A Marina di Melilli l’azzurro del cielo si confondeva con quello del mare. La pesca era diventata la forza di sostentamento di 182 famiglie che avevano deciso di popolare quel fazzoletto di terra.
L’idea di comunità però si è costruita piano piano quando ogni famiglia ha gettato le basi per costruire la propria casa, mattone su mattone, potendo contare su una macelleria, una chiesa e una scuola elementare. Un giorno però, l’idea del progresso è venuta a turbare la tranquillità del piccolo paese, cominciando a sradicare e demolire la tranquillità degli abitanti. La battaglia è quasi impari, e la resistenza quasi nulla perché a ogni abitante si vende l’illusione che la loro vita può cambiare e che il luccichio della grande industria, può in qualche modo diminuire le grande distanze con il resto del mondo. Quando gli indennizzi vengono accettati ogni caso si sgretola e si confonde quasi con la sabbia. Di qualche edificio resta solo qualche porta e qualche finestra che restituisce l’idea del vissuto.
Solo un uomo però non ha ceduto al ricatto e alla grande menzogna: Salvatore Gurrieri. I suoi occhi hanno registrato la trasformazione della sua terra: Marina di Melilli è diventato il paese dell’assenza, cedendo il posto alla grande industria del petrolchimico. Ogni giorno ha continuato la sua battaglia, collezionando atti, articoli, presentando denunce e cercando l’aiuto delle istituzioni, respirando un’aria che bruciava i polmoni.
Però anche per lui è arrivato il momento della resa, non perché non credesse più che la causa fosse giusta, ma perché sua moglie, Ercolina Mori, – nipote del prefetto che Mussolini mandò in Sicilia per sconfiggere la mafia-, si ammalò e necessitava di cure molto costose. Prima che però tutto fosse chiaro e l’atto di vendita fosse sancito ufficialmente, quest’uomo è stato ucciso. Il suo corpo è stato trovato all’interno della sua abitazione. I suoi assassini lo hanno prima colpito con un corpo contundente e poi lo hanno incaprettato, un gesto che ricorda da vicino i rituali mafiosi.
Nella grande storia di Sicilia, forse nessuno ha osato immaginare, nemmeno Salvatore e Ercolina che le loro vicissitudini, sarebbero diventate sacre negli occhi degli abitanti di Siracusa e non solo. Il tempo, infatti, ha dato ragione a quel vecchio ottuagenario, considerato quasi folle, e ha svelato il disinganno del progresso”. Salvatore, infatti, nel volere difendere con le unghie e con i denti, i colori, gli odori, le tradizioni di una terra che si è modellata con i colori del sole, voleva preservare anche la generazione future dalla disperazione della malattia.
Una giornalista, Roselina Salemi negli anni in cui si consumavano le suole da scarpe per raccontare osservando, ha avuto modo di raccogliere la testimonianza di quest’uomo straordinario, prima in un articolo scritto per Repubblica, di cui era corrispondente, e poi in maniera assai più approfondita in un romanzo appassionato “In nome di Marina”. Proprio quest’opera è stata adattata per una rappresentazione teatrale, un monologo in scena in questi giorni a Siracusa, Un Uomo qualunque, interprete Francesco Di Lorenzo.
Un modo per far riaffiorare un pezzo di storia in cui l’inquinamento visivo e morale si è imposto prepotentemente: “E’ la storia di un paese – ci racconta la scrittrice Roselina Salemi-che è stato cancellato dallo sviluppo industriale e di Salvatore che è stato assassinato barbaramente. Io ho volutamente cambiato alcuni dettagli della storia trasformandolo in un romanzo. Di questo uomo non se ne sa quasi nulla, quando io l’ho conosciuto si era pure rifiutato di parlare con me. Gli stabilimenti che sono sorti dovevano offrire il salto di qualità offrendo posti di lavoro, mentre hanno inquinato l’ambiente facendo nascere bambini malformati.
Questo sistema industriale, infatti, è entrato violentemente in crisi facendo pagare un pezzo molto alto”. La giornalista -ci racconta- che quando ha scritto questa storia ha subito forti pressioni esterne da chi voleva che la matassa non fosse sbrogliata tanto che un magistrato, suo amico, le ha consigliato vivamente di lasciare la Sicilia. ”Qualcuno della vecchia classe politica locale ha fatto uscire degli strani articoli su dei giornali locali in cui in qualche modo si confutava quello che io avevo scritto, mi pressavano anche se in maniera indiretta. Io avrei accettato un confronto con chiunque avendo lavorato sul caso per un decennio e possedendo tutti i documenti per un’inchiesta giornalistica. ”Questo è stato un tema molto importante- ha detto in conclusione Roselina Salemi- e credo che non esiste storia più emblematica di questa. La Sicilia è la chiave di tutto come diceva Goethe, per questo, quello che è successo qui succede altrove. Se tu in Sicilia inquini significa che puoi farlo ovunque. Se tu prendi un posto meraviglioso, citato anche nei classici e ci metti una raffineria violenti il territorio. Io ho scritto il libro perché ho visto nella gente dei luoghi una perdita di memoria, anche se delle persone mi hanno avvicinato spontaneamente quando sono tornata in Sicilia, per raccontarmi il loro pezzo di storia, in quanto testimoni oculari. Secondo me c’è stata anche una sorta di rimozione psicologica di tutte queste persone che sono state estirpate dal loro territorio e hanno vissuto la cancellazione di un paese”.
Qualcuno ha paragonato la figura di Salvatore Gurrieri a Peppino Impastato. Forse perché entrambi partivano dalla bellezza per sconfiggere il potere mafioso. Oggi Marina di Melilli è un paese desertificato dall’inquinamento, che presenta le tracce visibili dell’assenza e la puzza del compromesso.