La Bassa padana la chiamano

Sono arrivato a Milano che avevo 16 anni, insieme ai miei fratelli maggiori. Era il 1971 e non conoscevo l’Italia. L’ho vista dal finestrino di un treno, per la prima volta. Era un mattino umido e nebbioso quando arrivai qui.

Al mio paese ho lasciato l’estate e la mia giovinezza. La spensieratezza no, quella non l’ho mai vissuta. Eravamo in tanti, ogni giorno arrivavano migliaia di persone come me, dal sud: inseguivamo un sogno di benessere. Io mi sono stabilito in provincia, in un cittadina sulle rive dell’Adda. La Bassa padana la chiamano.

In tanti, spesso, abitavamo dentro due stanze. Il bagno, una tazza alla turca, era fuori, in comune. Sono le case di ringhiera. Sai quante ne ho ristrutturate in più di quarant’anni? – mi dice – e accenna un sorriso. Erano gli alloggi popolari, adesso sono quasi tutte abitazioni di lusso.

Mario ha 60 anni, è spaventato dal futuro e dalla vecchiaia che incalza, ma conserva ancora una dignità fiera.

Non lavoro in modo continuativo da quasi quattro anni – riprende a raccontarmi –  Quando sono arrivato qui ho trovato subito un’occupazione, come muratore. Il lavoro non mancava mai.  Tutto in nero o quasi, ma la paga era molto più alta che nel mio paesino, in Sicilia. Ho sempre lavorato sodo e non mi mancava nulla. Ho conosciuto il razzismo e il pregiudizio verso noi meridionali. Io l’ho sempre combattuto, non ho mai subito. Però è vero che, insieme a tanti di noi che lavoravano onestamente, altri hanno portato la piccola e la grossa delinquenza. Ne ho conosciuti tanti così: chi faceva rapine, chi furti. Queste erano cittadine tranquille. E poi la droga. Agli inizi dei ’70 Milano era la capitale del traffico di stupefacenti. L’eroina era diffusissima, scorreva a fiumi. Ho anche perso degli amici, trovati all’alba con la “spada” ancora dentro la vena. Ne sono morti a migliaia, una vera guerra.  Io non ho mai pensato di fare cose simili. A un certo punto decido con un amico di mettere su una piccola impresa edile.

Pagavamo tutto: “Siete matti? Se fate tutto in regola non la spuntate” – mi ha detto una volta il ragioniere. Non abbiamo retto. Per evitare danni ulteriori mi sono cancellato dalla Cassa Edile Artigianato, ma i debiti erano enormi. Riprendo a lavorare a giornata, sempre in nero, e cerco di pagare i debiti. Conduco una vita dignitosa, nonostante tutto. Anche mia moglie lavora, in una impresa di pulizie. Poi…poi è precipitato tutto. Sono arrivati altri, tanti dall’Est: si mimetizzano meglio e si accontentano di poco…ogni volta che chiedo lavoro vogliono sapere se sono iscritto alla cassa e io non lo sono più, quindi nessuno mi assume, nessuno vuole correre il rischio di avere un operaio in nero: se arriva un controllo in cantiere sono guai grossi. Non riesco a guardare mio figlio in faccia. Mi vergogno.

Poco tempo fa ho incontrato un amico che non vedevo da tempo. Mi ha raccontato che ogni giorno va a Milano: pulisce i vetri alle macchine ferme ai semafori. – Meglio questo che andare a rubare – mi dice. E così, da due mesi prendiamo insieme lo stesso treno. La mia famiglia non lo sa, pensa che vada in cantiere. La domenica abbraccio il mio nipotino (sono nonno) e spero che a lui la vita andrà meglio.