Ricchezza, varietà e continuità di presenza umana sono certamente tre fattori di pregio posseduti da una città quale Messina, il cui territorio consta di due inscindibili estremità: una è la celeberrima “falce” del porto, l’altra è il Peloro. Sebbene l’importanza della “falce”, in riferimento alla sua conformazione fisica e alla sua posizione strategica, sia stata più volte ribadita e goda di una copiosa serie di studi in merito, vorrei oggi porre l’accento e la vostra attenzione su Capo Peloro, estrema punta della Sicilia nord-orientale e punto più stretto dello Stretto di Messina sulla sponda siciliana. Comprendere il significato complessivo del Peloro non è cosa da poco.
A stuzzicare la mia (e spero anche la vostra) fantasia è stata dapprima l’etimologia del termine che ruota attorno alla parola greca pélor, presente già in Omero e utilizzata in riferimento ad esseri animati fuori dal comune, nei quali spesso è presente simultaneamente del prodigioso e del mostruoso. Trascendendo per un attimo l’epica, il mito e la storia, Capo Peloro oggi risulta pertinente ad un comprensorio terracqueo che racchiude in sé realtà estremamente e rapidamente mutevoli dominate da ciò che è straordinario e terribile al contempo: mi riferisco al complesso sistema di correnti e maree; alle particolari specie ittiche che dominano le profondità dello Stretto; al fenomeno ottico noto come “fata Morgana”; alle trasformazioni geomorfologiche costantemente in atto.
Ma rientrando nei ranghi del mito, si narra che il gigante Orione, cacciatore feroce e insaziabile ,protagonista di innumerevoli saghe mitiche, per Zanclo, signore del territorio zancleo, compia un’opera sovrumana: depositare i detriti alluvionali, di cui tutta la zona costiera dalla “falce” del porto sino Torre Faro è tutt’oggi costituita, in modo tale da formare il promontorio situato al Peloro. In ultima istanza, il gigante consacrava il suo operato ponendo il culto di Poseidon, signore di tutte le acque, dolci e salmastre, sorgive e stagnanti.
Più e più volte si è cercato un riscontro archeologico al culto del dio del mare nell’area del Peloro senza pervenire a risultati soddisfacenti. Oggi si tende più a credere che il culto faccia riferimento non tanto ad una installazione templare quanto proprio ad una porzione di territorio consacrata a Poseidon quale potrebbe essere, ad esempio, l’area dei laghi del Peloro. Oggi ne conosciamo soltanto due denominati Pantano grande (lago di Ganzirri) e Pantano piccolo (lago di Faro), ma in realtà essi sono il residuo di un’area lagunare ben più ampia che in antico doveva comprendere tre o forse più laghi la cui testimonianza è stata in parte cancellata a causa del trasporto di materiali alluvionali dei numerosi torrenti che sfociano nella laguna. Le fonti letterarie, difatti, fanno riferimento anche ad un terzo lago che definiscono sacro poiché al centro delle sue pericolosissime acque, che rendevano inerte qualsiasi parte del corpo vi si immergesse, si ergeva un’ara.
Addentrandosi nella storia del Pelorosi rimane quindi affascinati da come mito e scienza, realtà storica e immaginario siano in continua osmosi tra loro.Una magia che ha un inizio ma che non sembra aver fine: scenari multiformi e mozzafiato si offrono generosamente ai suoi spettatori. Nessun biglietto da pagare, nessuna fila da rispettare, Capo Pelorosi concederemore a chiunque voglia godere della sua incantevole bellezza.