La lezione di Rita Atria

«Rispetto al 1992 c’è molta più consapevolezza. Addirittura adesso di mafia se ne parla nelle scuole, sono nate tantissime associazioni antimafia, sono stati fatti grandi processi. Tuttavia siamo ancora qui a parlare di mafia».

In questi pochi fatti inanellati uno dietro l’altro Santo Laganà, presidente dell’Associazione antimafia Rita Atria, inquadra il problema della lotta alla criminalità organizzata nell’ultimo ventennio. Dalle sue parole emerge chiaramente la differenza tra parlare di antimafia e farla.

«Com’è cambiata la lotta alla mafia, anche la mafia ha cambiato pelle, non è più quella con coppola e lupara. Oggi la mafia ha tante facce: c’è quella brutta di chi spara e c’è quella presentabile, quella che si trova negli ordini professionali, nelle banche, nelle istituzioni e purtroppo si trova anche nella politica. È stato fatto tanto ma c’è ancora tanto, tanto, tanto da fare».

Si può parlare di un’evoluzione della lotta alla mafia o piuttosto di un’involuzione?

«Questa è una domanda a cui è molto difficile rispondere con certezze. Sicuramente c’è stata una evoluzione nella sensibilitàantimafiosa. Noi siamo reduci di tre incontri con due scuole messinesi e una di Villafranca per discutere di un libro scritto sulla vita di Rita Atria, queste cose prima del 1992 non si facevano o si facevano in maniera molto ridotta. Ci sono tante grosse associazioni che sensibilizzano contro il racket, dalla nascita di Addiopizzo in poi. Quindi sotto questo profilo c’è stata senz’altro un’evoluzione. Dall’altro lato, proprio perché la mafia si evolve, non è mai uguale a se stessa e quindi si infiltra dappertutto, il rischio che soprattutto in Sicilia la mafia si faccia antimafia è concreto. Ad esempio, la Sicilia è la regione con i maggior numero di associazioni antiracket, ma è anche quella con il minor numero di denunce. E allora qualcosa non funziona, c’è il rischio che alcune associazioni antiracket siano nate con il solo scopo di ottenere finanziamenti agevolati».

Infatti alcuni anni fa fece scandalo la scoperta che alcune imprese gestite dalla mafia fossero iscritte a Addiopizzo. Come si può prevenire che la mafia si faccia antimafia?

«Intanto chi dice di fare antimafia dev’essere coerente. La lotta alla mafia impone una scelta. Così ci ha insegnato Rita Atria, che ha conosciuto sia il mondo della mafia, sia il mondo migliore. L’antimafia finanziata da privati, o anche dal pubblico, un’antimafia stipendiata può non essere un’antimafia credibile perché se ad esempio un’associazione è finanziata da una banca e in quella banca scoppia uno scandalo, le verrà difficile denunciarlo. Bisogna fare una scelta precisa: o di qua o di là. Partire dalla coerenza è un modo per evitare infiltrazioni, anche se il rischio si corre sempre perché la mafia capisce qual è il business e ci si infila. L’ultima notiziaè una confisca nel trapanese a personaggi che erano nel campo delle energie rinnovabili. Bisogna stare attenti. I rapporti con le istituzioni, con la società civile devono essere sempre improntati alla massima coerenza».

Voi come associazione fate molti incontri nelle scuole. C’è nei giovani la consapevolezza che la mafia non è più quella che spara ma che si basa su relazioni torbide?

«Questa consapevolezza non è completamente diffusa nelle scuole. C’è da tenere conto che i ragazzi che vanno a scuola oggi – i più grandi sono diciottenni – non hanno vissuto il periodo delle stragi del 1992, quindi sono cresciuti con modelli culturali molto distanti da quelli che servirebbero per fare una vera lotta alla mafia. Questi ragazzi sono cresciuti con il mito del successo a tutti i costi e quindi qualche difficoltà nel far capire certe cose ci sono, però è anche vero che in virtù di quella sensibilità che è aumentata quantomeno negli insegnanti, abbiamo avuto modo di trovare spesso dei ragazzi molto interessati e preparati.Questa cosa ci dà fiducia nel futuro. Non ci strappiamo i capelli dall’ottimismo ma abbiamo fiducia».

