Trattativa Stato-mafia e organizzazioni criminali in affanno. Il clima di tensione concentrato nelle dichiarazioni di Totò Riina che dall’interno del carcere di Opera minaccia il pm Di Matteo, responsabile delle indagini che coinvolgono trasversalmente uomini di Cosa nostra ed esponenti delle Istituzioni. Intanto l’allarme di una nuova stagione stragista sembra raggiunge anche le mura di San Pietro. Nel mirino Bergoglio.
“Siamo profondamente allarmati per la pubblicazione della notizia delle minacce che Totò Riina avrebbe rivolto al Pm di Matteo e ai colleghi che indagano sulla trattativa perché, ammesso che siano vere, sembrano una chiamata alle armi che il boss fa ai suoi contro i magistrati che svolgono questa inchiesta”. Cosi’ il procuratore di Palermo Francesco Messineo ha commentato la notizia delle minacce rivolte dal capomafia detenuto ai Pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. Il procuratore non ha voluto comunque confermare né smentire “la fondatezza di una notizia che avrebbe dovuto rimanere segreta”, resta il fatto che “il passato ci ha insegnato qualcosa e, poiché non vogliamo ripetere le esperienze negative del passato, abbiamo ritenuto di esplicitare questo allarme” ha sottolineato il capo della Procura della Repubblica di Palermo ai giornalisti che gli hanno chiesto se l’attuale clima di allarme in procura sia simile alla stagione vissuta da Falcone e Borsellino nel 1992 e culminata con le stragi di Capaci e via D’Amelio.
Torna a farsi sentire Totò “U curtu”. Il boss mafioso non manca di dettagli, le sue dichiarazioni hanno caratterizzato tutti quegli eventi che hanno determinato il transito dalla Prima alla Seconda Repubblica e la mutazione di Cosa nostra da stragista a parte degli apparati. E’ sua la frase “Io sono stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse, come è che sono responsabile di tutte queste cose?”.
Tutto accade subito dopo l’ultima udienza sulla “trattativa stato-mafia” che Riina segue sempre dalla sala delle videoconferenze. Chiuso in regime di massima sicurezza nel carcere milanese di Opera dalla sua cella, il capo dei corleonesi avrebbe urlato ed inveito contro il sostituto procuratore di Palermo Nino di Matteo: “quello lì deve morire, fosse anche l’ultima cosa che faccio”. Parole che non sono sfuggite ad un agente della penitenziaria, parole a cui fa eco lo stato confusionario dell’ ‘ultimo dei corleonesi’ che vede venire sempre meno l’ombra della sua leadership, poiché è inusuale che un personaggio del calibro di Totò Riina si lasci sfuggire certe frasi, facendo trapelare come sia fragile ormai l’anello di congiunzione tra la sua cella e il gotha mafioso che ancora troneggia liberamente. Non va sottaciuto come Cosa nostra si sia anche alleata con altre forme di malavita per compiere ciò che le è sembrato impossibile: il braccio teso della ‘ndrangheta.
Il comitato per l’ordine e la sicurezza si è già riunito. Riina – nonostante il regime carcerario – rappresenta ancora il Capo di una struttura che vanta latitanti di peso la cui influenza è stata di recente confermata a partire dal trapanese. Sono già scattati i primi provvedimenti. Perché questa volta la minaccia non e’ di quelle che si possono sottovalutare tanto da far pensare ad una nuova stagione di stragi.
Già rinforzata la sua scorta, Di Matteo potrebbe anche essere trasferito in una località segreta proprio come accadde a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel ’85 quando per un mese restarono sull’isola dell’asinara. A luglio, il Viminale aveva comunque deciso l’innalzamento del livello di sicurezza per il magistrato palermitano, dal secondo al primo: così, attorno a Di Matteo, sono arrivati anche gli uomini del Gis, il gruppo di intervento speciale dei carabinieri. Ma lo stesso livello di protezione non è stato deciso per gli altri magistrati del pool. In cella il boss avrebbe lanciato anche altre minacce contro “uno che prima era a Caltanissetta e ora e’ a Palermo”. Potrebbe trattarsi del procuratore generale Roberto Scarpinato che si sta occupando della revisione del processo per la strage di via D’Amelio. Alla Procura di Caltanissetta, il pm Scarpinato si è occupato della revisione del processo, puntando il dito contro gli uomini più vicini a Riina.
“Ancora una volta Totò Riina, recluso presso il carcere di Opera, lancia minacce e lo fa chiamando ‘a raccolta’ i suoi “uomini”. A commento delle dichiarazioni del “capo dei capi”, l’europarlamentare Sonia Alfano. “Il fatto che la notizia sia trapelata – afferma Alfano – è gravissimo, perché la voce di Riina viene amplificata e raggiunge i veri destinatari del messaggio: gli esponenti di Cosa Nostra pronti a mettere in pratica le intenzioni del capomafia recluso al 41bis. Destinatari dell’avvertimento della mafia stragista, stavolta, sono i Pubblici Ministeri del processo sulla Trattativa tra mafia e Stato, e in particolare il Pm Nino Di Matteo”. “Di Matteo, tra le altre cose, è in questo momento vittima di un attacco incrociato: pezzi della mafia e pezzi dello Stato stanno tentando in tutti i modi di fermare gli sviluppi investigativi frutto del suo impegno. C’è chi lo fa attraverso minacce dirette, chi attraverso lettere anonime e chi attraverso provvedimenti ufficiali decisamente discutibili. Non posso che sollecitare un intervento fermo e deciso rispetto alla tutela dei magistrati da parte degli organi competenti e confermare la mia personale vicinanza a quanti stanno mettendo a rischio la propria vita per garantire a questo disgraziato Paese verità e giustizia”, conclude l’europarlamentare.
“Le minacce del boss Totò Riina al pm Nino Di Matteo e agli altri magistrati impegnati nella trattativa Stato mafia sono un messaggio inquietante, che non va in alcun modo sottovalutato. Il ministro dell’Interno assicuri il massimo della sicurezza e il sostegno necessari ad una procura in prima linea nella lotta alla mafia”. Lo afferma Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia.
Un messaggio pericoloso quello del boss ‘morente’ a cui fa eco la preoccupazione di Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria. In un’intervista parla di Papa Francesco Gratteri, parla della pulizia che sta facendo dentro il vaticano. Toccando anche i centri del potere economico. Un atteggiamento che secondo Gratteri poco piace alla criminalità organizzata. “Se i boss potessero fare a Bergoglio uno sgambetto – dice Gratteri – non esiterebbero”. Dichiarazioni che hanno fatto alzare le antenne alla Gendarmeria vaticana.
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