Il carcere dovrebbe rappresentare per ogni detenuto un’esperienza che interrompe il percorso criminale sin’ora ad allora intrapreso … dovrebbe avviare ad un processo di rieducazione e cambiamento, soprattutto in vista del futuro reinserimento nella società. Questo percorso di rieducazione dovrebbe essere svolto all’insegna della cultura della legalità. Vi sembrerà un contraddizione legare la parola legalità a quella della detenzione, personalmente non credo lo sia.
Parlare di legalità con i detenuti, ha un significato preciso. Se queste persone si trovano attualmente recluse è perché hanno violato i dettami del nostro ordinamento giuridico che stabilisce i comportamenti ritenuti legali e quelli illegali .
Partendo dalla convinzione che il carcere non debba essere una parentesi di tempo perso, ma dovrebbe avviare il detenuto verso un processo di riconciliazione con la comunità, sono convinta, e per fortuna non da sola , che gli interventi formativi che vengono organizzati all’interno delle carceri, siano di effettiva utilità, soprattutto se mirano a favorire nel detenuto processi di riflessione e possibilmente, di cambiamento.
Qualunque occasione che consenta di rivedere criticamente e possibilmente modificare i propri comportamenti in funzione di un maggior benessere individuale e collettivo, andrebbe stimolata e incentivata.
Ma il carcere è spesso un luogo di non-cambiamento, dove il detenuto assoggetta ogni sua azione al desiderio di uscire, manipolando a questo scopo ogni rapporto interpersonale.
Il principale problema è rivestito dal fatto che il detenuto non si riesce a staccare dalla realtà in cui si trova, il suo pensiero è rivolto in primis alla permanenza forzata piuttosto che ad una riflessione critica; ogni azione è fatta ad un solo fine, che tutti potete immaginare … in questi casi, il carcere rappresenta veramente una parentesi di tempo perso.
Per il bene della collettività, questo tempo, potrebbe e dovrebbe essere impiegarlo in modo diverso, magari aiutando i detenuti ad intraprendere un percorso di riflessione critica sul perché si trova in carcere. E’ un percorso difficile, che può avvenire solo se ogni detenuto accetta di risolvere o perlomeno riflettere, su alcuni conflitti, che hanno condizionato il suo percorso di vita.
Il più importante conflitto è quello tra il detenuto e gli altri cittadini sul dovere di rispettare la Legge. È il conflitto per il quale il reato rappresenta un attacco al legame sociale. Con il reato si verifica il venir meno della fiducia reciproca fra i cittadini rispettosi della legge ed il reo. Si verifica un’offesa alle aspettative di collaborazione per la cura del legame tra tutti i cittadini e c’è un’ingiustizia compiuta a danno della comunità (personificata nella del reato) .
Qualora fingessimo che il reato non abbia rotto il legame esistente tra cittadini, ci comporteremmo come se il danno fosse stato arrecato solo ad altri cittadini, e siccome non riguarda direttamente noi, il fatto non ci tocca. Se così facessi, non aggireremmo secondo il principio morale di legalità.
Per questo dovere morale nei confronti del prossimo, diventa necessario rivolgere l’attenzione ai detenuti non solo per richiedere maggiore severità nell’applicazione delle pene … da cittadini consapevoli dovremmo pretendere quelle attività che stimolino la riflessione in queste persone. Questo può avvenire attraverso il contatto del detenuto con operatori di legalità, persone esperte che si impegnano a rappresentare la comunità, quella dei cittadini onesti e del loro modello di legalità, che non giustificano i reati, solo perché si trovano a contatto con i detenuti, semmai con gli stessi cercano di ristabilire quel legame sociale interrotto. Una riconciliazione tra il detenuto e la comunità diventa necessaria seppur difficile, ma è anche vero che si può lavorare sulla comprensione dell’idea che il legame sociale è un bene collettivo cui tutti sono tenuti a salvaguardare.
Julian Barbour in “La fine del tempo” dice … se non accadesse nulla, se nulla cambiasse il tempo si fermerebbe. Perché il tempo non è altro che cambiamento, ed è appunto il cambiamento che noi percepiamo, non il tempo. Di fatto , il tempo non esiste … Non importa quanto tempo ci vorrà affinché la cultura della legalità abbia il sopravvento sulla pratica dell’illegalità … la cultura della legalità implica la partecipazione, in poche parole “si impara praticandola” attraverso stili di vita corretti, il contrario conduce inevitabilmente alla dispersione umana e sociale. È questa che dobbiamo combattere, la dispersione in tutte le sue forme, perché questa è del resto conseguenza e concausa della diffusione dell’illegalità.
Nicoletta Rosi