Quello sulla Fiat Mirafiori è un brutto e indifendibile accordo. Per la prima volta si cancella di fatto l’esistenza del contratto nazionale e si ledono i diritti dei lavoratori, impedendo ad un’organizzazione, tra l’altro la più rappresentativa del comparto e non solo della Fiat (la FIOM), di avere uomini e rappresentanze. Non solo, i sindacati firmatari hanno vincolato alla loro approvazione il ritorno della rappresentanza di altre organizzazioni sindacali e, cosa ancora più grave, non permetteranno l’elezione dei delegati, ma faranno una spartizione di nomine. Purtroppo vengono alla memoria le diverse forme organizzative dei sindacati di regimi autoritari ove più che di rappresentanti dei lavoratori nelle fabbriche il sindacato era presente con propri “fiduciari”.
Una simile soluzione è un affondo contro la democrazia del nostro paese visto che limita ulteriormente la rappresentanza dei lavoratori sul piano sindacale, dopo averla stravolta sul piano politico a causa di una legge elettorale che da tutti è considerata una schifezza. Si dovrebbe anche aggiungere che il corollario per cui i lavoratori che sciopereranno contro l’intesa potranno essere licenziati, è apertamente incostituzionale, poiché la nostra Carta Costituzionale stabilisce che il diritto di sciopero è individuale seppure a indirizzo collettivo.
Ma quello che colpisce particolarmente è il peggioramento concreto delle condizioni di lavoro (ritmi, turni, mensa, straordinari, meno giorni di malattia pagata…). I lavoratori avranno molte difficoltà a governare il proprio tempo di vita e di relazione. È noto che la “perdita della possibilità di governare il tempo di vita”, anche parziale, da parte di una persona è alla base di molte patologie psicosociali di quest’epoca. Alla faccia della “prevenzione” (suona quasi beffarda, di fronte a questi atti pesanti, l’entrata in vigore, dal prossimo anno, dell’obbligo, da parte delle imprese, della valutazione del “rischio da stress”).
La fabbrica comandata dalle regole da caserma di questo accordo sarà il luogo della produzione di nuovo rancore sociale, di sacche di frustrazione pericolose per la coesione sociale. Nell’attuale crisi economica mondiale l’industria italiana di tutto ha bisogno tranne che coltivare vecchie scelte produttive e lanciarsi nella totale incertezza delle relazioni sindacali. La proposta del prossimo referendum a Mirafiori aggiunge anche il ricatto e la beffa al danno.
Quello di Pomigliano non era un’eccezione, come sostenevano gli illusi. Americanizzazione della società, che finora si era concentrata sullo smantellamento dello stato sociale: ecco quello che ha in mente Marchionne, con i ministri di questo governo a fare da patetici corifei.
E’ veramente una svolta storica, ma, attenzione: non solo per quella fabbrica, ma per tutta la società italiana ed anche per la media e piccola impresa, così diffusa nella nostra regione.
Marchionne vuole bruciare il contratto nazionale, questo è chiaro. Le grandi aziende – poche, ormai, in Italia – possono anche ritenere che il principio “ad ogni azienda il suo contratto” si attagli alle loro esigenze. Ma le piccole e medie? Ci rendiamo conto che se “l’esempio Fiat” viene assunto si rischia di trasformare il mondo della produzione in una giungla? Dove è facile sapere chi è il più debole.
Cosa ne pensano le istituzioni e le forze politiche e sociali della nostra regione?