La casa dei glicini, Das Glyzinienhaus

Il luogo: Catania, via Plebiscito e il quartiere dell’Ospedale “Vittorio Emanuele”, dove tutti si conoscono e tutti sanno i fatti di tutti, li vedono, li interpretano a modo loro, secondo categorie arcaiche che neanche la guerra ha scalfito. 

Si respira la città del sud,  vitale e atavica, nuova e antica: la seconda guerra mondiale ha cancellato vite, svuotato case, portato miseria ma anche nuova ricchezza, altre opportunità, eppure tutto continua a scorrere uguale a prima, a portare segni  di contraddizioni ataviche.

Ada Zapperi

Ancora una volta Ada Zapperi racconta storie di donne e uomini che emergono da ricordi d’infanzia e si ridisegnano nella città-mondo.  Luminosissima e viva a vederla e ad attraversarla,  la città odora di glicini  e gelsomini, cupa  e dannata a viverci e a sopravviverci, soprattutto per le donne:  per le madri e sorelle  che vestono di  nero perché la guerra ha portato lutti inguaribili; per le ragazze che vivono recluse dentro case che odorano di miseria, dove, se non c’è un uomo, bisogna industriarsi, trovare vie di sopravvivenza e rispettabilità, mentre si  aspetta  un marito che non sempre arriva, specialmente se l’età fa sfiorire corpi e sogni.

Fare le sarte  o le lavoranti al servizio delle sartorie per ricche borghesi, è una via, neanch’essa facile. Gli studi in questo universo sono un’opportunità per qualche giovanotto talentuoso e possono cambiargli la vita, per le donne mai, perché i soldi vanno spesi prima per il figlio maschio. Nessuno si chiede perché Cettina, pur dotata, non avesse frequentato la scuola e non si fosse sposata, per quanto lo desiderasse. Se lo chiede la narratrice onnisciente e la risposta è liscia e facile, quanto dura e pietrosa: per volontà di un padre onnipotente.

In altri racconti il padre non c’è, si eclissa, ma le madri ci sono sempre. 

Graziella, Concetta, Nzina, Cettina,  accudiscono madri,  tiranniche portatrici e vittime insieme di cultura patriarcale che, in uno spietato circolo vizioso, miete vittime e semina sconfitte e infelicità.

Eppure il sogno entra nelle  vite delle ragazze, nutrito dal desiderio di amore, libertà, vita nuova, ma si scontra  sempre con la rigida gabbia in cui sono costrette a servire famiglie e mondo. Qualcuna fugge, qualcuna ce la fa ad uscire dal cerchio della cultura patriarcale. Tante, però,  il mondo “da quel pesce vorace che è” le divora

Perdono le donne, perdono gli uomini, anch’essi servi e complici di una cultura che semina infelicità in ogni vita che non sappia trovare vie di fuga: a cosa porterà il viaggio  del fratello di Cettina, algido professore e  cultore finissimo dei classici, improvvisamente lacerato da  un invisibile male? potrà essere felice Nzina, una Emma Bovary catanese infiammata da un “aspettami” detto una volta, per caso,  da un cugino partito per la guerra, rientrato e smemorato dal nuovo che ha cambiato la vita di tutti e tutte? potrà essere felice Graziella, che assiste silenziosa alla disobbedienza liberatrice della sorella Mimma, lasciando implodere il desiderio di libertà?

Ada Zapperi accompagna le “sue ragazze”, ora solidale, ora indignata, ora ironica osservatrice, come se volesse svegliarle e trascinarle fuori da quegli inferni familiari. Narratrice onnisciente, interviene ad intrepretare, a porre domande, a suggerire vie di lettura del mondo-Catania, mai rassegnata, denunciando, anche dialogando con chi legge

Si chiede, ci chiede: un mondo patriarcale di lave incandescenti pietrificate, di desiderio di vita e rinascita, che però resta sepolto e muto, potrà diventare altro, trasformarsi e liberarsi?

Ada Zapperi non risponde, ma la immagino rispondere: “Sì, forse sì, ma bisogna ripartire dall’inizio, c’è tanta strada da fare…”.

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