Dalla Spagna arriva la notizia dell’esistenza di “negozi” in cui si possono trovare bambole in silicone che riproducono perfettamente le sembianze femminili e con le quali i clienti si possono intrattenere.
Le “bambole gonfiabili” sono storia vecchia ma pare che queste siano state superate da nuovi modelli, “oggetti” dotati di particolari ben curati realizzati in silicone chirurgico. Cavità di 17 cm simili a orifizi genitali e anali e alcuni optional innovativi (diciamo così) in cui il cliente può sbizzarrirsi a suo piacimento. Tra questi optional, Roxxxy, una bambola completamente snodabile è dotata di una modalità stupro.
Si tratta di un dispositivo che irrigidisce il corpo della bambola che mima, in questo modo, il comportamento di chi subisce un abuso sessuale.
La notizia merita qualche riflessione.
Già il termine “bambola” porta fuori strada. Le bambole sono giocattoli, termine sacro. Bambole e bambolotti sono oggetti con cui bambine e bambini giocano e danno avvio alla loro creatività, consentono alla fantasia di svilupparsi, fanno crescere. E’ perciò uno sbaglio chiamare “bambola” certa oggettistica a scopo sessuale. Il termine, dunque, già in prima battuta, equivoca le cose.
Un adulto che gioca con le bambole, uomo o donna che sia, non lo fa come lo farebbe un bambino. E qui entriamo subito in merito all’inghippo linguistico, lo sveliamo seduta stante. Nel momento in cui si dà l’appellativo di bambola a un oggetto, si vuole connotare come gioco ciò che, in realtà, è una perversione.
Se le bambole di gomma sono sempre esistite, l’optional – stupro è una novità aberrante. Significa che si induce l’individuo ad acquistare l’esperienza di essere uno stupratore che, si comprende bene, è lontana dal “fare sesso”.
Stuprare è infatti una condotta che prescinde dalla sessualità.
La domanda successiva è allora : perché un uomo stupra ? cosa lo spinge a trasformarsi in un violentatore?….o peggio ancora, a ricercare di riprodurre artificialmente questa esperienza? …bisogna a questo punto, come in fotografia, ricorrere al grandangolo.
Può succedere a volte che subentri nell’individuo l’urgenza di avere un appagamento; appagamento che diventa patologicamente insistente laddove esistono internamente territori desertificati o spaventosi che generano grande malessere. L’eccitazione è il veicolo per raggiungere tale appagamento che, in taluni casi, è quasi questione di vita o di morte, metaforicamente intese. L’appagamento non ha niente a che vedere con la sessualità, né l’eccitazione che lo precede .
Nell’uomo (ma a volte anche nella donna) l’eccitazione si alimenta con fantasie di sopraffazione e di abuso nei confronti di un immaginario femminile, delle parti del corpo sessuato della donna, della sua condizione di presunta fragilità e debolezza o del desiderio di contrastare la sua altrettanto presunta forza e arrogante superiorità. Fantasie spesso inconfessabili (persino in analisi personale) che, indubbiamente e paradossalmente, attribuiscono un certo riconoscimento e valore (discutibili) al femminino dato che esso diventa l’oggetto che raccoglie il clou delle fantasie più variegate.
Se la donna non fosse vissuta dall’uomo con cotanta importanza non diventerebbe l’oggetto attraverso il quale è possibile raggiungere l’appagamento di cui si ha necessità. Ma al contempo viene svilita la condizione femminile, sciupata, strapazzata, fatta a pezzi. Ecco che la donna è trattata alla stregua di una “bambola”, perché è più facile sopportarlo, è più facile sopportare l’urgenza della spinta aberrante che, per essere realizzata deve rivolgersi a qualcosa che somigli il più possibile all’originale. Si comprenderà bene che, in tutto questo, la donna è inesistente, ma lo è anche l’uomo: l’unico primato ce l’ha l’emergere di un bisogno impellente e incontrollabile, di provenienza caotica, magmatica.
In questa operazione è racchiusa tutta l’ambivalenza del maschile verso il femminile
Ma anche il suo bisogno. E la sua solitudine. Il suo Malessere.
Non è tuttavia questa un’attenuante. Così come non lo è considerare l’attitudine di avere amplessi con bambole come comportamenti che rientrano nell’ambito delle perversioni relazionali, perversione che a mio avviso precede quella sessuale. Una condizione psicologica problematica da un punto di vista relazionale, può esitare in comportamenti distorti e aberranti poiché alla base di essa c’è una grande condizione di bisogno, un grande deficit affettivo che, a volte, causa anche ricadute nella struttura cognitiva. Non bisogna sottovalutare che una perversione può originare da angosce di frammentazione legate a vuoti interiori che sfuggono alla pensabilità.
Trovo piuttosto fuorviante attribuire al sesso tutta la responsabilità dei comportamenti in esame. Il sesso, sia masturbatorio che in coppia, è spesso una buona e sana soluzione consolatoria in grado di ripristinare equilibri traballanti, ma anche dare espressione ad una fisiologica attitudine, indispensabile al benessere dell’individuo. Ma può essere usato per produrre un’eccitazione spinta all’estremo che tuttavia, personalmente, trovo difficile definire “sessuale”. Il fatto che l’individuo si ecciti sessualmente coltivando fantasie morbose o faccia agiti veri e propri, a mio avviso, non dovrebbe essere accomunato, tout court, alla sessualità che invece è uno dei motori che rende la vita dell’individuo significativa, indipendentemente dall’appagamento.
Il sesso, la sessualità si portano addosso un ingombrante condizionamento, esito di moralizzazioni e colpevolizzazioni, credo, legate al principio del godimento e all’invidia per chi lo prova. Trovo perciò limitante e rischioso associare sempre e comunque la perversione con la sessualità, mentre mi sembra molto più centrato parlare di “perversione relazionale” poiché il disagio si sviluppa dalla difficoltà a relazionarsi con l’Altro : l’uso del sesso è solo una “soluzione” per raggiungere qualche momento di pausa, fino alla scissione psichica, anche momentanea
Molto deprimente è, infine, l’uso che il marketing fa delle sofferenze e delle problematiche umane, sfruttandole per arricchire un mercato squallido che rende le persone che lo usano, ancor più sole e convintamente deviate, ai loro occhi e a quelli della collettività.
di Donatella Lisciotto,
psicologa e psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana