Chef di professione, commerciante leale, un vero e proprio artista dell’arte culinaria dallo spirito filantropico, ma soprattutto, un uomo che ha detto ‘no’al pizzo.
Filippo Cogliandro, 45 anni, cresciuto a Lazzaro, Reggio Calabria. Uomo dalla personalità forte e determinata, ereditata da papà Demetrio e trasmessa poi ai figli. Giovane motivato, inizia la sua carriera “artistica” come discepolo all’accademia d’arte aperta dell’artista Jim Jansen, architetto e pittore di fiducia presso la corte di re Baldovino del Belgio, ormai in pensione. Dalla pittura Filippo scoprirà così la sua passione e la sua attitudine per l’arte culinaria, che deciderà di esercitare nel pieno delle sue possibilità e nel totale esercizio della legalità scevra da qualunque imposizione esterna. Nel 2008, la sua grande ambizione e il suo amore per la giustizia lo porteranno a compiere una delle scelte più importanti della sua vita: il rifiuto del pizzo. Fresca di inaugurazione al centro di Reggio Calabria la sua nuova “Accademia”, ristorante il cui nome è ispirato alla giovanile esperienza artistica, oggi frutto del suo grande estro creativo e della sua voglia di sperimentarsi e di rinnovarsi, sempre.
Chi è in realtà Filippo Cogliandro? Si è raccontato a noi de IlCarrettinoDelleIdee.
Un uomo deve il proprio essere al passato, alle persone che hanno contribuito alla propria crescita. Partiamo dal capire chi era papà Demetrio.
“Papà Demetrio era un maestro. Era, guardandolo dagli occhi di un 45enne, un saggio. Un uomo che, pur non avendo una salda cultura di base, era riuscito negli anni a creare, con la sua testa, un’azienda e un modo di concepire il vivere in una società. Si è sposato a 39 anni, ci ha pensato un po’. Ha voluto crearsi un suo status da piccolissimo, anzi da apprendista artigiano. Ha poi aperto la sua attività, ed è cresciuto nel tempo. Si è occupato dei suoi fratelli, perché anche lui era molto legato alla sua famiglia (come oggi lo siamo noi fratelli tra di noi) e a un certo punto ha pensato di mettere su famiglia. Raccontava spesso che una domenica aspettò fuori dalla chiesa una giovane donna che lo aveva colpito e, in maniera molto diretta le disse: “Signorina, io vorrei farmi fidanzato con voi!”, e questa giovanissima donna gli disse: “Di queste cose non dovete parlarne con me, parlatene con mio papà.”
Un uomo all’antica dalla determinazione esemplare, legatosi per sempre a una donna la cui attenzione per le usanze e le tradizioni hanno dato vita a una famiglia unita nel rispetto delle regole e della legalità. E’ da questa realtà che proviene Filippo, ed è da quei valori che viene il grande coraggio e la salda convinzione che la legalità vince sulla rassegnazione.
Arriva il momento del contatto con l’arte di Jim Jansen. Negli anni ’70 questo pittore sarà proprio a Lazzaro, e tra i discepoli c’è anche lei.
“Jansen venne a Lazzaro per conoscere la famiglia del futuro genero e rimase molto colpito da quella che era la bellezza dei colori e del territorio. Andando in pensione decise di trasferirsi qui, vi progettò la sua villa e aprì la sua accademia di pittura.”
Da questa accademia uscirà l’estro di Filippo. Non un genio nell’arte pittorica, ma sicuramente un talento in quella culinaria. Una passione ne generò un’altra dunque?
“Esatto. Conobbi Jansen che ero un ragazzino. Un giorno acquistò, presso l’attività di papà, un ciclomotore, e pagando mi disse: «Mi mancano 50mila lire per completare il pagamento. Se vieni all’accademia, ti scegli un quadro e pareggiamo il conto». Io, eccitatissimo, presi il mio motorino, andai nello studio di Jansen e lì visitai un sottotetto adibito a laboratorio, la sua ‘accademia’. Scelsi uno dei quadri (che adesso ho in casa), davvero straordinario. Inutile descrivere l’espressione di mio padre al mio rientro. Disse solo: «Ma noi il quadro come ce lo mangiamo?».
Cominciai così ad approfondire con Jansen quello che era l’aspetto dell’arte, ma effettivamente, io non ero portato a tenere un pennello in mano. Quando si organizzavano delle cenette con il nostro gruppo parrocchiale insieme al genero del nostro pittore, io mi dilettavo a decorare il piatto. Ho iniziato così a pensare che la cucina mi realizzava. E in realtà quando mi ritrovai all’interno di una cucina, mi affascinai così tanto che decisi assolutamente di proseguire su quella che era stata un’esperienza e una sensazione straordinaria che mi aveva davvero sconvolto in maniera positiva; quella che era, che sarebbe diventata la mia vita, un mondo fantastico.”
E oggi questa vita, questa vocazione diventa franchising. Da Lazzaro a Reggio Calabria. Un successo per lei, ma anche per tutti coloro che lottano ogni giorno contro il racket. Una grande vittoria per una piccola realtà, eccezionale esempio e stimolo alla resistenza.
“Ho fatto una scelta molto forte nel 2008, quella di ribellarmi alla ‘Ndrangheta, al pizzo. Ho detto “no”, da subito, non ho mai pagato il racket, non capisco perché dovrei pagare. E questa mia scelta oggi mi ha permesso di essere quello che sono. E’ una scelta importante anche per i miei figli, per trasmettere loro ciò che ho avuto in dono da mio padre, un uomo che mi ha saputo indirizzare, che mi ha detto: “Non abbassare mai la testa!”. Quello che io oggi voglio trasmettere è che la nostra libertà non deve essere assolutamente intaccata da nessun fattore esterno, e il sistema, la ‘Ndrangheta, la mafia, non possono frenare quelle che sono le nostre passioni, le nostre ambizioni, i nostri desideri..”
La sua nuova attività è sul lungomare di Reggio Calabria: un luogo fortemente a rischio. Molti locali stanno subendo intimidazioni, addirittura a un museo degli strumenti musicali è stato dato fuoco tre volte. E’ una sfida questa sua, o è un atto di incoscienza?
“Di incoscienza assolutamente no. Di sfida? Io non sfido nessuno. Io scelgo di potare avanti quello che è il mio pensiero, io ho bisogno di esprimermi, io ho bisogno di trasmettere quelle che sono le mie peculiarità in ambito gastronomico. Arrivare all’interno di una location importante sarà certamente quel veicolo che permetta di realizzare tutto questo. Non ho paura assolutamente”.
Adesso al suo fianco ci sono tante persone, dal piccolo cittadino, a Don Luigi Ciotti, a Tano Grasso, alle organizzazioni antimafia.
“Loro sono accanto a tutti noi, e come noi abbiamo bisogno di loro, loro ne hanno di noi per raggiungere determinati obiettivi. Se io non avessi avuto l’associazionismo accanto, probabilmente non ce l’avrei fatta. E’ una realtà che crea intorno a te una rete di supporto non solo morale, ma anche economico, attraverso il cosiddetto consumo critico. Per quanto difficile sia stato il momento subito dopo la mia denuncia, oggi ritengo che, se non avessi avuto coloro che ritenevano il consumo critico una delle armi più forti del contrasto alla ‘ndrangheta, probabilmente io non sarei riuscito a venirne fuori.”
Salde radici, rispetto per la legalità, voglia di fare, intraprendenza e coraggio. Una ricetta per uno chef che ha fatto del rispetto di sé, il suo piatto forte.
Diva Famà