Da soli, per spinta autonoma, una manciata di studenti, in una città del Sud, di un paese democratico, lontano dalle manipolazioni socio-politiche, stanno chiedendo di essere ascoltati, stanno rivendicando i loro diritti, perché è così che funziona in democrazia, no?
I movimenti studenteschi, da sempre, nascono dall’urgenza di assumersi in maniera diretta e senza intermediari la responsabilità di questioni relative ai diritti degli stessi e della comunità tutta. Ogni rivolta studentesca, si pensi alle pantere romane o ai motti sessantottini, rappresenta l’opportunità per chi vi partecipa di porre all’attenzione della collettività cittadina e non, problematiche sociali che chiunque appartenga ad una comunità dovrebbe considerare importanti: come la fruizione degli spazi di aggregazione, il diritto allo studio, il confine tra cosa è legale e cosa non lo è, i modi e i limiti della discussione non violenta tra pari, il rapporto con le istituzioni, il modo per legittimarlo o delegittimarlo.
Tutti argomenti che impegnano fino allo sfinimento, nella teoria e nella pratica, gli studenti riuniti nei locali della Casa dello Studente in Via Cesare Battisti a Messina, occupata dallo scorso venerdì.
Insieme, universitari e attivisti pinelliani, ognuno col suo bagaglio di possibilità ha contribuito e contribuisce al godimento immediato di uno stabile incomprensibilmente in disuso, si uniscono per la conquista degli spazi di integrazione, socializzazione.
Le loro pretese sono tutt’altro che utopiche, sono li a rivendicare la restituzione di una struttura che spetta loro di diritto e che per loro è stata creata.
Stanno li, giorno e notte, vivono di energia creatrice, desideri e aspirazioni e lavorano, non sono mai stanchi, tra scope, martelli e chiodi, rimettono a posto. In progetto persino un laboratorio di restauro mobili e falegnameria. Raccolgono i libri necessari a creare una piccola biblioteca, hanno rimesso in sesto le aule studio dopo i primi due giorni.
A parole degli studenti:
“Le buone condizioni dello stabile al suo interno ne renderebbero possibile e auspicata l’IMMEDIATA RIAPERTURA con gli adeguati lavori di messa in sicurezza.”
Pretendono una risposta chiara e pertinente alle reali esigenze della pluralità giovanile, da parte delle istituzioni e degli organi competenti. Propongono l’autogestione degli spazi fuori dalla mediazione associazionistica.
A sostegno il rappresentante del senato studentesco Sidoti ha dichiarato: “L’occupazione di questi spazi da parte dei collettivi universitari non è da stigmatizzare, bensì da encomiare per aver contribuito ad accendere un faro sul mancato utilizzo dei numerosi immobili di proprietà dell’ateneo messinese per i fini che sarebbero più indicati”
“gli studenti non sono atomi impazziti, costituiscono anzi il corpo vivo e vero dell’ateneo.”
I controlli antisismici del 2006 decretarono la riduzione della capacità con la chiusura dei due piani superiori, in seguito vennero stanziati 1 milione e 600 euro di fondi per la messa in sicurezza.
Attualmente le utenze sono regolarmente in funzione ed i controlli periodici di revisione e collaudo degli estintori d’incendio vengono effettuati nei tempi previsti, ma la Casa dello Studente è chiusa dal 2009.
Lo scorso ottobre durante il Vertice a Palazzo Zanca, Comune, Università, Corte d’appello e Ordine degli Avvocati si incontrano, e trovano sintonia nella stesura di un progetto che prevede la costruzione del secondo Palazzo di Giustizia presso la Casa dello Studente e realizzazione della Cittadella Universitaria nell’area dell’ex Ospedale Margherita.
Il dilemma sorge spontaneo: siamo in grado di riconoscere cosa è bene per la comunità studentesca, oggi?
Perché sembra tanto che per la smania di raggiungere un obbiettivo economicamente e geograficamente allettante come la disquisita sede in Viale della Libertà stiamo perdendo di vista la causa. Gravissimo. Sono centinaia gli studenti fuori sede costretti a pagare un affitto mensile (sempre più in rialzo) di conto all’impossibilità di conseguire una borsa di studio, come a quella di ottenere ospitalità gratuita all’interno di un edificio appositamente predisposto.
È bene tenere a mente inoltre che la concessione del bene comune agli stessi studenti attraverso l’autodeterminazione degli spazi rappresenterebbe un ottimo banco di prova gestionale e che in tempi di crisi, economica e d’intenti, come quella che l’Italia oggi vive, ogni penuria rischia di diventare causa di un potenziale abbandono o peggio di rinuncia alla prospettiva universitaria.
Giovanna Romano