In occasione del centenario del primo conflitto mondiale e dell’ingresso dell’Italia in guerra, l’Istituto di Studi Storici “Gaetano Salvemini” ha organizzato due seminari e dato alla stampa il volume “Da queste sponde sicule che stan di fronte a Scilla. Messina e la Grande Guerra” (Baglio, Battaglia, Caminiti, D’Angelo, Fedele). Un testo che analizza gli effetti del conflitto su Messina e sul territorio siciliano, da un punto di vista economico, politico e letterario, regalando ciò che può definirsi una vera e propria analisi sociologica.
Messina, reduce dal terremoto del 1908, non si sottrasse ai doveri imposti dallo Stato a partire dalle “Radiose giornate di Maggio”. “Il tutto si svolse – racconta il prof. Baglio, ricercatore universitario presso l’Università degli studi di Messina – nella zona tra la via Luciano Manara, il Viale San Martino e l’Istituto Verona Trento”. Messina prese così parte al conflitto, non senza reticenze e non senza subirne gli effetti devastanti, in termini sociali ed economici. Una città celebre per le sue cadute, ma ancor più ricordata per la sua capacità di rialzarsi, sempre. Una realtà per quanto piccola, tanto capace di divenire protagonista di ogni importante vicenda storica, vivendo trasformazioni, salite e discese, onori e distruzioni, ma sempre in prima linea, seppur in trincea.
Una poliedrica realtà concentrata in un volume che unisce saggi e osservazioni che indagano su diverse prospettive. Dall’indagine dell’intimo compiuta dal prof. Baglio, all’analisi di testi letterari, come nel saggio della prof.ssa D’Angelo. Dalla ricostruzione sociale, all’individuazione di fenomeni che rivoluzionarono la figura della donna, analizzati dalla prof.ssa Caminiti, viene ripercorsa un’epoca che cambiò la storia universale.
Come precisato dal prof. Antonio Baglio: “la prima guerra mondiale aprì la pagina della storia contemporanea, visto il suo carattere anonimo, seriale, tecnologico e di massa. Perché la vera protagonista è la tecnologia – spiega il professore – Basti pensare alla potenza distruttrice delle granate o della mitragliatrice, talmente veloce e potente da uccidere più persone in pochi istanti, senza neppure vederne il viso”.
Milioni di uomini, fossero essi contadini o operai, sottratti alla propria realtà, chiamati a combattere una guerra non propria. Proiettati in una vera e propria terra di nessuno. Uno sradicamento che portò a un duplice atteggiamento: da una parte il cittadino indottrinato dalla propaganda, ubbidiente ed alienato, dedicato alle esigenze di questa sua Patria. Una propaganda a volte subdola, a volte esplicita. Costruita su immagini volte ad evidenziare la supremazia italiana, in particolare in riferimento alla colonizzazione della Libia. Da qui, come sottolineato dal prof. Baglio: “le cartoline avevano funzione informativa e propagandistica. Comunicavano per immagini, scavalcando il problema dell’ignoranza, fomentando miti e ideali che costruivano l’idea dell’eroe bianco. Da qui l’elaborazione dell’immagine della venere nera, la costruzione di un’illusione che portava molti militari a identificare l’Africa nella terra delle occasioni, anche sessuali”. Se da una parte, quindi, la propaganda ‘creava’ giovani fieri di obbedire a esigenze patriottiche, dall’altra, un conflitto vissuto come non proprio portava al rifiuto del distacco dal proprio io, dalle proprie origini, dalla propria terra.
Da qui, il proliferare di epistole e diari personali, veri tesori di una memoria altrimenti perduta. Una memoria fatta di trincee, carceri, terra e fango. Una terra diversa. Testimonianze che rivoluzionarono non solo la comunicazione, ma la stessa storiografia successiva. Nuove fonti quindi, che trovano impiego nel volume edito dall’Istituto Salvemini, nello specifico all’interno del saggio “Voci dalle trincee. L’esperienza della Grande Guerra nelle lettere e nei diari dei combattenti siciliani”, di Baglio. Il risultato, un’analisi sia sociale che individuale. Un’indagine capace di conoscere e far conoscere meccaniche altrimenti ignorate dai libri di storia. Un percorso che dall’intimo va a tracciare una storia comune. Lettere indirizzate all’amata o alla madre, in cui il soldato chiede della famiglia, delle faccende domestiche, del raccolto o di qualunque elemento che potesse mantenere il contatto con la propria identità e con la vita a cui era stato sottratto, tout court, con la propria umanità. Conferma il prof. Baglio: “Ora più che mai c’è la vera necessità di scrivere e comunicare con i cari, per non perdere la dimensione del reale. La scrittura risponde così a esigenze diverse: una funzione catartica, una funzione pratica, vista la necessità per i soldati di richiedere tramite posta vestiti e altri oggetti, e un’ esigenza vitale. Un’esigenza utile ad affrontare, attraverso lo scritto, il senso di precarietà e alienazione”.
Fatto assolutamente straordinario se si pensa all’alto tasso di analfabetismo dell’epoca, o ancora alla carenza di materiali per la scrittura. Ogni supporto poteva trasformarsi in foglio: stoffe, canovacci, foglie. L’analfabetismo era raggirato dall’intervento dei compagni più istruiti, o dall’uso del dialetto e di una grammatica essenziale. Ora più che mai non importa la forma, quanto il contenuto: il prof. Baglio ci offre l’esempio di Vincenzo Rabito, divenuto un caso letterario grazie alle sue memorie, raccolte nel libro “Terra Matta”, edito da Einaudi.
Come detto, la storia ha agito su fronti diversi, e su fronti diversi agisce anche il volume. Da un’analisi storiografica a un’analisi sociale, come quella compiuta dalla prof.ssa Caminiti. L’attenzione così si sposta verso una guerra combattuta non solo dai soldati in trincea, ma anche da chi restò in patria: le donne. Quelle donne che, private dei loro uomini, ne prendono gli oneri e gli onori, occupandosi della casa, coltivando la terra, o lavorando in fabbrica. Una vera e propria svolta nella storia dell’emancipazione femminile: le donne italiane vegliano e vigilano, si occupano di attività di soccorso, danno vita a comitati, desiderano gestire le istituzioni e la cosa pubblica, chiedono il diritto al voto.
Il testo ci porta a rivivere la storia alla base della nostra società, si presta come chiave di lettura alle vicende attuali, dalle pari opportunità all’emigrazione, dalla colonizzazione alla guerra. Vicende che tendenzialmente siamo portati a vivere da spettatori, persino sublimandole attraverso film e videogiochi. Una storia che, in un tempo poi non così lontano, coinvolse la nostra città e le nostre famiglie, diede vita ad esperienze e testimonianze sepolte con una generazione ormai estinta, riposte nei nostri archivi e nelle nostre biblioteche, magari persino negli scaffali di casa.
Una Messina sopita, eppure radicata in noi, nella nostra memoria. Una Messina viva, sempre.
Francesca D’Arrigo – Gaia Stella Trischitta