Il dibattito culturale nazionale e internazionale sulla condizione della società contemporanea mette in evidenza il bisogno e la consapevolezza da parte di cittadine e di cittadini responsabili di porre le basi per un mondo migliore, diverso da quello proposto dal sistema Occidentale.
L’esigenza di una nuova democrazia che ne è scaturita richiede una politica differente, in quanto non possiamo più pensare e immaginare una democrazia della rappresentanza senza una democrazia della partecipazione. La cosa pubblica deve essere espressa da veri e propri soggetti politici di movimenti esterni alle istituzioni. Oggi è questa la strada per una rifondazione vera della rappresentanza sociale e politica; in tal senso anche l’elemento principale per una riforma auspicabile dei partiti e della politica. Le vere possibilità di riscatto si muovono attraverso l’orizzonte di partecipazione e di riconoscimento dei comitati e dei movimenti come veri e propri soggetti politici, e non dentro i palazzi.
Bisogna partire dal rapporto tra l’individuo e la società, da come il sistema capitalistico è riuscito a condizionare, a determinare, e a limitare l’individualità, diventando totalizzante attraverso la creazione di falsi bisogni. Il capitalismo soffoca la creatività del singolo allo scopo di integrare gli individui nei sistemi di regole dominanti all’interno della società, razionalizzando le prestazioni lavorative e, più in generale, le abitudini quotidiane. La società consumistica è penetrata fino nelle coscienze imponendo gusti, valori, orizzonti culturali, costumi e abitudini, ma si tratta di una mutazione falsamente tollerante, omologante e repressiva. Si tratta di un profondo cambiamento antropologico, dell’erosione delle culture popolari. In quest’ottica possiamo affermare che “il consumismo ha distrutto cinicamente un mondo ‘reale’, trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c’è più scelta tra male e bene” .
Ma l’uomo attento ai processi economici e sociali ha capito che questo tipo di sviluppo e di globalizzazione ha delle grosse contraddizioni, basti pensare a come la nuova ricchezza prodotta non fa altro che aumentare fortemente le disuguaglianze, a come la diffusione di internet e della telematica non vince l’analfabetismo e l’ignoranza, a come tutte le scoperte scientifiche non evitino pestilenze che possono essere definite medievali. Sostanzialmente possiamo dire che oggi la crescita economica, scientifica e democratica non coinvolge l’intero pianeta e che il modello capitalistico appare inefficiente e soprattutto causa di profonde ingiustizie. Il mercato capitalistico si basa sull’extraprofitto e sullo sfruttamento sfrenato delle risorse naturali, e la sua assurdità viene ben spiegata in questo messaggio di una donna indiana ai capi delle nazioni occidentali: “quando avrete inquinato l’ultimo fiume e avrete preso l’ultimo pesce, quando avrete abbattuto l’ultimo albero allora e solo allora vi renderete conto che non potete mangiare tutto il denaro che avete ammucchiato nelle vostre banche”. L’imperativo principale dell’economia capitalistica è di stimolare continuamente domanda e consumo, rendendo cieca la crescita, privilegiando la quantità alla qualità, l’omologazione all’autenticità, la tecnica all’uomo, la crescita allo sviluppo. Oggi siamo ad un punto di non ritorno e, purtroppo, è palesemente visibile come il Pil marci verso il suo scopo “con sempre minor riguardo per ciò che la crescita economica produce nella condizione umana del lavoro, nelle giunture della società, nelle relazioni fra gli individui, negli istituti della democrazia, nella cultura e nelle psicologie collettive, nella vita privata delle persone, nel fondo spirituale della nostra epoca” . E ora: da cosa cominciamo il nostro movimento, il nostro cammino anticapitalista e rivoluzionario? Dalle nostre concezioni mentali? Dai rapporti sociali? Dal rapporto con la natura? Dai processi lavorativi? Dalla vita quotidiana e dai comportamenti riproduttivi? Dalla conquista delle istituzioni e dalla loro trasformazione radicale? Dalla riappropriazione e difesa dei Beni Comuni?
“Effettuando un’indagine sulle correnti di pensiero e sui movimenti sociali d’opposizione, scopriremo che esistono opinioni discordanti […] circa l’ambito dal quale è più idoneo partire. […] Possiamo cominciare dovunque ci pare, purché non restiamo al punto di partenza!
La rivoluzione deve farsi movimento in ogni accezione del termine: dovrà muoversi all’interno di ciascuna sfera, tra una sfera e l’altra attraverso le diverse sfere, o altrimenti non andrà da nessuna parte. Capito questo, diventa impellente immaginare possibili alleanze tra un’intera gamma di forze sociali configurate attorno alle diverse sfere. Chi possiede una profonda conoscenza delle dinamiche in gioco nel rapporto con la natura deve allearsi con chi sa come funzionano gli ordinamenti istituzionali e amministrativi, come si può far leva sulla scienza e la tecnologia, come si possono modificare le concezioni mentali e come possono riconfigurare la produzione e i processi lavorativi” . Perché sulla strada del sistema capitalistico non possiamo più camminare per andare avanti: dopo decenni e decenni di imposizione di questo sistema economico la conseguenza sulla vita dell’uomo è che le prossime generazioni vivranno peggio delle precedenti, i figli peggio dei padri e questo per la prima volta nella storia contemporanea dell’Occidente. La voglia di dare una risposta alla crisi finanziaria globale e la difesa di conoscenza e cultura, attraverso la difesa dei beni comuni, è di fondamentale importanza.
