La grande beffa delI’Incubatore del Ponte

All’inaugurazione della nuova sede delle società chiamate a realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina, mercoledì 14 luglio, ci sarà anche il ministro delle infrastrutture Altero Matteoli. Il quartier generale di Eurolink (il consorzio general contractor per la progettazione e i lavori) e dei soggetti impegnati nel monitoraggio ambientale e nel “project management”, sarà ospitato all’interno del Polo “Papardo” dell’Università degli Studi di Messina, a pochi chilometri dall’area dove dovrebbe sorgere uno dei due piloni della mega-opera. I locali sono quelli dell’Incubatore d’Imprese finanziato con i fondi della legge 208 del 1998 riservati «agli interventi di promozione, occupazione e impresa nelle aree depresse». La struttura non è mai entrata in funzione; avrebbe dovuto ospitare, a regime, sino a 46 aziende di giovani e ricercatori provenienti dall’Ateneo. In cambio di un canone il cui importo è ancora segreto, Sviluppo Italia Sicilia, che l’aveva ricevuta in concessione dall’Università, l’ha sub-affittata a tempo indeterminato alle grandi aziende del Nord che partecipano al miliardario banchetto del Ponte. Una di esse, Impregilo, capofila della cordata general contractor, il Polo universitario lo conosce bene, avendo eseguito i lavori di realizzazione della Facoltà d’Ingegneria, 144 miliardi di vecchie lire per tre edifici di 35 mila metri quadrati di superficie. La consegna dei locali del “Papardo” risale al giugno 2004, con un «leggero» ritardo sui tempi previsti, giustificato dall’allora Preside d’Ingegneria con il «passaggio dalla Bocoge, la stessa ditta che ha costruito la nuova sede di Lettere all’Annunziata, alla Impregilo». Valutazione assai discutibile dato che la società di costruzioni leader in Italia aveva rilevato il 40% del capitale azionario di Bocoge nell’ottobre del 1997, tre anni prima cioè che l’azienda ottenesse dall’Ateneo l’appalto per la nuova Facoltà. E nel 2002, sempre Impregilo, aveva poi acquistato dalla famiglia Bonifati un altro 40% del capitale “Bocoge”.

Una transazione, quella Università – Sviluppo Italia – Società Ponte, duramente stigmatizzata da attivisti e militanti in lotta contro la realizzazione del “Mostro sullo Stretto”. La Rete No Ponte ha manifestato in occasione dell’ultima riunione del Senato Accademico, chiedendo inutilmente, tre volte, di potersi sedere con il rettore e discutere di una scelta che fa dell’Università l’head office di Impregilo & Partner. La risposta del Senato è giunta poi attraverso una nota telegrafica. «La concessione dell’immobile a Sviluppo Italia Sicilia – si legge – è stata deliberata nel 2002 e, sulla scorta di essa, il concessionario può destinare locali a imprese senza preventive autorizzazioni dell’Università, com’è avvenuto nel caso specifico». Un’affermazione che non convince per nulla il professore Guido Signorino, ordinario di Economia applicata nella facoltà di Scienze Politiche e delegato del rettore per il Liaison Office Università-impresa al tempo della concessione dell’incubatore a Sviluppo Italia. «Nel 2002 venne siglata non la concessione, ma il suo precedente procedurale: un “protocollo di intesa” in base al quale si avviarono i negoziati per definire i termini con cui si sarebbe costituito l’incubatore nell’Università», spiega Signorino. «Su questa base Sviluppo Italia mosse i suoi passi per ottenere dal Ministero delle Attività Produttive il finanziamento della ristrutturazione dei locali di Papardo. L’atto di concessione venne sottoscritto invece nel marzo 2004».

L’economista sottolinea poi che la concessione trasferisce sì la responsabilità di gestione della struttura a Sviluppo Italia, ma ne vincola la finalità a quella di “incubatore di imprese”, facendo esplicito riferimento al suo ruolo di «centro di servizi per le imprese nascenti» e di «accompagnatore al mercato delle imprese incubate da parte del gestore». «L’utilizzo di spazi per finalità non previste dall’atto ne rappresenta una violazione», afferma Signorino. «È ovvio che Eurolink e società collegate non possono essere considerate “imprese nascenti” e non abbisognano di alcun “accompagnamento al mercato” da chicchessia. Inoltre, la durata dell’utilizzo dei locali non appare commisurata ai limiti indicati nell’atto di concessione. La permanenza nell’incubatore era definito in 36 mesi, eccezionalmente prorogabili fino a 60, in modo da generare un flusso continuo di imprese nuove e innovative. I lavori per il Ponte avranno invece una durata minima di sei anni».

Il professore Signorino ricorda che l’atto di concessione conferiva all’Università l’obbligo di vigilare che la struttura venisse gestita nel pieno rispetto delle sue finalità. Nel caso in cui il gestore avesse disposto dell’immobile in maniera non conforme, la concessione doveva essere revocata. «Si prevedeva inoltre la costituzione di un “comitato paritetico di indirizzo e di controllo”, composto da un ugual numero di rappresentanti dell’Università e di Sviluppo Italia. Il comitato avrebbe dovuto fornire indicazioni sulle attività produttive da privilegiare nell’uso della struttura ed esprimere pareri sulle imprese da insediarvi. Non è quindi corretto lasciare intendere che l’Università non abbia strumenti di indirizzo gestionale e che l’assegnazione degli spazi abbia luogo senza un suo preventivo controllo. Resta da capire se il “comitato paritetico” sia o meno stato insediato. Ne dubito, visto che l’incubatore non è ancora completato. Ma ciò non giustifica che, prima ancora che esso sia consegnato e che gli organi previsti per la sua gestione siano istituiti, ne vengano decise utilizzazioni che derogano alle finalità ed ai vincoli istituzionali».

