La comunione eucaristica: vietata ai divorziati, concessa ai pentiti?

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L’Eucarestia, comunemente nota con il termine “comunione”, è un sacramento cattolico consistente nell’assunzione di un’ostia consacrata che, per virtù dello Spirito Santo, simboleggia il corpo di Cristo. Non tutti possono usufruire di questo sacramento. Il requisito essenziale è essere in comunione con Cristo, cioè avere l’abitudine di confessarsi e, soprattutto, non trovarsi in situazione di peccato permanente.

Leggendo quest’ultimo requisito, verrebbe da pensare che l’escluso sia impersonificato da colui che vive quotidianamente in un ambiente inondato dal male. Non a caso, nella lista degli “esclusi” troviamo i mafiosi che, nonostante la loro fantomatica religiosità preponderante e ispiratrice, in alcuni casi, di una vera e propria missione, sono considerati dalla Chiesa peccatori.

Nell’ultima assemblea della Conferenza Episcopale Italiana svoltasi ad Assisi lo scorso novembre, la posizione della Chiesa è stata chiara: «Non c’è bisogno – ha dichiarato monsignore Crociata, segretario generale della Cei – di comminare esplicite scomuniche perché chi vive nelle organizzazioni criminali è fuori dalla comunione anche se si ammanta di religiosità».

Questa tematica della mafiosità si inscrive in una più grande, che rientra nel documento “Chiesa e Mezzogiorno”, il quale sarà licenziato nel gennaio 2010. L’attesa è decretata dall’intento di «pubblicare un documento che sia espressione dell’intero episcopato, così da ribadire la nota della reciprocità, per cui solo insieme si affrontano i problemi e le sfide del Paese».

Dunque, il mafioso è un peccatore, per il quale neanche la confessione davanti ad un sacerdote può servire a redimere. E se alla confessione aggiungessimo il pentimento?

Per ora che i pentiti mafiosi fanno tanto scalpore, tempo fa si parlava della possibilità di concedere questo sacramento anche a loro. Inutile dire le polemiche levatesi, legittime anche, da un certo punto di vista, se si pensa che invece è ancora fortemente off limits per i divorziati. Non amare più una persona è un peccato più grave dell’aver ucciso uomini, bambini, organizzato attentati e attentare ogni giorno, da secoli, alla rinascita di un paese, come ad esempio la Sicilia?

Domanda difficile, a cui è quasi impossibile dare una risposta certa e valevole per tutte le posizioni. In un’epoca come la nostra, dinamica, consumistica e sempre più “libertina” è difficile per la Chiesa restare “al passo coi tempi”. La tradizione acquista un peso molto forte, diventa quasi una zavorra che impedisce l’avanzamento. E i giovani si allontanano sempre di più. La pillola anticoncezionale, i preservativi, il sesso pre-matrimoniale sono tematiche così vicine ai giovani ma al contempo così ardue ed ostiche per la Chiesa. Se in America a Patrick Kennedy, nipote del più famoso John Fitzgerald, è stata vietata la comunione perchè favorevole all’aborto, allora quante donne che lo hanno praticato (il più delle volte non senza difficoltà, sia fisiche che psicologiche) dovrebbero essere colpite dallo stesso provvedimento? E i medici? Vogliamo poi parlare degli avvocati divorzisti? Sarebbe un mondo di obiettori di coscienza. O di scomunicati.

 

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