Il movimento politico deve acquisire una dinamicità tale da mettere in collegamento una sfera di attività con l’altra, rafforzandosi a vicenda. Basta saper leggere la storia per capire che “è così che il capitalismo sorse dalle ceneri del feudalesimo ed è così che qualcosa di radicalmente diverso – chiamatelo comunismo, socialismo o come vi pare – dovrà sorgere dalle ceneri del capitalismo” . E proprio sulla base di questo le parole di Karl Marx e Friedrich Engels diventano attualissime: “la storia di ogni società sinora esistita è la storia delle lotte di classe.
Libero e schiavo, patrizio e plebeo, barone e servo della gleba, mastro artigiano e garzone, in breve oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte latente a volte aperta; una lotta che è sempre finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta” .
Capito questo, la domanda che dobbiamo porci è: una società che si rende conto dell’insostenibilità del sistema capitalistico, e che esso non è neanche desiderabile, e matura collettivamente l’idea che un altro mondo è, e deve essere possibile, come deve procedere nella costruzione dell’alternativa?
Come prima cosa è necessario sottolineare che il cambiamento rivoluzionario nasce da un insieme di cose, fa leva sulle possibilità immanenti in una situazione esistente e cambia molto da territorio a territorio. I diversi luoghi possono rivoluzionarsi in modi differenti, questo dipende dalla loro storia, dalla loro cultura, dalla loro collocazione e dalla loro condizione politica, istituzionale ed economica. Ovviamente le linee guida dovranno essere comuni: il rispetto per la natura; l’egualitarismo nei rapporti sociali; le procedure istituzionali ed amministrative realmente democratiche e del tutto lontane da quelle attuali, basate sulla finta democrazia, governata solo dal potere del denaro; il percorso politico basato sull’interesse comune; i processi lavorativi rispettosi della dignità umana; lo scopo delle innovazioni tecnologiche e organizzative, che non devono sostenere più il potere militare e l’avidità delle imprese multinazionali, ma devono essere orientate alla realizzazione del bene comune.
Il concetto di bene comune possiede una fertilità di scoperta e di applicazione assolutamente senza confronti. Se ci fermiamo a riflettere un po’ scopriremo che bene comune è l’etere, l’aria che respiriamo, gli spazi urbani della nostra mobilità quotidiana, la bellezza del paesaggio, il tempo di vita; e soprattutto capiremo che “la proprietà privata ci istupidisce, poiché ci porta a credere che tutto ciò che ha valore deve essere posseduto privatamente da qualcuno. Gli economisti non smettono di ricordarci che un bene non può essere conservato e ottimizzato se non è posseduto privatamente. La verità è invece che gran parte di ciò che si trova nel mondo non è proprietà privata, e che i nostri rapporti sociali esistono proprio grazie a questo. […] La vita sociale dipende dal comune. Forse, un giorno, ripensando alla nostra epoca, ci stupiremo del fatto che prima di scoprire il modo di affidare la vita sociale interamente al comune, abbiamo stupidamente lasciato che la proprietà privata monopolizzasse un così gran numero di forme della ricchezza, che ostacolasse l’innovazione e compromettesse la vita” .
Come è stato più volte evidenziato è paradossale che questo sistema riesca a spingere l’uomo alla solitaria e individuale soddisfazione di ognuno compromettendo la felicità di tutti. Perché nel momento in cui le libertà individuali che provengono dal mondo capitalista sono mediate dalle istituzioni della proprietà privata e dal mercato, e altro non sono che le fondamenta della teoria e della pratica liberale, dalle quali nascono gigantesche disuguaglianze. Questa analisi era già ben chiara a Marx, infatti egli sosteneva che la teoria liberale dei diritti individuali, nata con John Locke nel XVII secolo, è all’origine delle enormi disuguaglianze tra la classe emergente di proprietari e la classe formata da chi è costretto a vendere la propria forza-lavoro se vuole sopravvivere. Quindi l’importanza di un nuovo modo di intendere il concetto di proprietà, che non può essere esclusivamente privata e che questo processo di metamorfosi deve passare attraverso gli ordinamenti istituzionali.
“Detto questo, occorre ricordare sempre che un altro mondo, migliore e più democratico, è possibile e che non dobbiamo mai smettere di alimentarne il desiderio” .
L’individuo è l’essere sociale.
Karl Marx
1) Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, Einaudi, Torino, 2003, p. 168.
2) Piero Bevilacqua, tratto dalla relazione introduttiva al convegno “I saperi umanistici alla prova dell’umanità”.
3) David Harvey, L’emigma del capitale, Feltrinelli, Milano, 2011, p. 145.
4) David Harvey, ibidem.
5) Marx e Engels, Manifesto del partito comunista, Laterza, Roma- Bari, 2005, p. 5.
6) Michael Hardt, Antonio Negri, Moltitudine, Mondadori, Milano, 2004, p. 220.
7) Michael Hardt, Antonio Negri, ibidem.