La giustizia a Messina non può essere una Marchetta

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da SONIA ALFANO
Oggi ho inviato al Procuratore della Repubblica ed al Questore di Messina la nota, riportata qui di seguito, su uno scandalo di Stato che si verifica a Messina. Voglio che tutti ne abbiano contezza, perché sulla vicenda non rimanga spazio per alcun equivoco.

 

 

Al Procuratore Capo di Messina Dott. Guido Lo Forte
Al Questore di Messina Dott. Carmelo Gugliotta
Oggetto: Maurizio Sebastiano Marchetta
Ill.mi Dott. Lo Forte e Dott. Gugliotta,

da tempo ormai sono dedita, insieme al mio avvocato Fabio Repici, alla sistematica denuncia delle perduranti trame di connivenza all’interno del sistema giudiziario messinese, così come mi sono dedicata, spendendo tutte le mie energie, alla denuncia pubblica delle collusioni tra mafia, istituzioni e imprenditoria esistenti sul territorio di Messina e provincia, ed in particolare di quelle che soffocano la città dove sono cresciuta e dove ho visto morire assassinato mio padre nel 1993: Barcellona Pozzo di Gotto.Da tempo, non senza ricevere pesanti insulti e offese gratuite, denuncio anche il ruolo di “testimone di giustizia” (di quale giustizia?) assegnato all’imprenditore Maurizio Sebastiano Marchetta, da anni riconosciuto quale emissario dei livelli più alti della mafia barcellonese. Per giungere alla conclusione che il massone Marchetta non sia un nobile e coraggioso imprenditore antiracket come alcuni vorrebbero far intendere, non mi avvalgo di valutazioni o di opinioni personali, ma di dati oggettivi e risultanti da indagini e atti ufficiali.
Mi riferisco, per esempio, al fatto che Maurizio Marchetta fosse il protagonista principale della relazione redatta dalla Commissione Prefettizia che ebbe accesso agli atti del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto nel 2006. Come tutti ricordano, la Commissione Prefettizia (composta dal Prefetto Nunziante, dal vicequestore aggiunto Anzalone, dal Capitano dei Cc Menna e dal Capitano della GdF Rotella) produsse ben centoquarantasei pagine che davano un’immagine disastrata di quell’amministrazione comunale. Il Comune fu giudicato fortemente infiltrato dalla mafia e fu “salvato” da un doveroso e ovvio scioglimento “grazie” ad un becero accordo politico trasversale. Con riferimento specifico a Marchetta, in quella relazione quanto affermato anni fa dal Tribunale di Messina: “Non esitava a tessere cointeressenze con colui che è ritenuto essere il reggente di una associazione mafiosa. Né detto atteggiamento è mutato allorché il proposto si è trovato al cospetto del Tribunale, atteso che, come si è detto, rendendo l’interrogatorio egli si è trincerato dietro dichiarazioni palesemente mendaci”. La relazione aggiungeva che “nel verbale di interrogatorio resi dinanzi al G.I.P. dopo l’arresto, Salvatore Di Salvo riconosce di aver avuto rapporti, anche in termini commerciali, con Maurizio Sebastiano Marchetta”.
Ai tempi dell’inchiesta prefettizia l’imprenditore Marchetta, in quota An, era vicepresidente del Consiglio comunale. La Commissione scrisse molto di lui e, oltre agli “incidenti” giudiziari come ad esempio l’operazione “Omega”, raccontò in modo piuttosto accurato le sue sospette frequentazioni: risultavano infatti diversi incontri con esponenti criminali di spicco, come ad esempio l’avvocato Rosario Pio Cattafi, pregiudicato e nel periodo della più assidua frequentazione con Marchetta sottoposto (perché socialmente pericoloso) alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. O, per esempio, con il boss Salvatore Di Salvo, col quale addirittura si recò in vacanza (una crociera alla quale parteciparono persino i pargoletti) nell’agosto 2002 (non lo dico io ma lo hanno documentato, con fotografie, i Carabinieri). Con Salvatore Di Salvo, Marchetta, oltre ad una quotidiana e amichevole frequentazione, condivideva la passione per le turbative d’asta. Insieme truccavano le buste relative agli appalti pubblici. Dubito che oggi il “ragazzo”, come lo appellava il suo amico boss mafioso, possa essersi redento a tal punto da meritare di godere della protezione con scorta.
