La burocrazia cieca e la fiducia di una tredicenne

Occhi grandi, scuri e profondi come due pozzi; un visino dai tratti dolci incorniciato da capelli mossi; l’eloquio serio, pacato ma anche diretto e spiazzante: dietro a questi tratti da donna mediterranea – una donna non ancora sbocciata in tutto il suo splendore, visto che questa meravigliosa ragazza ha 13 anni – c’è una vicenda di quelle che ti prendono allo stomaco, ti mettono a soqquadro le budella e poi ti lasciano esausto dalle mille domande, inevitabilmente rimaste senza risposte.

Una ragazza così non l’abbiamo incontrata a un concorso per scuole, dove i più bravi vengono selezionati per dare sfoggio delle loro capacità. L’abbiamo incontrata al Comune, accampata con la sua famiglia per protestare contro lo sgombero che hanno subito. Non interessano, in questo momento, le ragioni dell’uno e dell’altro: poco importa che quella famiglia avesse occupato abusivamente l’appartamento oppure fosse semplicemente morosa per difficoltà economiche. 

Quello che ci importa è capire perché una ragazza così si ritrovi di punto in bianco a dover dormire nel corridoio di palazzo Zanca con i suoi familiari – bambini di due anni inclusi – e che effetto possa avere un trauma del genere su di lei, sulle sue speranze, sulla sua fiducia nelle istituzioni.

«A me non importa il parere della gente. Quello che mi interessa è sapere che quello che stiamo facendo lo stiamo facendo per una causa giusta» dice mentre il viavai nel corridoio dedica sguardi imbarazzati e passi frettolosi alla sua famiglia accampata su una panca. «Penso che quello che succede ai miei genitori riguardi solo loro. Però questa volta ci sono in mezzo anch’io. Non è giusto che le conseguenze di questa situazione ricadano su di me». 

Con il suo tono moderato dice parole dure contro la cecità della burocrazia, che non vede che dietro ai suoi genitori c’è lei, una ragazzina di 13 anni. «Purtroppo la situazione è questa. Giovedì sono rientrata da scuola e da allora non siamo più potuti entrare a casa. Quella notte io ho dormito da una vicina, mentre mia madre e i miei fratelli hanno dormito in macchina». Poi, il giorno successivo, la decisione di andare al Comune: «Hanno iniziato a dire “andiamo al Comune perché così non si può andare avanti”. È da venerdì che noi dormiamo a terra e mia nipote che è piccola dorme sulla panca».

La prima reazione alla notizia è un pianto di rabbia, racconta: «Di solito mia madre mi viene a prendere in un punto a metà strada fra casa e la scuola. Quel giorno non la vedevo arrivare, così le ho telefonato. Mi ha detto di salire verso casa che sarebbe arrivato mio cugino, io le ho chiesto cosa stava succedendo e mi ha spiegato che c’erano i vigili e ci stavano buttando fuori di casa. Io ho iniziato a piangere, figurati che una ragazza mi ha chiesto cosa avevo e l’ho lavata di insulti – poi le ho chiesto scusa – e anche appena arrivata a casa non sono riuscita a fare altro che a piangere».

Però non porta rancore verso chi, quella mattina, era lì per cacciarla di casa. «Hanno solo fatto il loro lavoro. L’unica cosa che non ho concepito è che siano venuti senza preavviso, non credo si possa fare». A chi invece ha deciso lo sfratto dai piani alti della politica e dell’amministrazione, rivolge parole meno clementi: «Non ho parole. Vorrei che loro fossero nei nostri panni, i loro figli nei miei. Mettetevi nei miei occhi e guardatevi come vi vedo».

Nonostante la passione per lo studio in questi giorni non è andata a scuola. Confessa che «a tornare in classe avrei un po’ di disagio, però non ho paura, non m’importa cosa pensa la gente» e intanto, per passare le lunghe ore al Comune, legge un libro. Però si lamenta: «Non ho potuto nemmeno prendere i libri scolastici a casa, altrimenti leggerei quelli».

Lei, infatti, da questa vicenda non si è lasciata abbattere. Anzi: «Sicuramente da grande in certe situazioni ci andrò più con i piedi di piombo. Però voglio impegnarmi per cambiare le cose. Non si può togliere a una persona che non lavora, non ha marito e ha a carico due figli la casa. La cosa che più mi ha dato fastidio è stato vedere mia madre piangere come non mai».