La paura degli USA si chiama Donald Trump

 “L’America è in guerra”. “La nostra libertà è sotto attacco”. “La situazione è fuori controllo”. Queste sono alcune delle frasi pronunciate dai diversi candidati repubblicani alla Casa Bianca dopo gli attentati di Parigi. Delle tre, l’ultima appartiene alla persona che sicuramente sarà il candidato del partito Repubblicano per la presidenza degli Stati Uniti nel 2016: Donald Trump.

Trump accusa Barack Obama di lassismo e invoca nuove misure per garantire la sicurezza del paese, tra cui la chiusura totale delle frontiere a tutti i cittadini musulmani e la cacciata dal paese di tutti i cittadini americani che professino questa religione. Una soluzione talmente estrema e anacronistica che avvenne l’ultima volta in Spagna, nel 1492, quando la regina “cattolicissima” Elisabetta di Castiglia cacciò dal paese iberico tutti gli ebrei, per festeggiare l’avvenuta riconquista del proprio paese.

Dopo la forte affermazione Trump si è però difeso asserendo che intende superare il concetto di politically correct, forte anche dei sondaggi che lo vedono vincente sugli altri candidati repubblicani. Anche la maggioranza dei suoi colleghi di partito sembra volersi inserire nella scia populistica e bigotta per mero profitto elettorale. Sono pochi quelli che gli si oppongono, come il senatore repubblicano libertario Rand Paul, che ha saggiamente affermato che escludere una religione la darebbe vinta proprio ai terroristi, che potrebbero a quel punto affermare a ragione che l’America è nemica della religione islamica. Non aspetterebbero altro per legittimarsi anche agli occhi di tutti i musulmani moderati e compiere con successo un proselitismo molto più accentuato di quello attuale.

La politica offensiva di Trump sta ottenendo un grande successo elettorale (almeno stando a quanto pronosticano i sondaggi) grazie al populismo e al terrore della religione islamica, due elementi che hanno una forte presa su una grande parte del bacino elettorale repubblicano, non a caso facente parte di quella zona degli Stati Uniti definita la “bible belt”, la cintura della bibbia. Un mix esplosivo d’intolleranza verso il diverso e bigottismo religioso, che purtroppo sembra rappresentare quasi la metà dei potenziali elettori repubblicani.

La logica preponderante è quella del “io sono più avanti nei sondaggi, quindi io detto la linea”, simile a quella del comandante del Titanic che andò incontro all’iceberg. Non è un caso che Hillary Clinton, probabile futura sfidante di Trump, abbia affermato che il suo avversario non è più una macchietta divertente, bensì un uomo pericoloso per il paese. Non è un caso che lei stessa si sia appellata ai repubblicani più moderati affinché si dissocino dai deliri del loro candidato di punta.