Italia dei Valori ad un bivio

– Pubblicità-

Alle elezioni politiche del 2008, il partito dell’ex Pm Antonio Di Pietro aveva raccolto un lusinghiero 4,1% che grazie alla coalizione con il Partito Democratico dell’allora segretario Walter Veltroni riusciva così ad ottenere una buona pattuglia di parlamentari alla Camera e al Senato.

Nel corso degli anni di opposizione al Governo di centrodestra e recuperando scontenti di tutto il centrosinistra, alle Europee dell’anno successivo Idv si piazzava quarto partito in Italia dopo Pdl, Pd e Lega Nord, superando anche il partito di Pierferdinando Casini e raccogliendo il consenso di una fetta qualificata di elettori in larga parte con un titolo di studio medio-alto, a significare del proprio ruolo di eco delle istanze di una porzione particolare del mondo accademico e della società civile.

 

Nel mezzo un congresso costruito attorno al proprio leader indiscusso, scalfito solo da un altro pm in aspettative, Luigi De Magistris che in quella sede provava a misurare il proprio peso dopo lo straordinario successo personale nelle liste del partito e l’elezione al Parlamento europeo, trascinato anche dal sostegno di un Beppe Grillo ancora distante dall’agone politico e raggiungendo l’incredibile cifra di 415.646 voti che lo collocava al secondo posto come numero di preferenze assolute superato solo dall’allora premier Silvio Berlusconi e doppiando lo stesso Antonio Di Pietro in moltissime città.

 

L’antagonismo tra Di Pietro e De Magistris verrà attenuato dal successo che quest’ultimo ottieneva alle Comunali di Napoli con l’elezione a primo cittadino a Palazzo San Giacomo. Ma sulla gestione del partito si è sempre discusso, sulle regole di democrazia interna e sulle posizioni estreme che negli anni hanno messo in forte imbarazzo gli alleati tradizionali del Partito Democratico. Un caso su tutto è stato quello circa l’uso dei fondi del partito per immobili intestati all’omonima associazione “Italia dei valori” ma contigui agli usi del segretario nazionale.

 

Sul piano politico, Idv è stata sempre un movimento trasversale alle stagioni politiche del nostro Paese, trovando nelle posizioni del leader lo spiraglio per raccogliere consenso o generare discussioni nell’emiciclo o nelle piazze ma non avendo mai chiarito l’orientamento dominante tipico di ogni formazione politica lungo l’asse progressisti-conservatori. Idv in Italia è un partito dichiaratamente di sinistra con alcuni tratti liberali, in Europa è parte del gruppo dell’ALDE (liberaldemocratici europei) ma in talune realtà territoriali ha connotati di sinistra radicale o alternativa agli stessi alleati tradizionali (i casi di Palermo e Napoli sono stati emblematici).

In questi anni però, nonostante l’innesto di personalità importanti della società civile ( Alfano, Arlacchi e De Magistris al Parlamento europeo, così come parlamentari competenti e lontani da forme di consociativismo assai impegnati) e migliaia di nuovi amministratori locali, Italia dei valori ha via via mutato il proprio ruolo di cerniera tra le diverse anime del centrosinistra e simbolicamente testimoniato dalla foto di Vasto tra Bersani, Di Pietro e Vendola.

 

In coincidenza con l’avvento dell’esecutivo dei tecnici, il partito dipietrista ha intrapreso la china dei distinguo “senza se e senza ma” che sta generando in queste ore una serie di prese di posizioni anche tra i più vicini sostenitori di Antonio Di Pietro, una riflessione sul prosieguo o meno dell’esperienza politica insieme, nonostante non siano mancati tentativi di mitigare la verve dell’ex pm soprattutto nei confronti del Colle e dell’alleato “democratico”.

In queste ore brulicano così le affermazioni di parlamentari scontenti dell’ennesimo attacco di Antonio Di Pietro al segretario del PD. Un gruzzolo di deputati che guidati dal capogruppo alla Camera, Massimo Donadi, si sta ampliando a macchia d’olio all’interno dei gruppi parlamentari di Camera e Senato non riconoscendo più la linea del partito. Oggi su l’Unità, Massimo Donadi delinea il suo dissenso e Elio Lannuti sintetizza, con una lettera indirizzata al segretario Antonio Di Pietro, il malessere del gruppo. Lannuti, senatore Idv indipendente ma eletto nelle liste del partito dopo un trascorso nei Verdi ma meglio conosciuto come difensore dei consumatori, ha annunciato che non si ricandiderà. Colpa dell’incompatibilità con il leader del partito, accusato di attaccare costantemente le istituzioni.