Signorino non ritiene credibile che la locazione dell’incubatore sia stata fatta in totale autonomia da Sviluppo Italia e che l’Università di Messina è stata solamente informata a cose fatte. «Si direbbe quasi il contrario, ossia che l’Università abbia deciso di caldeggiare questa assegnazione, facendo pressioni su Sviluppo Italia perchè ciò avvenisse», dichiara il docente. Un pressing a tutto campo confermato direttamente dall’agenzia di sviluppo. Sentiti il 25 giugno dal settimanale Centonove, i responsabili di Sviluppo Italia hanno dichiarato che «è stato il massimo rappresentante dell’ateneo a chiedere con lettera di mettere a disposizione di Eurolink e delle altre società l’edificio».

Dubbi e perplessità non risparmiano comunque la S.p.A. pubblica nata per promuovere le imprese e non certo per incrementare le sue rendite con l’affitto di locali ottenuti in concessione. Il capitale sociale di Sviluppo Italia Sicilia (6.816.066,92 euro), è controllato al 100% dalla Regione Siciliana che, a sua volta, è pure azionista di minoranza della Stretto di Messina S.p.A, la società concessionaria pubblica che ha assegnato ad Eurolink la progettazione, realizzazione e gestione post-opera del Ponte tra Scilla e Cariddi. «Con la stipula di un contratto di locazione degli immobili di contrada Papardo, Sviluppo Italia Sicilia, cioè la Regione, si trova a dover esercitare il proprio controllo sulle attività attribuite ad Eurolink, mentre contemporaneamente riceve dalla stessa associazione temporanea d’imprese, i canoni mensili per l’affitto del core business del Ponte sullo Stretto», denuncia Luigi Sturniolo, rappresentante della Rete No Ponte di Messina. «Siamo di fronte ad una doppia speculazione a danno delle strutture pubbliche: da un lato, la “rendita” che Sviluppo Italia si assicura dagli affitti e, dall’altro, il privilegio offerto al general contractor di poter insediare il  suo centro direzionale a prezzi fuori mercato. Questo è il corollario del Ponte: operazioni basate sulla sottrazione di spazi pubblici, sulla negazione di vere prospettive occupazionali alle giovani generazioni in nome dei profitti e degli interessi privati».

A provare come la riconversione dell’incubatore universitario in officina generale dei Padrini del Ponte è l’ultima grande beffa a danno delle popolazioni locali, un articolato documento della Rete No Ponte. «Secondo la definizione formulata dalla National Business Incubators Association (NBIA), un “Incubatore” è uno “strumento di sviluppo economico progettato allo scopo di accelerare la crescita ed il successo di iniziative imprenditoriali mediante un insieme strutturato di risorse e servizi», scrivono i ricercatori della Rete. «La finalità di un incubatore è dunque “quello di generare aziende di successo, in grado di uscire dal programma di supporto avendo raggiunto autonomia e solidità finanziaria”. Tra gli obiettivi strategici, la creazione di posti di lavoro; il sostegno all’economia locale; il trasferimento tecnologico e la valorizzazione dei risultati della ricerca; la rivitalizzazione di aree depresse; la diversificazione produttiva; la promozione di specifici settori industriali e di specifici gruppi sociali. Nulla di questo ha a che fare con la costruzione del Ponte».

La Rete ricorda che gli incubatori sorti in ambito accademico dovrebbero rispondere all’esigenza delle Università «d’intensificare il trasferimento tecnologico e le relazioni industriali, favorendo i propri studenti, ricercatori, docenti e laboratori di ricerca, sviluppando la collaborazione con le aziende e partecipando attivamente allo sviluppo locale». Nello specifico dell’incubatore dell’Università di Messina, le finalità dichiarate nella concessione puntavano al «rinvigorimento dell’economia locale» e all’«offerta di spazi ai giovani per esprimere la propria capacità d’impresa in una città poco competitiva». «L’incubatore di contrada Papardo – ricorda la Rete No Ponte – doveva essere destinato all’ospitalità, con durata limitata, di spin-off industriali derivanti dalla ricerca scientifica. Il consorzio Eurolink non presenta invece alcuna caratteristica idonea a consentirgli di diventare l’ospite-beneficiario della struttura. Non è una impresa “nuova”, risultando dalla costituzione in consorzio dell’associazione di imprese vincitrice della gara per il general contractor del Ponte, svoltasi tra il 2005 ed il 2006. Nessuna delle società di costruzioni che compongono l’ATI ha sedi o filiali nell’area dello Stretto (alcune sono, anzi, straniere) e sono tutte di antica formazione e nella titolarità di corporation e gruppi azionari di rilevanza nazionale (famiglie Benetton, Gavio e Ligresti per Impregilo)».

Quanto sia costato allo Stato l’“Incubatore del Ponte” è un mistero. Nel 2002 l’Università di Messina presentò un piano finanziario per 4 milioni di euro, ma ad oggi non è stato specificato il reale ammontare dei fondi ottenuti per l’implementazione della struttura. Cifre discordanti persino sull’estensione dell’area ad essa destinata. Nei documenti si fa riferimento una volta ad un «complesso» di 4.400 metri quadrati, un’altra volta a 4.355, una terza a “soli” 3.500. Comunque sia, le aziende del Ponte non potevano trovare di meglio. Tra qualche giorno il taglio del nastro e l’insediamento. Per presentare il progetto definitivo e iniziare i lavori avranno ancora tutto il tempo che vogliono.