Italia 2.0 e la fiera dell’usato garantito

Dopo il sobbalzo delle recenti amministrative, la politica italiana si scopre vulnerabile e sotto la macina di qualsiasi forma di novità. L’affermazione del M5S di Grillo e della galassia delle liste civiche hanno dimostrato come l’attuale offerta politica agli italiani non piace affatto.

Rappresentanza è il termine più in voga al momento. Con una soglia irrisoria di fiducia nei partiti (attestata tra il 4 e il 7%), il ruolo delle forze politiche sembra ridotto al lumicino ma come ci ricorda Marco Travaglio sulle colonne de Il Fatto quotidiano, non mancherà molto che anche la parola “tecnico”, da rassicurante e positiva, diventerà addirittura un insulto per gli italiani. Non c’è più programma che tenga unito l’elettorato di riferimento. Il dato è comunque allarmante per chi crede nei valori della democrazia. I tradizionali schieramenti sono in difficoltà e la crisi delle leadership fa il resto. Nel corso di questi anni sono cresciute esponenzialmente le sigle di formazioni e movimenti in Parlamento con il solo obiettivo di puntellare questa o quella compagine da sostenere, con il risultato che la gente non vede più la politica come forma di servizio alla comunità ma come l’estensione di bagaglini, nani e ballerine.

 

A destra si perdono pezzi che avevano creduto nella deregulation berlusconiana. Al centro Casini non riesce ad ottenere l’appoggio convinto della Gerarchia e del Vaticano che proprio in questo momento diffida da soluzioni terzo poliste che vedano la presenza non proprio gradita dei finiani.

Nel centrosinistra, vincente alle scorse amministrative, l’incognita astensione fa mancare alla coalizione i numeri per presentarsi come alternativa ad un modello di governo portato avanti negli anni dai conservatori del Pdl prima, per intenderci, dell’avvento del Governo Monti. Il movimento berlusconiano d’altro canto non esprime più i sentimenti della cosiddetta maggioranza silenziosa che nel tempo ha fatto le fortune del centrodestra italiano. Proprio in via dell’Umiltà si conclamano i maggiori tentennamenti: i peones rifiutano qualsiasi forma di cambiamento portato avanti dalle fronde interne che fanno riferimento a uomini di spicco della prima ora ma che ora provano a rilanciare una Costituente con le altre formazioni presenti in Parlamento e non ultime le contestazioni dei “formattatori” – versione pidiellina dei “rottamattori” del sindaco di Firenze, Matteo Renzi – anch’essi guidati da un giovane sindaco, Alessandro Cattaneo di Pavia che chiedono le dimissioni in massa dei dirigenti e la candidatura attraverso primarie come a sinistra.

 

Uscendo dallo steccato dei principali partiti, rimangono in bilico anche le altre formazioni che in avrebbero dovuto catalizzare meglio il dissenso. Sinistra ecologia e libertà di Nichi Vendola ottiene un buon risultato ma non si ritaglia il ruolo di ago della bilancia nella coalizione. Discorso paradossale per l’Idv di Antonio Di Pietro che, nonostante la vittoria schiacciante del proprio candidato nel capoluogo siciliano, ha raccolto percentuali consone a quelle di quando il partito era una delle tante sigle “cespuglio” del centrosinistra. Archiviato il Terzo Polo, almeno nelle forme stabilite da Casini, Rutelli e Fini, l’Udc è pronto ad avanzare un nuovo cartello ma stavolta senza nostalgie o preclusioni, perché i moderati di oggi sono anche gli elettori di Grillo, perché altrimenti non si spiegherebbe il tracollo del centrodestra e della Lega.

 

Sul tavolo delle segreterie di partito, al punto primo si legge quasi dappertutto “listone civico da affiancare al simbolo tradizionale”. Tramontate le leadership eterne o quasi, avanzano su più fronti le nuove leve che, senza troppi giri di parole, vedono protagonisti in queste ore proprio chi viene dal mondo dei media e della cultura nostrana. Simboli di questo nuovo moto interiore dei partiti sono,  ad esempio, Gerry Scotti, noto conduttore delle reti Mediaset ed ex parlamentare a cavallo tra gli anni ottanta e novanta del Garofano di Craxi chiamato a rilanciare il listone che starebbe pensando l’ex premier Berlusconi, mossa che ha l’intento di scaricare ai “colonnelli” del partito il destino della sua pur tanto travagliata creatura, il Popolo della Libertà appunto. Sul fronte dei democratici, dopo l’idea di candidare Roberto Saviano a guida di una lista nazionale dei sindaci (un po’ciò che già fu l’esperienza dei sindaci per l’Ulivo), avanza il partito di Repubblica che quasi a celebrare un congresso, ha organizzato a Bologna per metà giugno “Repubblica delle idee”(14-17 giugno), una kermesse davvero allettante per il parterre, dove campeggia tra gli ospiti d’onore il Premier Mario Monti e il numeroso mondo della cultura e degli opinionisti di area. Lo slogan dell’evento rappresenta già un programma nell’agenda del Gruppo De Benedetti, proprietario de L’Espresso e del giornale La Repubblica e sostenitore del Pd e di Romano Prodi nelle varie competizioni elettorali. Scalfari nel suo editoriale smentisce di aver lanciato un’opa ostile ai Democratici ma non di meno è nitida la sferzata che il gruppone editoriale vuole dare al maggior referente politico che ha in Parlamento. Ma ad arginare questa pretesa ci sono i turchi del Pd a rifiutare la mutazione del Pd in una bad company. Ma riusciranno in via del Nazareno a non dare peso a personalità come lo stesso Scalfari, il direttore di Repubblica Ezio Maurio, l’ex direttore dell’Unità, Concita De Gregorio (data per capolista nel listone affibbiato) e dell’uomo simbolo della lotta alla camorra?

 

Dalla borghesia e dal mondo dei professionisti prende quota invece il movimento di Luca Cordero di Montezemolo, Italia Futura che da associazione sta cercando sedi in tutte le regioni e i cui data base vengono ad aggiornarsi ogni giorni di nuove adesioni, comprese quelle di parlamentari in cerca di nuova allocazione. IF però ha già chiarito le proprie prospettive: nessun accordo o alleanza con chi ha governato finora. Un no, detto in soldoni, ai vari transfughi in cerca d’autore.

 

Liste civiche e voglia di essere liberi dalle etichette non più blasonate, sembra il filo conduttore del nuovo che avanza. Aggirato il vizietto delle liste bloccate, che costringevano a fare la fila davanti ai segretari di partito per un posto sicuro in lista, adesso proprio i partiti storici temono il sorpasso o addirittura l’irrilevanza, visti i sondaggi di queste settimane.

Il nuovo Parlamento, se le intenzioni di voto resteranno queste, vedrebbe primo partito il Partito Democratico sopra il 25%, seguito dai “Grillini” al 18% e da un Pdl staccato di qualche punto. Entrerebbero in parlamento anche Udc, Sel e Idv. Il Porcellum però genera incertezza, soprattutto per il vincolo di coalizione e lo sbarramento 4% alla Camera e 8% al Senato qualora fuori dai giochi delle alleanze.

 

Agli elettori però va comunque dato il potere decisionale di una nuova maggioranza politica in Parlamento in vista delle prossime elezioni. Usato garantito come propone Pierluigi Bersani o fuori tutto come predicato dal Savonarola 5 stelle?