 

“Non condivido i suoi attacchi al Partito democratico, alle istituzioni, e primo tra tutti al presidente Napolitano”, ha dichiarato Lannutti, dando voce a quella fronda interna al partito che vive negativamente la rottura tra Pd e Idv. “Abbiamo fatto fuoco e fiamme per far venire Bersani a Vasto – dice il senatore – e poi non passa giorno che Di Pietro non gli spari addosso. Così non si può andare avanti”.

 

“Siamo in una fase ampiamente dominata dai tatticismi, una fase in cui domina il momento politico più che lo scenario futuro. L’Idv però resta convinto e fiducioso che nel momento in cui si decideranno le regole elettorali si comincerà a ragionare anche di prospettive” si legge nell’intervista rilasciata da Donadi. “Io l’Idv l’ho fondato insieme a Di Pietro come posso non sentirmi a mio agio nella mia casa. Certo ci sono momenti di maggiore o minore convergenza – continua il capogruppo a Montecitorio – ma questo non mi fa sentire a disagio, allo stesso tempo però tengo ferme le mie convinzioni e i miei punti di vista per farli diventare l’opinione della maggioranza”. Aniello Formisano e Pancho pardi non risparmiano l’amarezza per una situazione che merita forse qualche chiarimento (si parla di un Congresso apposito).

 

Ma Antonio Di Pietro non crede nella dialettica interna e già si proietta verso una nuova esperienza che dovrebbe vederlo insieme a Beppe Grillo e a quei sindaci “non allineati” ai contenitori di partito. Il salvagente sarebbe un nuovo soggetto politico, una “Movimento dei Valori o dei cittadini” con il quale fare un’alleanza con Beppe Grillo e dire addio (almeno per le prossime scadenze politiche) al Pd. L’annuncio, secondo indiscrezioni, verrà fatto durante il tradizionale appuntamento del partito a Vasto anche se lo maggiore del partito non ci sta.

In una fase del Paese in cui la frammentazione delle offerte politiche sembra ricalcare l’incertezza degli elettori con un proliferare di movimenti civici o ideologici altri rispetto alle attuali formazioni presenti in Parlamento, anche un movimento di opinione come Italia dei valori si infrange sul “nuovismo” del momento e sulla tentazione di farsi cassa di risonanza di quella fetta scontenta di elettori che potrebbero votarlo pur di manifestare il proprio scontento nei confronti dei grandi partiti e determinare un’inversione di flussi elettorali un tempo appartenenti alla cosiddetta maggioranza silenziosa degli italiani (in larga parte elettori berlusconiani).

 

Sono ancora vivide le immagini delle primarie di Palermo, vinte da un candidato ma misconosciuto dai dipietristi guidati da Leoluca Orlando. In quell’occasione Di Pietro giocò la carta migliore. “Orlando – si leggeva con efficacia di comunicazione – il sindaco lo sa fare”. Le amministrative di Palermo hanno consegnato al partito un risultato storico che va oltre ogni risultato raggiunto in tutta Italia.

L’esperienza di Orlando però ha iniziato a perde quota nei piani di Di Pietro da quando lo stesso portavoce di Idv ha inaugurato la politica dei “sindaci protagonisti”, riunendo a Palermo i primi cittadini di Cagliari, Napoli e Bari, nucleo di ciò che potrebbe essere il listone nazionale guidato addirittura dallo scrittore Roberto Saviano già protagonista nel primo scorcio di questa estate del tormento di “Repubblica”, quale persona capace di riportare alle urne la gente delusa dalla politica dei “nominati”.

Antonio Di Pietro non passa alla storia per spessore ideologico o adesione ai valori tradizionali degli italiani. In fondo è stata la sua fortuna quella di incrociare nella scena politica italiana Silvio Berlusconi. Idv nasce anche per questo. Per un movimento come Forza Italia (stagione 1994-2008) e costruito sui bisogni del proprio leader, bisogni diffusi che hanno fatto breccia nell’italiano medio quali la defiscalizzazione, la semplificazione e l’alleggerimento della macchina decisionale dello Stato, il partito di Di Pietro si è caratterizzato per il movimentismo  ha rappresentato la rottura  dei meccanismi di flusso e scambio tra società e politica anche stravolgendo l’accesso al sistema politico non più mediato dalle ideologie e dalle astrazioni generalizzate ma dall’immediatezza dei linguaggi e dalla denuncia sociale oltre che dell’ingiuria politica che ha sempre contraddistinto il protagonista di “Manipulite”.

 

– Pubblicità-