Il lavoro sui ragazzi è a monte nel contrasto alle mafie. A valle ci sono le forze dell’ordine e la magistratura. Secondo lei i magistrati di nuova generazione cos’hanno di diverso rispetto a quelli cresciuti nel mito di Falcone e Borsellino?

«I magistrati sono uomini, e come tali ci sono quelli buoni e quelli cattivi, come in qualunque categoria. Falcone e Borsellino non li definiamo degli eroi, hanno solo fatto il loro dovere in un momento in cui forse pochi lo facevano. Certo sono un punto di riferimento. Oggi c’è una schiera di magistrati impegnati in prima linea – penso al dottor Di Matteo, al dottor Teresi, a molti magistrati della Procura di Caltanissetta, in Calabria ci sono magistrati in prima linea contro la ‘ndrangheta – però non bisogna vederli come degli eroi o dei supereroi.Sono delle persone che fanno in tutto e per tutto il loro dovere di magistrati, fedeli alla Costituzione. Se li definiamo eroi diamo un segnale sbagliato: che solo alcuni sono in grado di contrastare con i loro comportamenti la mafia, e non è così. Lo diceva anche Falcone: “Per battere la mafia è sufficiente che ciascuno faccia il proprio dovere”. La scuola è importante, perché i magistrati reprimono il fenomeno mafioso, nella scuola e nella consapevolezza dei cittadini comuni c’è la possibilità di prevenirlo».

Falcone diceva anche che la mafia, come tutti i fenomeni umani, nasce, vive e poi muore. Quando accadrà che la mafia scomparirà?

«Alla frase di Falcone manca qualcosa: che la mafia nasce, vive e poi muore se noi cittadini lo vorremo. Dipende solo da noi, non possiamo alla magistratura e alle forze dell’ordine la lotta alla mafia, lo diceva anche Borsellino. Dipende solo da noi: se noi avremo un comportamento coerente da cittadini in ogni momento della nostra vita quotidiana. È facile dire di essere contro la mafia, se incontra per strada una persona e chiede se è a favore o contro la mafia le dirà che è contro, ma allora perché c’è la mafia se siamo tutti contro? Il dottor Caselli una volta fece una bellissima differenza tra terrorismo e mafia: il terrorismo negli anni Settanta fu battuto perché non aveva l’appoggio culturale dei cittadini; la mafia non si sconfigge perché probabilmente è nel comune sentire dei cittadini: la ricerca della raccomandazione e il “santo in paradiso” sono cose comuni che abbiamo tutti. Quindi se non usciamo noi da questo modo di pensare sarà difficile sconfiggere il fenomeno mafioso. Rita Atria diceva che prima di tutto bisogna farsi un esame di coscienza e sconfiggere la mafia che è dentro di noi».

In un periodo di crisi economica come questo è più difficile?

«È nei periodi di crisi che le mafie sono più forti. Più la gente comune è vittima del bisogno e piùla piovra estende i suoi tentacoli. Io mi rendo conto che un cittadino che è pressato dal bisogno, davanti alla soddisfazione immediata di quel bisogno può vacillare. Però bisogna fare in modo di educare a una mentalità diversa. Uno dei modi in cui si può fare è il voto, ad esempio. Lo diceva Borsellino che la rivoluzione si fa in piazza, il cambiamento con la matita. Il voto può essere un gesto antimafioso se si vota una persona onesta, e non significa solo che non ha una sentenza passata in giudicato perché l’equazione politico assolto uguale politico onesto non è valida. Onesto significa che ha un passato di onestà, pulizia, trasparenza. Qualcosa sta cambiando, si sente nell’aria. Ma siamo ancora lontani dalla soluzione del problema».

{vimeo}68056659{/vimeo}