in più occasioni che “queste comunità religiose non chiedono niente gratuitamente. Chiedono solo che l’amministrazione li aiuti a trovare un luogo adeguato alle loro esigenze che sono anche di aggregazione. E’ così che si facilita l’integrazione e si crea una convivenza armoniosa. Il rispetto delle differenze impone che non sia ad un unico luogo per tutti, polifunzionale”
Il 27 ottobre prossimo si celebra la Giornata per il dialogo islamo-cristiano. Ma ci siamo chiesti mai qual è lo stato di salute reale dell’islam in Italia e nelle nostre Città?
Oggi il Governo ha scelto la strada di nominare un “Comitato per l’Islam”, composto da qualche musulmano «di fiducia», lontano comunque da ogni tentativo di rappresentatività reale, e da esperti accademici di islam, coadiuvati da altri non musulmani di più dubbia competenza, quasi a voler commissariare il vissuto di questa parte della società.
L’eredità di Oriana Fallaci è ancora intatta e il politicamente corretto del Governo mostra solo forme di chiusura. Nonostante ciò che è accaduto ad Oslo.