Eppure, questa è la sua posizione. E questa è, ad oggi, la posizione dello Stato: costringere penosamente dei poliziotti a fare da angeli custodi dell’imprenditore mafioso. Intendiamoci: io naturalmente non avrei nulla da obiettare (anzi, arriverei perfino ad essergliene grata) se Marchetta rivelasse all’A.g. tutto quanto (ed è moltissimo) a sua conoscenza sulle dinamiche criminali di alto livello della mafia barcellonese. Naturalmente, in quel caso Marchetta dovrebbe parlare anche delle sue proprie responsabilità criminali e questo farebbe mutare la sua posizione in quella di un collaboratore di giustizia, la cui incolumità in quel caso andrebbe seriamente tutelata dallo Stato con l’assegnazione a lui dell’adeguato programma di protezione previsto dalla legislazione sui “pentiti”. Sennonché, fino ad oggi, secondo quello che è emerso dall’unico processo nel quale le dichiarazioni di Marchetta hanno avuto pubblica divulgazione (il processo convenzionalmente, e forse senza consapevolezza della possibile interpretazione equivoca, denominato “Sistema”), Marchetta ha dolosamente omesso di rendere dichiarazioni sui mafiosi suoi amici come Rosario Cattafi (ben noto al Procuratore, almeno da quando, a Palermo, investigava sui “Sistemi criminali”), Gianni Rao, Salvatore Di Salvo e Salvatore Ofria, che non a caso sono al vertice del clan barcellonese, limitandosi ad indirizzare le proprie accuse contro mafiosi che però avevano la doppia caratteristica di non essere più in linea con il gruppo dirigente della mafia barcellonese e di aver perso, in conseguenza, ogni protezione istituzionale.
Non occorre ricordare a voi che la giustizia messinese per lunghi anni è stata il laboratorio di raffinate strategie mafiose perseguite con l’utilizzo di falsi pentiti, supportati da infedeli rappresentanti delle istituzioni. Il famigerato “caso Sparacio” è a voi ben noto. L’attuale Questore di Messina fu uno degli investigatori che contrastarono al tempo i depistaggi tentati attraverso le dichiarazioni di quel falso collaboratore di giustizia. Non posso oggi non ricordarlo e conseguentemente non riconoscergliene il merito. Ma sono costretta a ricordare anche cosa sia stato il “caso Sparacio”: l’utilizzo di un falso pentito (e di altri conseguenti) per costruire l’impunità dei capi di Cosa Nostra messinese Michelangelo Alfano e Santo Sfameni e dei criminali di Stato che avevano asservito le istituzioni agli interessi mafiosi. Nel gennaio 2008 quello scenario criminale è stato cristallizzato da una sentenza del Tribunale di Catania, che insieme al falso pentito ha condannato due alti magistrati ed un investigatore.
L’operazione Marchetta di oggi sembra copiata, fin nei dettagli, dall’operazione Sparacio: basta cambiare i nomi e la geografia, spostando il quadro dalla città di Messina a Barcellona Pozzo di Gotto. Anche qui, la falsa collaborazione con la giustizia di Maurizio Sebastiano Marchetta rientra in una strategia mafiosa di alto livello orchestrata da Cattafi e da altri personaggi ancora (ma non per molto tempo ancora) rimasti nell’ombra e finalizzata a creare le garanzie d’impunità per lo stesso Rosario Cattafi, per gli altri maggiorenti della mafia barcellonese e ancor più per i garanti istituzionali della mafia barcellonese. Che questi garanti ci siano e chi siano voi, signor Procuratore e signor Questore, lo sapete meglio di me. Perché io conosco solo le vicende giudiziarie che hanno avuto pubblicità, voi avete contezza di tutte le risultanze investigative disponibili sulla realtà criminale barcellonese.
Che quello che ho appena descritto sia il “progetto Marchetta” è stato perfino confessato pubblicamente dall’imprenditore mafioso in questione, allorché questi segnalò di non sapere nulla di penalmente rilevante su alcun magistrato coinvolto nelle deviazioni della giustizia “messinese/barcellonese”. Uso per nulla a caso le parole del compianto prof. Adolfo Parmaliana.
