Terremoto in Cina, oltre 2.040 i morti
Quasi 13.000 i feriti, alcuni in gravi condizioni. Lo riporta l’agenzia Nuova Cina
20 aprile, 07:41
Rombano i motori delle velocissime macchine da Formula 1, nel caldo di un Oriente ormai vicino, con i suoi fastfood che sono i nostri fastfood, le sue aziende che sono le nostre aziende, i suoi marchi che sono i nostri marchi. Sudano le mani dei piloti, in tensione prima della gara. È il GP di Cina, e milioni di televisori in tutto il mondo sono sintonizzati sull’evento, ed ogni telegiornale d’Italia dedica un suo piccolo spazio alla vicenda. E i cuori palpitano. Ce la farà Fernando Alonso a recuperare la testa della classifica? Il “campioncino” Vettel riuscirà finalmente a conservare la pole position? Recupererà lo svantaggio in griglia Felipe Massa? Come si comporteranno i piloti italiani? Schumacher sarà capace di farci emozionare come faceva un tempo o continuerà nel lento declino?
Siamo a Shanghai, la più popolosa città della Cina, oltre che capitale economica, finanziaria e commerciale dell’intera Repubblica Popolare Cinese. Municipalità autonoma di 18 milioni di abitanti su una superficie di appena 6.340 km², che ogni anno assicura allo Stato centrale circa il 25% delle entrate totali, e con una crescita economica annua che oscilla tra il 9% e il 14%, nonostante la crisi economica mondiale. Qui, nell’avanguardia del mondo moderno, dalle finestre dello Shanghai World Financial Center, il terzo più alto grattacielo al mondo, dentro gli uffici del distretto finanziario di Pudong e sui treni della ferrovia a levitazione magnetica che viaggiano a 431 km/h, già si aspetta l’EXPO 2010, l’Esposizione Universale che celebrerà la “Nuova Cina”, aprendo i battenti a maggio sotto il motto di “Better city, better life”.
Le automobili dei campioni riscaldano i motori, semafori rossi. Luci spente, e via! Corrono le auto sul futuristico circuito cinese. E fanno quasi tremare la terra dalle esorbitanti velocità che riescono a raggiungere. E fanno tremare i televisori di tutto il mondo, concentrati sulla competizione. È la Cina. La Cina che affascina, così nuova, moderna, così sprezzante nella sua forza economica e tecnica. E Shanghai è davanti a tutti, prima donna nella Cina del progresso.
Gli occhi del mondo sono su Shanghai, con la leggerezza di chi vuole divertirsi e ammirare i nuovi splendori del Sol Levante. Finalmente lontani dall’altra Cina, quella che in settimana ha timidamente cercato – per istinto di sopravvivenza – di rubare le telecamere alla Cina fantascientifica delle aree sovraffollate ed occidentalizzate. Alla Cina che a tutti piace vedere. Certamente diversa dalla provincia di Qinghai, e lontana un milione di anni-luce dalla Cina nascosta delle zone interne, quella povera delle campagne, a due passi dal Tibet. La Cina delle sorgenti del Fiume Giallo e dello Yangtze, a un livello di altitudine medio di 3000 m sopra il livello del mare, dove la temperatura media oscilla tra i -18°C e i 5°C. Lì, dove, alle 7:49 ora locale del 14 aprile 2010, a due settimane dall’EXPO made in China, un terremoto di 7.1 gradi della scala Richter (prontamente seguito da altre 18 scosse tutte superiori ai 5 gradi) ha raso al suolo l’intera area di Yushu, provocando 1.144 morti e 11.744 feriti, di cui 1.192 ricoverati in gravi condizioni, con l’85% delle costruzioni letteralmente spazzate via dalla furia della Terra. Ma la Cina di Stato non ha dimenticato – o meglio, si è ricordata – degli sciagurati fratelli. Infatti sono già pronti 200 milioni di yuan (quasi 22 milioni di euro) per affrontare l’emergenza, mentre il presidente Hu Jintao ha lasciato anticipatamente il vertice sulla sicurezza nucleare organizzato a Washington – immagino con non molto rammarico – e rinviato i successivi incontri diplomatici nel Sudamerica, e il Primo ministro Wen Jiabao si è immediatamente recato sul luogo del disastro. E se le fonti ufficiali attestano già l’azione di 2.000 uomini delle forze dell’ordine inviati dal Governo, e testimoniano il recupero di circa 900 persone da sotto le macerie, rimane vero che rimangono ancora 417 dispersi, con le squadre di soccorso – già rallentate dai forti venti e dalle frequenti tempeste di sabbia della zona – costrette a scavare a mani nude fra i resti degli edifici crollati, a causa della mancanza dei dovuti mezzi meccanici.
Oggi però la Repubblica Popolare Cinese ed i suoi alti rappresentanti devono fare molto di più di soccorrere. Devono rispondere del perché. Del come sia possibile costruire grattacieli incrollabili di 300 m di altezza, e allo stesso tempo scuole a due piani che si sbriciolano al vento.
In attesa di gridare alla solidarietà al momento della sciagura, e di muovere imponenti macchine dei soccorsi, i governi chiudono gli occhi di fronte alle loro stesse negligenze,ai loro stessi soprusi, in nome dello sfruttamento della terra, del profitto assoluto, degli interessi personali, dei giochi di potere e di economia. Poi si va a fare una gita sulle macerie, si sposta un G8 in modo da creare qualche altro impiccio a chi già soffre, e il programma è completo. La Cina è vicina, non c’è dubbio.
Dal 2001 ad oggi la regione di Qinghai ha subito almeno 53 sismi oltre il quinto grado scala Richter, tutti senza effetti devastanti. Tuttavia, sia le condizioni degli edifici pubblici considerati fatiscenti, che il dramma ancora vivo del terremoto del 2008 nel Sichuan – nel quale morirono addirittura 70.000 persone – avevano già scatenato forti critiche e manifestazioni di dura protesta da parte della popolazione della provincia. La risposta del Governo cinese, come sempre, si era manifestata in quel caso con arresti e abusi – e quando il Primo ministro è un uomo di partito che ha conosciuto bene la stagione di piazza Tienanmen, non c’è tanto da stupirsi – , nella finta ignoranza mondiale. A Qinghai vivono – (vivevano) – circa 5 milioni di persone, su una superficie totale di 721.000 km², nelle loro case di un piano solo, costruite con argilla, legno e mattoni. La parte povera del paese, che contribuisce al PIL nazionale con il solo 0,3% sul totale. Quelli che valgono meno, insomma. Negli anni la provincia è stata duramente sfruttata dal Governo centrale per l’estrazione del petrolio e del gas, primo settore economico del territorio (insieme all’industria del ferro e dell’acciaio), in cambio di, di, di niente. Ah si, di aiuti quando gli stessi edifici tirati su con gli stuzzicadenti dallo Stato cadono a pezzi! E i cinesi ringraziano. Ringraziano comunque, coscienti che la loro opinione non conti, coscienti di essere solo numeri per il Consiglio di Stato, coscienti di essere semplicemente pedine di una macchina da guerra economica troppo sofisticata da poter essere condizionata da loro. E vagano per le strade senza più casa, senza più genitori o figli, senza più una vita, mentre a Shanghai motori ruggenti tagliano il traguardo sotto gli occhi del mondo, di fronte a giornalisti che parleranno giorni e giorni, settimane e settimane, mesi e mesi della loro impresa, ancora una volta estasiati dalla Cina che si fa e che ci piace raccontare.