Da ultimo, Marchetta si è pubblicamente cimentato nel commento di una mia nota (pubblicata nello spazio concessomi sul sito web del Fatto Quotidiano e relativa all’anniversario dell’uccisione di mio padre), scrivendo le seguenti testuali parole: “Speriamo che l’intervento della Siognora Alfano e dell’Avv. Repici vada per competenza alla Procura di Reggio Calabria così lì spiegherà le gravissime affermazioni fatte sulla DDA di Messina, sulle forze dell’ordine e sul sottoscritto…..poi vedremo chi era il giornalista Alfano … se era giornalista … cosa ha mai scritto sulla Sicilia visto che qualcuno ha già ricevuto in via ufficiale tutti gli articoli e quali turbative d’asta e dove sono state perpetrate dal sottoscritto … ci vediamo in Tribunale e poi vedremo cosa avrà da dire ufficialmente la Signora che ha sfruttato l’immagine di un uomo ucciso per fare carriera politica … ne vedremo delle belle!!!!”. Ed ancora: “Sono daccordo Massimo … la Signora dovrà rendere conto delle affermazioni fatte … nelle sedi opportune e ci stiamo incaricando che ciò avvenga … poi magari dirà che c’è un complotto a danno suo e di suo padre … mi dispiace solo per il caro Beppe … il quale era comunque un mio amico e la figlia con queste sterili oltre che fantascientifiche illazioni lo sta uccidendo per la seconda volta … in quanto verranno a galla aspetti poco piacevoli per lei e per il suo contorno … le affermazioni vanno suffragate da prove oltre che da condanne … Dio e grande e penserà lui a giudicare gli uomini…”. Gli svarioni linguistici sono contenuti negli scritti di Marchetta e, seppure mi sono chiesta come questo signore abbia raggiunto la laurea in architettura, ho ritenuto di non correggerli. Né mi sono chiesta a quale Dio pensi il massone Marchetta.
Ora, signor Procuratore e signor Questore, io davvero non vedrei l’ora di dover rispondere, insieme all’avv. Fabio Repici, davanti ad un giudice delle affermazioni fatte sull’imprenditore mafioso Maurizio Marchetta. Sarebbe finalmente l’occasione di costringere la giustizia a prendere atto di cosa sia il terzo livello della mafia barcellonese. C’è, però, una cosa sulla quale non posso fare sconti a voi ed alle Istituzioni che rappresentate. Marchetta, scrivendo come non avrebbero potuto fare nemmeno Salvatore Riina e Giuseppe Gullotti, ha infangato mafiosamente la memoria di mio padre ed ha per l’ennesima volta riproposto i depistaggi architettati dalla mafia barcellonese sull’omicidio Alfano, depistaggi che, pure, i processi hanno spazzato via da qualche lustro, con tanto di timbro della Corte di Cassazione. Quei depistaggi, come ricorderete, avevano trovato nuova eco nel corso del giudizio d’appello del processo “Mare Nostrum”, ad opera dei difensori del boss Gullotti (che per l’omicidio Alfano è stato condannato con sentenza definitiva) e dell’indegno magistrato Olindo Canali.
Sennonché, oggi quei depistaggi il non ancora “pentito” Maurizio Sebastiano Marchetta li propone come sua verità. E ciò fa mentre lo Stato, primi fra tutti i vostri Uffici, con tanto di scorta, dimostra di volerlo “tutelare”. Devo, quindi, oggi chiamarvi alle vostre alte responsabilità istituzionali. Ho già detto che il progetto Marchetta ricalca il progetto Sparacio. Ho già potuto vedere che qualcuno ne ha tratto benefici di carriera. Quello che vi chiedo ufficialmente è di confinare quel piano criminale allo stadio di progetto e non farlo consolidare come fu fatto per il progetto Sparacio. Perché questo lo devo non tanto a mio padre, e nemmeno al più coraggioso cronista mai capitato in provincia di Messina. No, questo lo devo alla cittadinanza onesta di Barcellona Pozzo di Gotto, che ormai in misura sempre maggiore sta dimostrando di volersi ribellare alla tirannia mafiosa. E poiché da oltre un anno e mezzo anch’io ho assunto sulle mie spalle l’onere gravosissimo di rappresentare il nostro Paese al Parlamento Europeo, io non arretrerò di un millimetro su questo scandalo di Stato. Fiduciosa che anche le altre istituzioni, e prima di tutti i vostri uffici, prestino ossequio al principio di realtà.
Rispettosamente,
Sonia Alfano

 

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